Il Sistema Sanitario Nazionale e la pandemia da SARS-CoV-2: un disastro annunciato? Riflessioni per un cambiamento

Giuseppe R. Gristina1, Mariassunta Piccinni2

1Medico, Anestesista Rianimatore; 2Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali – SPGI, Università di Padova.

Pervenuto il 21 settembre 2021. Accettato il 27 settembre 2021.

Riassunto. A quasi due anni dal primo report ufficiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la pandemia da SARS-CoV-2 (covid-19) ha superato i 200 mln di casi nel mondo con una mortalità complessiva pari al 2%. In molti Paesi, quando il numero di casi di insufficienza respiratoria da covid-19 ha superato l’effettiva disponibilità di risorse intensive (posti-letto, tecnologia, risorse umane) i medici sono stati costretti a selezionare (triage) i pazienti da ammettere nei reparti di terapia intensiva (TI). Al fine di supportare queste difficili decisioni, molte società scientifiche e organismi governativi hanno sviluppato linee-guida sulla base di due principali approcci etici: quello egualitario e quello utilitaristico. Al riguardo, finora vi è un consenso limitato e in molti casi questi approcci teorici hanno dato luogo a uno scontro di opinioni che ha contribuito a creare ulteriori difficoltà per i medici. In Italia, il Comitato Nazionale per la Bioetica è l’unica istituzione pubblica che, tramite un documento ufficiale, ha apertamente preso posizione sul tema del triage e del razionamento delle risorse ammettendone in particolari condizioni la liceità purché sulla base dei comuni criteri clinici di appropriatezza clinica e proporzionalità etica, sottolineando tuttavia il ruolo fondamentale della “preparedness”. Mentre la fase più critica della pandemia sembra allontanarsi, la necessità di discutere gli aspetti etici dei criteri decisionali utilizzati nell’allocazione delle risorse in TI sembra meno pressante. Appare invece più utile soffermarsi su due aspetti per così dire preliminari rispetto alla scelta dei criteri normativi di allocazione delle risorse: 1) la necessaria interdipendenza tra scelte di macro- e micro-allocazione che finisce con il condizionare i processi decisionali relativi alla cura dei singoli pazienti; 2) l’opportunità che decisori e professionisti sanitari mantengano un adeguato grado di “onestà” nei confronti dei cittadini e dei pazienti riguardo alle cause della carenza di risorse e ai processi decisionali che comportano la necessità di compiere “scelte tragiche” a entrambi i livelli.

The Italian National Healthcare System and the SARS-CoV-2 pandemic: a foretold debacle? Reflections for changing.

Summary. Almost two years after the first official report from World Health Organization (WHO), the SARS-CoV-2 pandemic (covid-19) outreached 200 mln of cases around the world with an overall mortality equal to 2% (more than 4.5 mln of cases). In many countries, when the surge in cases of severe covid-19 respiratory failure has exceeded the availability of intensive healthcare resources (intensive care beds, respirators, human resources) clinicians were forced to triage intensive care unit (ICU) admissions. In order to support these difficult decisions, many scientific societies and national regulatory bodies developed guidelines to prioritize patients entitled to receive mechanical ventilation and other life support treatments. From an ethical point of view two main theoretical approaches – the egalitarian and the utilitarian one – have been suggested to identify the criteria to be adopted for triaging the ICU patients. In regard, there is a limited consensus until now and in many cases these different theoretical approaches gave rise to a clash of opinions contributing to additional difficulties for doctors. In Italy, the National Committee for Bioethics is the only public institution that, through an official document, has expressly taken a position on the issue of triage and rationing of resources, admitting its lawfulness in particular conditions as long as it is based on common clinical criteria of clinical appropriateness and ethical proportionality, underlining however the fundamental role of “preparedness”. As the covid-19 crisis seems slowing down, the need to debate the triage criteria and the allocation of the scarce ICU resources it seems less pressing. Instead, it seems more useful to dwell on two aspects with respect to the choice of regulatory criteria for allocating resources: 1) the necessary interconnection between macro- and micro-allocation choices which ends up conditioning the decision-making processes relating to individual patients; 2) the opportunity for decision-makers and healthcare professionals to maintain a right level of “honesty” towards citizens and patients regarding the causes of the lack of resources and the decision-making processes that involve the need to make “tragic choices” at both levels.

Introduzione

Da quando l’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato lo stato di pandemia1, sono più di 200 mln i casi di infezione da SARS-CoV-2 nel mondo e più di 4,5 mln i decessi (2%; 1,6% negli Stati Uniti, 2% in Europa)2,3. Si calcola che una polmonite interstiziale (covid-19) che richiede il ricovero in ospedale possa svilupparsi nel 15% dei malati; nel 5% di questi, la malattia può complicarsi con una sindrome da distress respiratorio che rende necessario il supporto meccanico invasivo o non invasivo della respirazione.

