Il prezzo pagato alla pandemia dai malati non covid: le scatole cinesi della crisi sanitaria

Giuseppe R. Gristina1

1Medico Anestesista-rianimatore, Roma.

Pervenuto su invito il 24 gennaio 2022.

Riassunto. In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la drammatica domanda di assistenza espressa dai pazienti affetti da covid-19 nel corso delle diverse ondate della pandemia da SARS-CoV-2 ha sottoposto i sistemi sanitari a una pressione mai sperimentata, limitando o precludendo l’accesso dei pazienti non covid alla necessaria assistenza ospedaliera. La quarta ondata attualmente in corso, pur con numeri differenti, sta riproponendo uno scenario simile a quello già sperimetato nel recente passato. I ritardi nei processi diagnostici o le interruzioni nella continuità di cura e assistenza attuali, sommandosi a quelli accumulati nel biennio precedente, possono determinare un pericoloso aumento dei casi di patologie acute o cronico-degenerative e della loro gravità con conseguente aumento della mortalità correlata a breve e a lungo termine. Questo è particolarmente vero per le patologie tempo-dipendenti come quelle cardio- o cerebrovascolari e per quelle oncologiche, per le quali l’interruzione dei percorsi di screening finirà per richiedere cure più complesse con minore probabilità di risposta positiva alle terapie e maggiore mortalità. Elaborare politiche sanitarie urgenti per promuovere l’accesso alle cure della popolazione dei pazienti non covid è un compito ineludibile dei “decisori” se si vuole evitare una crisi sanitaria di proprozioni imprevedibili. Questa revisione narrativa della letteratura disponibile ha in primo luogo lo scopo di confrontare la qualità dell’assistenza nel periodo prepandemico e pandemico in termini di numero di accessi ospedalieri e ricoveri, di prestazioni diagnostiche e terapeutiche relativi alla patologia cardiaca, vascolare cerebrale e neoplastica, di interventi chirurgici; in secondo luogo, vengono proposte alcune linee di politica sanitaria per avviare il ripristino dei servizi sanitari per i pazienti non covid.

Parole chiave. Accessi ospedalieri, malattie cardiovascolari, malattie neoplastiche, pazienti non covid.

The dark price that non-covid patients are paying to covid pandemic: the “chinese boxes” of the public health crisis.

Summary. In Italy, as in the other Western countries, during the different pandemic surges, the health care systems have undergone an unprecedented imbalance between health care resources demand and supply due to the huge number of patients affected by covid-19. In this dramatic scenario the access to the necessary hospital care for non-covid patients has been limited or precluded. Delays in diagnostic procedures or in caring for many acute or chronic diseases can result in a dangerous increase in their severity with a consequent increase in short and long-term related mortality. This is evident both with regard to time-dependent acute diseases, such as coronary artery syndromes or cerebrovascular diseases, and chronic degenerative diseases such as neoplasms. In this case the natural consequence of the interruption of the screening activities will require more complex treatments with a lower probability of a good outcome and higher mortality. Developing policies to promote healthcare access for non-covid patients population is an urgent task for governmental bodies and all decision makers to prevent a health crisis of unpredictable proportions. This narrative review is firstly aimed to set out the findings regarding the comparison between the trends of hospital admissions, surgical interventions, diagnostic and screening procedures for cardiac, cerebrovascular and oncological diseases before and during pandemic around the world; secondly, some public health policies are put forward in order to begin the restoration of medical services for non-covid patients.

Key words. Cardiovascular diseases, hospital admissions, neoplastic diseases, non-covid patients.

Introduzione

L’intensa campagna vaccinale contro il virus SARS-CoV-2 ha permesso ad ampi strati della popolazione occidentale di raggiungere un sufficiente grado di immunizzazione e quindi di arginare efficacemente la pandemia. Tuttavia, ovunque nel mondo rimane una significativa proporzione di non vaccinati1 in parte dovuta alla scarsissima diffusione dei vaccini nei Paesi a basso e medio reddito, in parte all’esitazione a vaccinarsi, definita come “ritardo nella effettuazione o nel rifiuto della vaccinazione”, manifestata da settori della popolazione più o meno ampi in rapporto alle diverse aree geografiche, alla qualità dei livelli culturali, alla strumentale interferenza di alcuni interessi politici2. Queste “sacche di resistenza” favoriscono la circolazione del virus che, a sua volta, aumenta la probabilità di generare varianti, alcune delle quali caratterizzate da una già sperimentata maggiore trasmissibilità, o in grado di causare forme più gravi di malattia o, addirittura, di eludere le difese immunitarie degli individui vaccinati3.

Attualmente, i vaccini disponibili sono sicuramente efficaci nel prevenire le forme più gravi di covid, l’ospedalizzazione, il ricovero in Terapia Intensiva (TI) e la mortalità4. Allo stesso tempo però la preoccupazione per i possibili, pericolosi effetti dell’esitazione a vaccinarsi sta crescendo ovunque e l’OMS l’ha identificata come una delle prime dieci minacce per la salute globale5,6.

Così, la stessa intollerabile pressione sui sistemi sanitari, già sperimentata nel recente passato7-11, si sta oggi riproponendo per il crescente numero di non vaccinati che contraggono la malattia nel corso della attuale quarta ondata12-14 .

Dall’inizio del 2020, i diversi picchi pandemici hanno obbligato i sistemi sanitari di molti Paesi a riallocare risorse per fronteggiare la pressione esercitata sugli ospedali dall’enorme numero di malati di covid. Questa situazione ha avuto un impatto critico sulla qualità delle cure erogate ai pazienti affetti da patologie non covid. Un robusto corpo di prove derivanti da studi osservazionali basati sul confronto tra i volumi di attività svolte negli ospedali prima della pandemia e durante il suo decorso, ha evidenziato un calo drammatico delle ammissioni nei dipartimenti di emergenza (DE), dei ricoveri e delle attività di diagnosi e cura per una varietà di condizioni mediche e chirurgiche non covid correlate. Il fenomeno è particolarmente preoccupante nel caso delle malattie non trasmissibili cardiovascolari e neoplastiche che già prima della pandemia causavano rispettivamente 18 e 10 mln di decessi in media ogni anno in tutto il mondo15,16. Si è così generato un diffuso allarme per il possibile emergere di una crisi sanitaria globale causata dalla ridotta qualità dell’assistenza erogata a questi malati.

Metodologia

Scopo della presente revisione narrativa è quello di confrontare la qualità dell’assistenza nel periodo prepandemico e pandemico in termini di numero di accessi ospedalieri e ricoveri, prestazioni diagnostiche e terapeutiche, relativamente a: 1) patologia ischemica cardiaca; 2) patologia vascolare cerebrale; 3) patologia neoplastica; 4) volumi di attività chirurgica.

Arco temporale: 2019-2021.

Database consultati: MEDLINE (via PubMed)

Parole chiave (MeSH): “Covid”, “SARS-CoV-2 pandemic”, “hospital admission”, “cardiovascular diseases”, “acute coronary syndromes”, “arrhythmia”, “heart failure”, “cardiovascular procedures”, “ischemic stroke”, “cerebral hemorrage”, “transient ischemic attack”, “cancer”, “cancer screening”, “cancer surgery”, “surgical procedures”.

Studi considerati: studi trasversali; studi caso-controllo; studi di coorte; revisioni sistematiche.

Criteri di esclusione: scarsa o assente pertinenza con lo scopo della revisione; opinioni degli esperti; serie di casi; studi antecedenti al 2019; articoli non in lingua inglese.

Tutti gli articoli sono stati sottoposti ad analisi preliminare del titolo e dell’abstract per la pertinenza agli obiettivi della revisione; gli articoli potenzialmente idonei sono stati sottoposti a revisione completa del testo.