A luglio 2021, per l’Italia i dati grezzi indicano più di 4,5 mln di casi con oltre 130.000 decessi (+18% rispetto a quelli rilevati nel 2019; +0,8% rispetto al dato mondiale ed europeo), che hanno contribuito a negativizzare di 342.000 unità la dinamica naturale della popolazione (differenza nascite-decessi)4,5.

A causa del protrarsi per mesi delle drastiche misure di contenimento del contagio, la pandemia da SARS-CoV-2 si è tradotta in una minaccia anche per l’economia mondiale. Nel 2020 il prodotto interno lordo (PIL) globale è diminuito del 6,7%; in America Latina la perdita complessiva del PIL è stata dell’8,5%6; in Italia il PIL si è ridotto del 9,5% rispetto al 20197,8 (figure 1 e 2).

La grave crisi provocata dalla pandemia non si è sostanziata solo in una sfida sul piano scientifico (individuazione e descrizione del virus e dei suoi meccanismi d’azione, definizione della patogenesi della malattia, modalità di trattamento e di funzionamento dell’immunità e dei vaccini); in termini di sanità pubblica ha infatti coinvolto i sistemi sanitari anche sul piano dell’organizzazione dell’assistenza ospedaliera e territoriale.

Così, ovunque nel mondo occidentale gli ospedali sono stati sottoposti alla crescente pressione esercitata dai malati di covid-19; gli interventi chirurgici elettivi sono stati annullati, le procedure semielettive posticipate, le sale operatorie sono state trasformate in terapie intensive (TI) di fortuna9,10, la qualità dell’assistenza ai pazienti affetti da malattie diverse dalla covid-19 – soprattutto malattie cardiovascolari e cancro – si è drammaticamente ridotta11-16, alcuni trial clinici sono stati sospesi17.







La situazione più difficile ha però riguardato, tra gennaio e aprile 2020, i reparti di TI. In molti di questi non è stato infatti possibile offrire a tutti i pazienti in condizioni critiche il ricovero che richiedevano per la necessaria assistenza respiratoria. In questa situazione il razionamento delle risorse sanitarie intensive è diventato una realtà in molti ospedali italiani, soprattutto lombardi18,19, ma anche europei e americani20,21, e i medici sono stati costretti a decidere quali malati (non) ammettere in TI adottando linee-guida22-32 che definiscono i criteri di scelta (triage). Questi documenti sono stati oggetto di critiche e controversie riguardanti le loro implicazioni etiche33-39. Le due più rilevanti posizioni a confronto sono riferibili, in una prospettiva egualitarista, alla regola cronologica (first came, first served)40 o alla selezione casuale (lottery)41, e, in quella utilitaristica, al principio secondo il quale è doveroso riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha più probabilità di sopravvivenza e, secondariamente, a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone42.

Allo stesso tempo, i decisori si sono trovati ad affrontare il problema dell’allocazione delle risorse43-46.

Nel marzo 2020 il Governo italiano emanava il primo di una serie di decreti47 finalizzati a incrementare le risorse da destinare alla sanità pubblica, mentre nel mese successivo il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) produceva il documento “Covid-19: il processo decisionale clinico in condizioni di carenza di risorse e il criterio del ‘triage in emergenza pandemica’”48.

Grazie alla campagna vaccinale la fase più critica della pandemia sembra avviarsi verso quella che alcuni hanno definito “normalità post-pandemica”, e così la necessità di discutere gli aspetti etici dei criteri decisionali utilizzati nell’allocazione delle risorse in TI sembra meno pressante. Può essere più utile allora soffermarsi su due aspetti che rappresentano il focus del presente articolo: 1) chiarire come le scelte di macro- e micro-allocazione, nella loro interdipendenza, condizionino i processi decisionali relativi alla cura dei singoli pazienti; 2) riflettere sulle conseguenze di un più o meno adeguato grado di trasparenza/“onestà” da parte, da un lato, dei decisori politici e, dall’altro, dei professionisti sanitari nei confronti dei cittadini e dei pazienti riguardo alle cause della carenza di risorse e ai processi decisionali, che, in modi diversi, abitualmente e in tempi di crisi, comportano la necessità di compiere “scelte tragiche” a entrambi i livelli.

Allocazione delle risorse e criteri di triage

Per molti anni la necessità di razionare risorse sanitarie cronicamente carenti è stata considerata un problema esclusivo dei Paesi a basso e medio reddito49. Dal febbraio 2020 invece uno squilibrio mai sperimentato prima tra aumento della domanda di assistenza dovuto alla pandemia da SARS-CoV-2 e disponibilità di risorse sanitarie in risposta ha colpito anche molti Paesi ad alto reddito.

Il razionamento è stato variamente definito, ma la maggior parte delle definizioni fa riferimento a un concetto centrale: numerosi soggetti hanno uno stesso interesse per la stessa scarsa risorsa. In altre parole, un potenziale beneficio disponibile in quantità limitata può essere negato a qualcuno ed erogato a qualcun altro in base ai criteri adottati per il razionamento50.

Esistono due tipi di razionamento: macro- e micro-allocazione51 (o, secondo la classificazione adottata da Calabresi e Bobbitt52, “first and second order decisions”). Il primo riguarda le politiche adottate dai decisori per la distribuzione delle risorse sanitarie (per es., stanziamento di risorse economiche, modifiche della legislazione sanitaria, campagna di vaccinazione per la profilassi dell’infezione da SARS-CoV-2); il secondo attiene alle scelte dei clinici riguardo a singoli pazienti (per es., occupare l’ultimo letto disponibile in TI con un paziente affetto da insufficienza respiratoria da covid-19 invece che con un paziente settico di un reparto oncologico)53.

Durante la pandemia, la precondizione obbligatoria per il razionamento delle risorse nelle TI è consistita in una sproporzione tra quantità di risorse disponibili e quantità di malati da trattare tale che qualsiasi decisione a beneficio di un singolo paziente poteva comportare un potenziale danno a uno o più pazienti, attuali o potenziali (per es., sottoporre un determinato paziente alla ventilazione meccanica escludendone altri)54.

La rilevanza delle considerazioni etiche correlate dipende dai due tipi di allocazione e dai relativi criteri di selezione.

Da un punto di vista teorico, i criteri di selezione sono di per sé discriminanti sia in senso normativo, sostanziando un’illecita discriminazione, sia descrittivo, perché la distribuzione delle risorse sanitarie finisce per includere alcuni individui con determinate caratteristiche ed escludere coloro che non le hanno. Inoltre, più i criteri sono selettivi, più sono utili per identificare i pazienti che possono beneficiare delle risorse disponibili e più sono percepiti come problematici, non solo dai soggetti esclusi (l’idea di giustizia così come è percepita dalla società). In questo senso, qualsiasi criterio può essere considerato arbitrario.

È d’altronde evidente che anche le scale adottate nella pratica clinica per valutare il grado di alterazione di specifiche funzioni55,56, quando utilizzate individuando un cut-off finalizzato al triage di pazienti eleggibili a trattamenti intensivi, possono essere considerate come criteri di valore.

Peraltro, considerati gli alti costi delle TI e il rischio di erogare terapie sproporzionate, il ricovero in queste unità è oggi sempre più attentamente valutato e monitorato. Consolidate prove scientifiche mostrano infatti che pazienti con età maggiore di 80 anni, affetti da una o più comorbilità, quando ricoverati in TI, presentano un decorso gravato da un maggior numero di complicanze e da una mortalità, in degenza e dopo la dimissione, più alta di quella della restante popolazione di pazienti, in modo correlato all’età, alle comorbilità, alla fragilità, al degrado cognitivo, alla qualità della vita prima e dopo la dimissione dalla TI57-69.

Così, un triage strutturato è utilizzato anche nella pratica clinica comune per stabilire la priorità dei ricoveri in TI in conformità a una serie di criteri che possono riassumersi in due categorie proprie di ogni decisione clinica: l’appropriatezza clinica e la proporzionalità etica delle cure (criteri clinici ordinari)70.

Quando, come nel caso della pandemia, un gran numero di pazienti gravi che richiedono cure speciali sovraccarica simultaneamente le TI generando una mancanza di risorse, allora il razionamento implica l’adozione di criteri più rigorosi. Questi possono essere criteri clinici “straordinari” quali l’età biologica, la presenza di comorbilità e/o di fragilità, oppure criteri cosiddetti “di valore” (non clinici) quali l’età anagrafica (con la definizione di una soglia), la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia.

D’altra parte, decidere di non erogare trattamenti di supporto vitale potenzialmente benefici, proprio quando i pazienti e le loro famiglie chiedono aiuto, è moralmente stressante da un lato per medici e infermieri perché essi sanno che la morte in breve tempo sarà l’esito più probabile71, dall’altro per la popolazione perché si sente abbandonata dal sistema sanitario.

In questa situazione, i criteri clinici ordinari, idonei alla valutazione di ciascun singolo paziente in condizioni di normale operatività, non sono utili per rispondere alla necessità che l’emergenza pandemica pone di tutelare anche l’intera comunità. La necessità di razionare le scarse risorse sanitarie fa infatti nascere un conflitto tra due obblighi giuridici che non possono essere contemporaneamente assolti (antinomia “in concreto”): il diritto fondamentale di ogni singolo malato di usufruire delle migliori cure disponibili, a tutela della propria salute e vita può, in concreto, confliggere con un analogo diritto di un altro malato e/o con l’interesse della comunità a proteggere la vita e la salute dei più.

Mentre i criteri straordinari di valore sono rifiutati perché in contrasto, per loro natura, con i principi alla base della maggior parte dei sistemi giuridici basati sullo Stato di diritto e sul contenuto dei codici di deontologia medica, l’utilizzo dei criteri clinici straordinari, assieme a quelli ordinari, sembra essere un approccio coerente con i vari ordinamenti costituzionali e con gli accordi internazionali approvati dai Paesi europei ed extraeuropei.