I numeri della crisi sanitaria

Malattie cardio- e cerebrovascolari

Uno studio sui dati provenienti dai DE di 15 centri in 12 Paesi europei, relativi a 50.384 pazienti17 ha mostrato che la proporzione di casi ammessi in DE per patologia acuta cardiovascolare durante la pandemia (n=20.226) era inferiore a quella dei casi ammessi nel 2019 (n=30.158) (IRR=0,66; 95%CI: 0,58-0,76) ma con un più elevato rischio di morte (OR=4,1; 95%CI: 3,0-5,8, p<0,0001). Lo studio ha mostrato inoltre un calo significativo dei ricoveri nei reparti cardiologici per sindromi coronariche acute (IRR=0,68; 95%CI: 0,64-0,71), insufficienza cardiaca acuta (IRR=0,65; 95%CI: 0,58-0,74) e aritmia (IRR=0,66; 95%CI: 0,60-0,72).

La covid è stata inoltre associata ovunque alla riduzione, al ritardo o alla cancellazione dei test diagnostici cardiovascolari.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (International Atomic Energy Agency - IAEA) tramite un’indagine su scala mondiale (106 Paesi, 846 centri)18 ha constatato una riduzione del numero di procedure cardiovascolari causata dalla necessità di riallocare le risorse per la cura dei malati di covid pari al 64% tra il 2020 e il 2019. In particolare, le ecocardiografie transtoraciche sono diminuite del 59% mentre le transesofagee del 76%, gli stress test del 78%, le angiografie coronariche del 55%. La regressione multivariata, ha mostrato poi una riduzione significativamente maggiore delle procedure per i centri dei Paesi con un GDP più basso. In generale le procedure cardiache effettuate nei Paesi a medio e basso reddito sono risultate ridotte di un ulteriore 22%.

Il contributo offerto allo studio IAEA dagli ospedali degli Stati Uniti (155 centri in 40 Stati)19 ha evidenziato che le riduzioni dei volumi delle procedure negli Stati Uniti sono risultate simili a quelle dei centri degli altri Paesi che hanno però verificato una maggiore riduzione delle angiografie coronariche percutanee (69% vs 53%; p<0,001). La riduzione dei volumi delle procedure differiva poi tra le regioni degli Stati Uniti, con cali maggiori osservati nel Nord-est (76%) e nel Midwest (74%) rispetto al Sud (62%) e all’Ovest (44%).

Ancora negli Stati Uniti, dal confronto dei dati del Department of Veterans Affairs relativi a 77.624 pazienti tra il periodo gennaio-marzo 2020 e il periodo marzo-aprile 202020 è emersa una riduzione complessiva dei ricoveri del 42% (IRR=0,57; 95%CI: 0,51-0,64), dei quali il 52% per ictus, il 40% per infarto miocardico acuto (IMA) e il 49% per insufficienza cardiaca. Nessun calo si è verificato quando si confrontavano gli stessi periodi per l’anno 2019.

La pandemia è stata inoltre associata anche a un calo globale del volume dei ricoveri per ictus, emorragia intracranica e procedure di trombectomia meccanica. Uno studio retrospettivo, osservazionale, condotto in 187 centri di 40 Paesi21 ha indagato il trend dei volumi di ospedalizzazione per le tre patologie, nei primi tre mesi di pandemia, evidenziando un calo del 19% (95%CI: 20-19), dell’11% (95%CI: 13-11) e del 13% (95%CI: 14-12) rispettivamente, in rapporto ai tre mesi precedenti.

Per quanto riguarda le sindromi coronariche acute (ACS), nel Regno Unito il confronto dei dati sui ricoveri ospedalieri tra 2019 e 2020, registrati nel database Secondary Uses Service Admitted Patient Care (SUSAPC)22, ha messo in evidenza una loro complessiva riduzione che è risultata però maggiore (-42%) per infarto del miocardio senza sopralivellamento del tratto ST (NSTEMI) nel 2020. Parallelamente, è stata registrata una riduzione del 21% (95%CI: 12-29) del numero di procedure di angioplastica primaria (PCI) per infarto del miocardio con sopralivellamento del tratto ST (STEMI) e del 37% (95%CI: 29-45) per NSTEMI entro la fine di marzo 2020.