Sul piano giuridico questi criteri consentono di preservare il diritto alla salute come un diritto fondamentale, anche in linea con il Preambolo della Costituzione dell’OMS che afferma: «Il godimento del più alto standard di salute raggiungibile è uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di etnia, religione, credo politico, condizione economica o sociale»72. Il “più alto standard di salute raggiungibile” deve interpretarsi nel senso di dare sostanza al diritto alla salute di ogni persona entro i limiti delle risorse disponibili in una data situazione. Pertanto, se gli Stati non possono esercitare discriminazioni aprioristiche tra categorie predeterminate di individui, i limiti reali di attuazione delle linee di politica sanitaria dei vari sistemi non possono essere a loro volta ignorati. Nella situazione attuale, queste considerazioni sostengono la legittimità sia del razionamento delle risorse in TI sia dell’adozione dei criteri condivisi dalla comunità scientifica, dai decisori e dalla società nel suo insieme. In linea con quest’ultima affermazione, e poiché i criteri clinici straordinari di ammissione sembrano soddisfare questi requisiti, resta da chiedersi se, e per mezzo di quali procedure, un’istituzione sia più qualificata di un altra ad assumersi la responsabilità giuridica e sociale per indicare formalmente questi criteri.

La risposta delle istituzioni in Italia

Nel marzo 2020, nel nostro Paese, stante la grave sproporzione tra domanda di assistenza e risorse intensive disponibili che si è manifestata soprattutto in Lombardia ma anche in alcune regioni limitrofe, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) ha pubblicato nel marzo 2020 un documento di raccomandazioni per rendere espliciti e condividere i criteri di triage per il ricovero in TI22, assumendosene pubblicamente la responsabilità. Alle Raccomandazioni SIAARTI è stato attribuito il merito di aver portato alla luce un problema che sarebbe potuto rimanere in ombra, ottenendo presto ampia attenzione da diversi ambiti culturali e dai media73-76. Ciononostante, l’unica istituzione pubblica che ha affrontato apertamente il tema del razionamento delle risorse dal punto di vista teorico è stata, come si è detto, il CNB con un documento la cui finalità era quella di «prendere in esame il problema etico dell’accesso alle cure dei malati in condizioni di risorse sanitarie limitate»48.

Nel documento del CNB, pur ritenendosi inevitabile il ricorso al metodo del triage quando si verifichi una condizione di grave sproporzione tra domanda di assistenza e risorse disponibili per soddisfarla, si considera inaccettabile qualsiasi criterio di selezione non clinico o, se clinico, basato sulla definizione di soglie, mentre si definiscono leciti i criteri clinici ordinari (appropriatezza clinica, proporzionalità, attualità) con l’aggiunta di criteri clinici straordinari (età, comorbilità, fragilità).

Il documento del CNB sottolinea altresì con forza l’importanza della “preparedness” intesa come la capacità di «predisporre strategie di azione nell’ambito della sanità pubblica, in vista di condizioni eccezionali rispetto ad emergenze causate da pandemie»48.

Preparedness: la panacea di tutti i mali?

Una discussione equilibrata e aperta riguardo al mismatch tra domanda e offerta di risorse intensive provocato dalla covid-19 non può in effetti non tenere conto anche degli aspetti legati alla macro-allocazione.

I sistemi sanitari e gli enti governativi sono responsabili della pianificazione e dell’attuazione di varie misure per assistere al meglio la comunità nel corso di una crisi che investe le risorse sanitarie. In questo senso non può essere trascurato il richiamo che nell’ambito della medicina delle catastrofi è fatto a un vero e proprio «duty to plan, to safeguard and to guide»: salvaguardare e guidare sono indicati come i doveri etici spettanti a coloro che hanno ruoli decisionali nell’ambito dei sistemi sanitari77.

L’OMS ha definito la “preparedness” nelle emergenze sanitarie come «un programma di attività di sviluppo a lungo termine i cui obiettivi sono rafforzare la capacità complessiva di un Paese di gestire in modo efficiente tutti i tipi di emergenza e realizzare una transizione ordinata dal soccorso al ripristino della normalità»78. Pertanto, un’efficace pianificazione della “preparedness” in risposta alla pandemia dipenderà da un lato dalla rapidità di attuazione, dall’altro dal numero globale di pazienti che influisce sull’equilibrio tra il flusso in entrata e in uscita delle risorse. D’altra parte, nonostante molti settori dei sistemi sanitari possano essere riorganizzati e i team sanitari, la tecnologia e i finanziamenti incrementati79 anche mentre è in atto il picco pandemico, recenti prove rilevano che l’adeguamento della capacità assistenziale delle TI è stato associato a un aumento sia della mortalità da covid-19 sia di quella dei pazienti non covid-1980.

Peraltro, ogni volta che la popolazione dei pazienti sarà superiore alla capacità totale del sistema sanitario, malgrado l’aumento delle risorse previste e l’applicazione delle misure di sanità pubblica volte ad appiattire la curva pandemica, il problema del triage e dei suoi criteri riaffiorerà con tutta la sua forza.

Appare così evidente che nella prospettiva sanitaria globale il tema del razionamento delle risorse sanitarie, così come quello dei criteri utilizzati per il triage, è, per certi versi, elusivo.

La vera domanda dovrebbe essere: da dove origina la scarsità delle risorse?

Come rilevano Calabresi e Bobbitt nel loro libro “Tragic choices”: «[…] We must determine where – if at all – in the history of a society’s approach to the particular scarce resource a decision substantially within the control of that society was made as a result of which the resource was permitted to remain scarce»81 (pp. 150-151).

Nell’attuale scenario, in cui da molti settori dell’economia giungono continue richieste di politiche di austerità, né le cause delle malattie né l’etica si possono separare dalla politica e dall’economia82. In questo senso, richiamando ancora il testo di Calabresi e Bobbitt, il sentiero che come società dobbiamo percorrere attraverso i campi dell’abbondanza e della scarsità è lastricato dal susseguirsi di «decision, rationalization, and violence as quiet replaces anxiety and is replaced by it when society evades, confronts, and remakes the tragic choice»81(p.19).

Guardando ai fatti, in diversi ambiti politici l’emergenza pandemica ha rivelato la difficoltà per i decisori pubblici di mantenere un adeguato grado di apertura, onestà e trasparenza, in modo da contribuire efficacemente a promuovere e sostenere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Quando la scarsità di risorse rende necessarie “scelte tragiche”, ma i decisori politici si rifiutano di risolvere il conflitto tra uguaglianza ed efficienza con l’introduzione di criteri esplicitati a priori per razionare e assumere apertamente le responsabilità delle scelte politiche passate e presenti, si preferisce, di fatto, la regola della “realtà indicibile”. Questo approccio può tradursi alternativamente nel negare la necessità di scelte tragiche (per es., “nei reparti di TI è tutto sotto controllo”) o nello spostare il problema sul piano della macro-allocazione (“stanzieremo risorse adeguate a evitare di dover scegliere chi ricoverare in TI”). In entrambi i casi può essere minato in modo irreparabile quel livello minimo di “onestà” necessario per mantenere un adeguato livello di fiducia tra cittadini e decisori, da un lato, e dei pazienti rispetto al servizio sanitario dall’altro. Ci riferiamo all’onestà, come a quel valore che Calabresi e Bobbitt hanno considerato decisivo anche «in fashioning methods to cope with tragic choices», in quanto ci permette «to know what is to be accepted and, accepting, to reclaim our humanity and struggle against indignity»81(p.26).

In questo senso appare rilevante il contenuto della nota 2 alla premessa in cui il documento del CNB fa esplicito riferimento alla condizione della sanità pubblica italiana quando la pandemia esplode nel nostro Paese.

È quindi utile riassumere alcuni dati al riguardo, organizzativi e di economia sanitaria, desunti da report elaborati da istituzioni specializzate, che permettono di comprendere in modo più approfondito il senso delle considerazioni contenute nella nota citata.

Come arriva il SSN alla pandemia?

Alla fine del 2019 il SSN italiano giunge ad affrontare la pandemia con due rilevanti problemi.

Il primo, più antico e presente su tutto il territorio nazionale, è quello dell’equità.

Un sistema sanitario universalista dovrebbe essere capace di generare salute tra tutti i cittadini, individuando ed eliminando le disuguaglianze. Ma questo non è il caso dell’Italia. Basta infatti leggere l’atlante italiano delle differenze di mortalità83 per constatare come un diffuso aumento della mortalità e della morbilità sia associato ancora pesantemente in tutte le regioni d’Italia alla geografia, al grado di acculturazione delle diverse fasce sociali e allo stato socio-economico, con una evidente penalizzazione delle aree geografiche e delle comunità più deboli.

Se si considera la popolazione residente e la si confronta a parità di classi d’età, si può constatare che la mortalità in Campania per il genere maschile è più elevata del 40% di quella della PA di Bolzano mentre quella del Molise è inferiore del 20% a quella del Lazio.

Analizzando l’andamento della mortalità in rapporto ai livelli di istruzione si evidenzia come in Val d’Aosta un basso livello di istruzione sia ancora oggi associato nel genere maschile a una mortalità più alta del 52% rispetto a quella di coloro che sono dotati di un livello di istruzione più elevato; in Molise l’eccesso di mortalità per la stessa condizione è del 46%, in Lombardia del 43%, in Veneto del 41%. Infine, se si considera l’Italia nel suo complesso, la mortalità dei maschi con basso livello di istruzione è più alta del 35% di quella dei maschi con livello di istruzione più alto. Anche per il genere femminile, se si considera l’insieme del Paese, è possibile constatare lo stesso andamento sia pure con un differenziale meno pronunciato (24%). In sintesi, dove si vive con un livello culturale e socio-economico peggiore ci si ammala e si muore di più.