Anche in Italia i ricoveri per IMA si sono significativamente ridotti durante la pandemia, con un parallelo aumento dei tassi di mortalità e complicanze.

Un’indagine multicentrica, osservazionale, trasversale a livello nazionale ha confrontato i dati sui ricoveri per IMA presso 54 Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) italiane nel corso di una settimana del 2020 (n=638) con quelli di una stessa settimana nel 2019 (n=1236)23. È stata così osservata una riduzione dei ricoveri pari al 48% (p<0,001). La riduzione è stata significativa sia per la forma STEMI (26% p=0,009) che per quella NSTEMI (65%, p<0,001). La riduzione è risultata indipendente dall’area geografica esaminata (Nord Italia 52%, Centro 59%, Sud 52%). Il tasso di mortalità per STEMI durante la pandemia è risultato aumentato rispetto al 2019 (RR=3; 95%CI: 2-7; p<0,001). Sono stati anche registrati un aumento parallelo delle complicanze (RR=2; 95% CI: 1-3; p=0,009) e una riduzione globale di tutta la diagnostica correlata (cumulative percentage -75%), mentre la mortalità per insufficienza cardiaca non covid correlata è aumentata del 20%. Un altro studio (2202 pazienti, 15 centri), condotto nel 202024, ha focalizzato l’attenzione sul Nord Italia – l’area del Paese maggiormente colpita dalla pandemia – confrontando le ammissioni giornaliere per cardiopatia ischemica, ha evidenziato lo stesso trend con un numero medio di ammissioni per giorno pari a 13, significativamente più basso di quello del gruppo di controllo intra-anno pari a 18 (IRR 0,74; 95%CI: 0,66-0,82; p<0,001) e di quello del gruppo di controllo dell’anno precedente pari a 19 (IRR 0,70; 95%CI: 0,63-0,78; p<0,001) facendo supporre che alcuni pazienti siano morti senza assistenza sanitaria durante la fase più critica della pandemia.

Per quanto riguarda la patologia vascolare acuta cerebrale, l’Italian Stroke Organization ha condotto uno studio multicentrico che ha coinvolto 93 Stroke Units confrontando i ricoveri ospedalieri per eventi cerebrovascolari dal 1 marzo al 31 marzo 2020 con quelli del periodo dal 1 marzo al 31 marzo 201925. I ricoveri per ictus ischemico sono diminuiti del 24% (RR=0,75; 95%CI: 0,7-0,8; p<0,001), quelli per emorragia intracerebrale del 20% (RR=0,81; 95%CI: 0,7-0,9; p=0,004) mentre i ricoveri per transient ischemic attack (TIA) sono diminuiti 39% (RR=0,61; 95%CI: 0,50,7; p<0,001). Le trombolisi endovenose si sono ridotte del 35% (RR=086; 95%CI: 0,7-0,9; p=0,032), mentre le procedure endovascolari primarie sono aumentate nel Nord Italia (RR=1,61; 95%CI: 1-2; p=0,008). I ricoveri sono diminuiti nel Nord, nel Centro e nel Sud Italia.

Malattie oncologiche

L’impatto della covid sull’assistenza globale ai malati di cancro è stato drammatico.

Il COVID-Surg Collaborative ha stimato che nella prima metà del 2020, in particolare durante le 12 settimane di picco della pandemia, 28 mln di interventi elettivi sono stati annullati o rinviati in tutto il mondo, di cui il 38% per neoplasia.

Il cancro del colon-retto (CRC) è la terza causa di morte per cancro a livello globale. Come testimoniato da uno studio approvato da 20 società chirurgiche nazionali di 84 Paesi e internazionali di 6 regioni geografiche del mondo (Europa 57%, Asia 21%, Nord America 12%, Sud America 6%, Africa 3%, Oceania 1%) per un totale di 1051 reparti specializzati nella chirurgia del CRC, la pandemia ha portato a interruzioni e ritardi nel trattamento di questa patologia tali da poter influenzare negativamente i risultati di sopravvivenza per diversi anni a venire26.