Il secondo problema, più recente, riguarda le complesse relazioni tra economia e sanità.







In Italia, negli ultimi decenni ma soprattutto dopo la regionalizzazione del SSN84,85, si sono generati sistemi sanitari differenti da regione a regione in grado di garantire un diverso livello di qualità dell’assistenza con forti sperequazioni.

L’incapacità del riformato titolo V della nostra Costituzione a orientare in modo coerente ed efficace i rapporti tra lo Stato e le Regioni ha contribuito a queste sperequazioni.

Questi diversi sistemi si sono andati organizzando nella comune prospettiva di una economia liberista, trasformandosi in una “industria medica” in progressiva privatizzazione, con un significativo incremento dei profitti. L’attenzione prestata dai privati al mercato sanitario trova infatti fondamento nell’alta redditività che gli investimenti garantiscono in quel settore (tabelle 1 e 2)86.

Sul versante pubblico, molte voci che componevano fino a ieri la spesa sanitaria si sono considerate improduttive e sono state progressivamente eliminate dal bilancio.

Tra il 2000 e il 2017 mentre la spesa sanitaria privata è cresciuta del 4% (l’86% di questa classificata come “out-of-pocket”, cioè pagata direttamente dalle famiglie), la spesa sanitaria pubblica mostra un trend quinquennale in costante calo (dal 7,4% del quinquennio 2001-2005 allo 0,1% del quinquennio 2011-2015). Questi dati corrispondono, in concreto, a un decurtamento di fondi pubblici destinati al SSN pari a € 37 mld in 10 anni (€ 25 mld da manovre finanziarie, € 12 mld da definanziamento) con una spesa sanitaria pro-capite totale inferiore alla media OCSE ($ 3.542 vs $ 3.807), che posiziona il nostro Paese tra quelli più poveri dell’Europa87.

La metà dei 37 mld definanziati alla sanità riguarda gli stipendi del personale sanitario (8000 medici in meno), la cui riduzione è stata avviata con il blocco del turnover imposto dalla finanziaria del 2006.

In parallelo, il tasso di variazione medio annuo dei redditi da lavoro dipendente si attesta al 4,7% nel periodo 2001-2005, scende al 2,3% nel periodo 2006-2010 e poi precipita al –1,1% nel periodo 2011-2017. L’incidenza sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 39,8% del 2000 al 30,7% del 201787.

Allo stesso modo, a causa del tetto imposto agli incrementi retributivi che, analogamente a quanto previsto per il personale dipendente, non potevano eccedere i limiti fissati per legge, si riduce anche la spesa per l’assistenza medico-generica da convenzione. L’incremento medio annuo del 10,8% nel periodo 2001-2005 si riduce all’1,8% nel periodo 2006-2010 e nel periodo 2011-2017 registra un valore negativo del –0,6%. Il peso percentuale sulla spesa sanitaria totale nel 2017 (5,9%) risulta identico a quello del 200087.







In termini di posti-letto si è passati dai 5,8/1000 abitanti nel 1998 ai 3,6/1000 nel 2017, contro una media europea di 5/1000 abitanti. In termini assoluti si è passati da 530.000 posti nel 1981 a 191.000 nel 2017. La riduzione operata, oltre a eliminare ricoveri inappropriati, si doveva accompagnare a una riorganizzazione delle strutture territoriali e all’assistenza domiciliare per sviluppare una medicina di comunità vicina ai bisogni e alle necessità dei cittadini. Tale sviluppo si è realizzato solo molto parzialmente87.

In ultimo, a seguito dell’implementazione di diversi interventi per il contenimento della spesa sanitaria, ma anche di nuove dinamiche della governance del farmaco, la spesa farmaceutica convenzionata passa da un incremento medio annuo del 7,1% nel periodo 2001-2005, a una variazione del –1,6% nel quinquennio 2006-2010 che precipita al –5% nel periodo 2011-2017. Il peso percentuale sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 12,8% del 2000 al 6,7% del 201788. La figura 3 riassume quanto sopra.

In sintesi, l’intero SSN è stato trasformato nel tempo in un apparato che ha sostituito il suo principale obiettivo istituzionale – riconoscere, intercettare e soddisfare i bisogni di salute della persona (sia sana che malata) – con un sistema di remunerazione a prestazioni, cioè la produzione di attività cliniche di diagnosi, cura e riabilitazione (figura 4) al prezzo più conveniente per il “produttore” e per il “consumatore”.

Questo processo di trasformazione ha provocato, soprattutto in alcune regioni del Nord, una costante marginalizzazione delle funzioni della medicina territoriale, incluse quelle di osservazione e prevenzione, proprie della sanità pubblica, concentrando l’assistenza sanitaria: 1) nelle aziende sanitarie (“primo pilastro” – ospedali e/o USL finanziati direttamente dalle regioni); 2) nei centri a capitale privato [“terzo pilastro” – finanziati dal cittadino (spesa out-of-pocket), dai fondi integrativi (“secondo pilastro”) o dalle regioni in convenzione] trasformati appunto in produttori di prestazioni. Peraltro, è proprio l’offerta costruita esclusivamente sulla domanda di prestazioni ad alterare la distribuzione delle risorse lasciando vaste aree di bisogni insoddisfatti, rendendo il sistema a tal punto rigido da non permettergli di reagire adeguatamente a situazioni emergenziali inattese.

In particolare, in Lombardia, nel 2015, la riforma strutturale del sistema sanitario regionale, orientata alla produzione di prestazioni sanitarie, ha depotenziato il reale potere programmatorio e di controllo delle ASL e il ruolo della medicina di prossimità (medici di medicina generale), mentre l’unico piano anti-pandemico, elaborato dopo la pandemia H1N1 del 2009, aveva dimostrato gravi lacune, tanto da richiedere una revisione mai effettuata89. Tenendo presente questo modello organizzativo complessivo, si può comprendere come sia stato possibile che non si siano ascoltati gli allarmi lanciati dal Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie all’inizio del gennaio 202090, non ci si sia premuniti in tempo dei presìdi necessari a una corretta ed efficace attività di prevenzione del rischio di espansione del contagio, non si sia elaborata una strategia articolata anche in presìdi di territorio. Così, quando tra la seconda metà di dicembre 2019 e i primi giorni del gennaio 2020, a Piacenza, si verifica un picco di 40 polmoniti in una settimana, a Milano negli ospedali San Paolo e Niguarda e a Como si segnalano più polmoniti della media, non vi è nessuna struttura epidemiologica in grado di raccogliere queste informazioni e lanciare l’allarme fino al 20 febbraio, quando una anestesista dell’ospedale di Codogno (che assieme agli altri dieci comuni del Basso Lodigiano si rivelerà come principale epicentro dell’epidemia) pone diagnosi di polmonite interstiziale da coronavirus in un uomo di 38 anni, ufficializzando il primo caso italiano e l’inizio dell’epidemia da SARS-CoV-291. Da quel momento gli ospedali lombardi hanno costituito l’unico punto di riferimento per tutti i pazienti affetti da covid-19 diventando paradossalmente essi stessi centri di diffusione del contagio. Parallelamente iniziava il problema della riduzione fino all’esaurimento delle risorse intensive che ha caratterizzato la situazione sanitaria generale per giorni e giorni92.

Gli effetti della pandemia hanno reso evidente che l’inseguimento dell’efficienza produttiva non coincide necessariamente con l’efficacia in termini di qualità dell’assistenza e di tutela della salute intesa come soddisfacimento di un bisogno. Rispondere a un bisogno di salute è infatti molto più complesso che rispondere in termini di semplice prestazione, perché richiede un ripensamento radicale del concetto di sanità pubblica, una vera e propria riorganizzazione degli ambiti di azione, delle funzioni, delle attività e dei compiti del SSN.

Si spiega così come la preparedness – misura in sé concettualmente intuitiva, appropriata e condivisibile –, dipendendo strettamente dai presupposti politici, economici e organizzativi del sistema e dal livello culturale dei decisori e degli stakeholder, nella realtà concreta dei primi mesi del 2020, si sia trasformata in un rimedio inadeguato e sostanzialmente privo di efficacia, quando non dannoso, come testimonia il prezzo pagato alla pandemia in termini di vite umane da parte di alcune categorie della popolazione come gli anziani nelle RSA93-95 (tabella 3) e le persone affette da patologie cronico-degenerative96.

Discussione

In molti Paesi europei e negli Stati Uniti, durante la pandemia da SARS-CoV-2, un numero elevato di pazienti che richiedeva trattamenti intensivi ha sopraffatto gli ospedali.




Nonostante tutti gli sforzi volti a garantire trattamenti di supporto vitale in una prospettiva etica egualitaria o utilitaristica, un certo numero di pazienti che potevano beneficiare delle cure intensive non sono stati ammessi in TI. Di conseguenza, gli intensivisti di tutto il mondo si sono trovati a fronteggiare due fondamentali problemi.

In primo luogo, in una condizione di scarse risorse sanitarie, agire nel miglior interesse di un paziente significa quasi certamente danneggiare i migliori interessi degli altri.

In secondo luogo, medici e infermieri di TI hanno bisogno di nuovi paradigmi etici per prendere decisioni idonee a gestire la carenza di risorse, il razionamento e il triage. In questo senso sarebbe auspicabile che gli ordini professionali, deputati alla elaborazione e revisione del Codice di deontologia, assumessero una posizione. La SIAARTI, in occasione di un tavolo di lavoro con la FNOMCeO, ha proposto di discutere una bozza di nuovo articolo del Codice di Deontologia Medica riguardante l’allocazione delle risorse sanitarie in condizioni di eccezionale squilibrio tra richieste e disponibilità97 che a tutt’oggi non ha ricevuto risposta.