In Inghilterra, un confronto tra i dati del 2019 e del 2020 estratti da quattro database del National Health System (NHS) relativi alla diagnosi e al trattamento del CRC ha mostrato una riduzione del 63% (da 36.274 a 13.440) del numero mensile di invii a visita specialistica nell’ambito del percorso assistenziale “2-week-wait” per sospetto cancro e una riduzione del 92% del numero delle colonscopie (da 46.441 a 3484). Ciò ha comportato, da aprile a ottobre 2020, una riduzione relativa del 22% (95%CI: 8-34) del numero di casi indirizzati al trattamento suggerendo che 3500 persone rispetto all’atteso non hanno ricevuto la diagnosi di CRC e il relativo trattamento. Anche gli interventi chirurgici si sono ridotti rispetto alla media mensile del 2019 (-31%; 95%CI: 19-42)27.

A questo proposito uno studio28 dimostra che ritardi anche contenuti nel trattamento chirurgico delle neoplasie solide hanno un impatto significativo sulla sopravvivenza. L’ammissione in ospedale di un numero di pazienti affetti da Covid tale da provocare un ritardo di 3-6 mesi dei trattamenti chirurgici può ridurre del 19%-43% gli anni di vita guadagnati dai pazienti neoplastici con l’intervento. Questo range può aumentare a 26%-59% se si aggiustano gli anni di vita guadagnati per l’ammontare delle risorse disponibili. Ogni anno infatti, 94.912 resezioni per neoplasie maggiori generano 80.406 casi di sopravvivenza a lungo termine e 1.717.051 anni di vita guadagnati. Un ritardo per paziente di 3-6 mesi causerebbe la morte attribuibile di un numero di pazienti oscillante tra 4755 e 10.760 con una perdita di 92.214-208.275 anni di vita rispettivamente.

È stato infine calcolato che in tutta l’Inghilterra i ritardi nell’accesso al percorso “2-week-wait” dovuti a un periodo di blocco delle attività di 3 mesi (con un ritardo medio di 2 mesi per paziente) porterebbero a 181 decessi aggiuntivi e 3316 anni di vita persi considerando un arretrato di visite pari a 25%, 361 decessi aggiuntivi e 6632 anni di vita persi per un arretrato del 50% e 542 decessi aggiuntivi e 9948 anni di vita persi per un arretrato del 75%. Considerando la diagnostica per i casi arretrati eseguita in un mese di recupero dopo il blocco, si calcolano ulteriori 90 decessi aggiuntivi e 1662 anni di vita persi nello scenario che prevede un arretrato del 25%, 183 decessi aggiuntivi e 3362 anni di vita persi nello scenario con arretrato del 50% e 276 decessi aggiuntivi e 5075 anni di vita persi nello scenario con arretrato del 75%. Prevedendo, dopo il blocco, un recupero della capacità diagnostica in 3-8 mesi si avrebbero 401 decessi aggiuntivi e 7332 anni di vita persi per un arretrato del 25%, 811 decessi aggiuntivi e 14.873 anni di vita persi per un arretrato del 50% e 1231 decessi aggiuntivi e 22.635 anni di vita persi nello scenario per un arretrato del 75%29.