Tuttavia, come accennato in precedenza, il razionamento e la definizione delle priorità possono essere uno strumento elusivo rispetto alle priorità di politica sanitaria globale.

Nonostante un dibattito informato sulle ragioni delle scelte in ambito sanitario sia nell’interesse di tutti, non lo è per molti decisori. Questa “resistenza passiva” dipende soprattutto dalla difficoltà delle diverse parti in causa a mettersi d’accordo su ciò che è giusto, finendo generalmente per proporre soluzioni tecniche a un problema di giustizia distributiva, che è invece di natura politica ed etica.

Oltre però ad affrontare le difficoltà concettuali e metodologiche volte a giustificare il razionamento delle scarse risorse nei sistemi sanitari, potrebbe essere opportuno considerare “onestamente”81(pp.44-49) da dove proviene questa scarsità.

Tenendo presente il pensiero di Virchow, indagare su com’è costruita e mantenuta la scarsità dovrebbe anche ricordarci l’importanza delle cause sociali e politiche delle malattie98.

Dovremmo allora ripensare seriamente a quali sono i valori e i principi su cui vogliamo costruire la nostra società perché questa emergenza pandemica è diventata la lente d’ingrandimento di sfide politiche, economiche, culturali a lungo termine.

Non è questa la sede per un approccio di dettaglio, ma è possibile delineare già ora una prospettiva futura di sviluppo99 del SSN cui non potranno mancare supporti giuridici ed etici di rilettura delle norme, dei valori e dei principi riguardanti la persona, così come l’amministrazione sanitaria pubblica per una nuova e più appropriata gestione e allocazione delle risorse a partire dai principi di universalità, uguaglianza ed equità fondativi del SSN.

Le esigenze di allocazione e razionamento dimostrano oggi che riconoscere come diritti fondamentali la vita e la salute non basta a soddisfare i criteri di consumo senza rivalità dei beni pubblici e di non escludibilità di ogni essere umano. La non escludibilità corrisponde sempre alla non rivalità, e la rivalità, quando diventa impossibile soddisfare i bisogni di tutti, ha lo stesso valore di un’esclusione. Questo è vero non solo durante una pandemia in caso di razionamento delle risorse, ma anche se un paziente è in una lunga lista di attesa per una procedura chirurgica elettiva. In ogni momento, infatti, a prescindere dalla loro entità, le risorse disponibili sono finite e, in ogni momento, saranno ripartite secondo criteri, impliciti o espliciti, che soddisferanno in modo differente bisogni diversi, ma non tutti. Esplicitare questi criteri li rende valutabili anche in termini etici e permette, oltretutto, ai cittadini di compiere scelte più consapevoli e quindi responsabili.

Conclusioni

La pandemia non ha fatto altro che estremizzare la costante tensione tra individuo e comunità. Una tensione che non sono certo gli operatori sanitari a poter risolvere, ma l’intera collettività: attraverso la politica come luogo di equilibrio tra interesse dei singoli e della comunità appunto100, ma anche attraverso ciascun cittadino che dà la propria preferenza di volta in volta alle diverse politiche secondo le sue particolari convenienze.

Nonostante le difficoltà ineludibili che caratterizzano il processo di allocazione delle risorse, la sfida consiste nel tentativo di facilitare il dialogo tra gli operatori sanitari e gli altri stakeholder sul modo migliore per conciliare valori contrastanti in concreto e richieste concorrenti. Per questo obiettivo tutti gli interessati devono condividere come prerequisito del dibattito il dato di fatto che il suo esito non sarà mai in termini di risposta “giusta” universalmente valida. Se si vuole affrontare il problema con onestà, si deve riconoscere che le responsabilità sono numerose e, sia pure in modo diverso, devono essere ripartite in tutti i settori della società, invece di cercare di addossarle ai medici e agli infermieri che hanno dovuto inevitabilmente assumere quelle scelte tragiche, addirittura insinuando che essi non hanno rispettato i diritti fondamentali delle persone o che sono al di fuori delle regole deontologiche101.

È su questa delicata e complessa interconnessione tra micro- e macro-allocazione che si fondano la trasparenza e la credibilità dei decisori da un lato, la lealtà dei professionisti sanitari al SSN e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dall’altro.

Sul piano operativo due aspetti sembrano cruciali.

I medici devono essere in grado di dimostrare che il processo decisionale che li conduce alla scelta finale di allocazione delle risorse scarse è in ogni suo passaggio rigoroso ed eticamente difendibile.

I decisori devono adottare politiche pubbliche chiare e trasparenti ammettendo che la tragedia della distribuzione di beni scarsi, che può comportare anche molta sofferenza e morte, deve essere affrontata onestamente facendo in modo che le scelte siano meno tragiche possibile, ma allo stesso tempo attentamente esplorata per ricercarne le cause in modo aperto e avviare i necessari processi di rinnovamento.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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