Negli Stati Uniti uno studio30 ha utilizzato un ampio database che rappresenta il 5%-7% (n=6.227.474) della popolazione Medicare per verificare e descrivere i cambiamenti nell’utilizzo dei servizi di cura oncologica causati dall’impatto della pandemia sulla popolazione dei malati affetti da neoplasie, compresa l’identificazione di nuovi pazienti, le lacune nell’accesso alle cure e le interruzioni del percorso terapeutico. Nel periodo marzo-luglio 2020, rispetto al marzo-luglio 2019, si è registrata una sostanziale diminuzione di screening oncologici, visite, terapie e interventi chirurgici, con variazione per tipo di tumore e sede dei centri di erogazione delle cure. Nel periodo in studio gli screening per i tumori della mammella, del colon, della prostata e del polmone erano ridotti dell’85%, 75%, 74% e 56% rispettivamente quando confrontati con il periodo di riferimento. Nello stesso periodo sono state osservate significative riduzioni nell’utilizzo dei servizi ambulatoriali di rivalutazione clinica e gestione dei pazienti in corso di trattamento (-74%), di valutazione e prima visita di nuovi pazienti (-70%) e degli appuntamenti (-60%).

Un altro studio di coorte retrospettivo31 ha utilizzato l’Health Core Integrated Database che comprende circa 60 milioni di persone in Medicare Advantage di diverse regioni degli Stati Uniti, per quantificare le modificazioni dei tassi di screening per cancro della mammella, del colon-retto e della prostata associate alla pandemia in diverse aree geografiche degli US nel 2020. I risultati mostrano che gli screening per tutti e 3 i tumori erano diminuiti drasticamente nel 2020 rispetto al 2019, con il calo più marcato ad aprile (seno: -91%; colorettale: -79%; prostata: -63%). Il deficit assoluto degli screening associato alla pandemia è stato stimato pari a 4 milioni per la neoplasia mammaria, 4 milioni per il cancro del colon-retto, e 2 milioni per il cancro della prostata. Sono state osservate anche differenze geografiche: il Nordest ha sperimentato il calo più netto degli screening, mentre l’Ovest ha avuto una ripresa più lenta rispetto a Midwest e Sud. A questo proposito un editoriale di Science32 prova a valutare quale potrà essere il probabile impatto della pandemia sulla mortalità per cancro negli Stati Uniti. L’effetto della pandemia sullo screening del cancro del seno e del colon-retto – circa un sesto di tutti i decessi per cancro – e sul loro trattamento suggerisce quasi 10.000 morti in eccesso per le due neoplasie nel prossimo decennio, ovvero un aumento di circa l’1% dei decessi per questi tipi di tumore durante un periodo in cui ci aspetteremmo di vedere quasi 1.000.000 di decessi per questi due tipi di malattie. Il numero di decessi in eccesso per anno raggiungerà il picco nei prossimi uno o due anni. Questa analisi è conservativa, poiché non considera altri tipi di cancro, non tiene conto dell’ulteriore morbilità non letale derivante dall’upstaging e presuppone una moderata interruzione delle cure che si risolve completamente dopo 6 mesi. Inoltre, non tiene conto delle variazioni regionali nella risposta alla pandemia.

Nel nostro Paese, le regolari attività di diagnosi e cura in oncologia sono state sospese per 1.190.000 malati neoplastici (20% del totale) pur con differenze regionali (-3% P.A. Trento ; -60% Basilicata)33.

Secondo AgeNaS, nel periodo marzo-giugno 2020 il volume degli interventi chirurgici per cancro della mammella si è ridotto rispetto allo stesso periodo del 2019 (mediana -24%)34, mentre, in prevenzione secondaria, l’Osservatorio Nazionale Screening (ONS) denuncia un netto calo degli screening mammografici rispetto al 2019, in parte per il minore numero di donne contattate e in parte per una minore adesione delle donne, meno propense a presentarsi al test. Si stima che gli screening mammografici non eseguiti corrispondano a 3324 mancate diagnosi di cancro35.

Per i tumori del colon-retto, i dati AgeNaS, nel periodo marzo-giugno 2020, mostrano un calo globale del volume di interventi chirurgici rispetto allo stesso periodo del 2019 (mediana -35%); anche in questo caso con differenze regionali (-19% Piemonte; -54% e -54,5% per Marche e Umbria). In prevenzione secondaria, i dati ONS mostrano una contrazione delle prestazioni di screening colorettale erogate nel 2020 rispetto al 2019 (-32% pari a 1.929.530 esami in meno) che si stima corrispondano a 1299 mancate diagnosi di carcinoma e 7474 di adenoma avanzato34,35.

Patologia di pertinenza chirurgica

In ultimo, per quanto riguarda la chirurgia elettiva, la globale riduzione dell’attività nel Paesi occidentali non è al momento quantificabile. Pochi Paesi hanno accesso in tempo reale ai dati e anche quelli che possono farlo potrebbero subire ritardi nell’elaborazione delle informazioni a causa delle pressioni esercitate dalla situazione sui sistemi sanitari. Ciononostante, uno studio condotto dal “COVIDSurg Collaborative” con esperti dei 193 Paesi dell’ONU36 ha stimato il numero totale di interventi chirurgici elettivi che potrebbero essere stati annullati o posticipati in tutto il mondo durante le 12 settimane di interruzione dei servizi ospedalieri a causa della pandemia. I risultati mostrano che 28.404.603 di interventi potrebbero essere stati annullati o rinviati con un tasso di cancellazione per le 12 settimane di blocco pari a 72%. È stato calcolato che l’82% (n=25.638.922) degli interventi annullati/rinviati riguarda patologie benigne, il 37% le resezioni di tumori solidi (n=2.324.070) e il 25% le cesarizzazioni elettive (n=441.611). Se questi Paesi aumentassero del 20% il loro volume standard di lavoro sarebbe necessaria una media di 45 settimane per eliminare tutto l’arretrato.

In Italia nel 2020 i ricoveri urgenti ed elettivi si sono ridotti di 1,3 mln (17%): -52% area medica, 55% chirurgie di base, -13% chirurgia oncologica, -55% cardiochirurgia37. La chirurgia ortopedico-traumatologica ha verificato una riduzione di oltre 90.000 interventi di protesi articolari nel 2020 rispetto al 201938. Questi dati non sono definitivamente consolidati e necessitano perciò di ulteriori verifiche.

Discussione

Con l’aumentare della pressione esercitata dai casi di covid sulle strutture pubbliche del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) dovuta alla quarta ondata della pandemia, torna ad aumentare la quota di casi di patologia non covid non diagnosticata né trattata che potrebbe a sua volta, sommandosi ai casi ancora in attesa di cure dall’inizio del 2020, trasformarsi in un eccesso di morti evitabili.

Sarebbe allora necessario che appropriati percorsi clinico-assistenziali di diagnosi e cura fossero urgentemente strutturati assieme a una ridefinizione di funzioni e attività dei singoli ospedali inseriti nella rete nazionale di assistenza sanitaria pubblica per mantenere un volume di prestazioni almeno prossimo alla normalità, con una speciale monitorizzazione delle patologie più a rischio in regime di urgenza ed elezione e finalizzati alla risoluzione dell’arretrato già accumulato in un arco temporale predefinito.

Un progetto di riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale di così vasta portata non potrà però attuarsi senza che si realizzi da parte delle autorità sanitarie del Paese e di tutte le Istituzioni mediche una collettiva e univoca presa di coscienza riguardo all’entità e alla complessità del problema. Solo in questo modo si potranno mettere in atto programmi specifici ed eccezionali di assistenza per le patologie di maggior interesse, evitando che il SSN, già duramente provato, sia portato a rischiare una crisi di salute pubblica di imprevedibili dimensioni in termini di costi umani ed economici.

Non è certo questa la sede per un approccio sistematico e di dettaglio al tema ma è possibile delineare, in via generale, una prospettiva futura di sviluppo a breve termine.

In sintesi, pur senza modificazioni radicali dell’attuale assetto sanitario del Paese, si dovrebbe prevedere una ridefinizione degli obiettivi generali del SSN per:

concretizzare un patto tra Stato e Regioni mirato a definire obiettivi di tutela sanitaria nel senso duplice di contenimento dei rischi e presa in carico dei bisogni di assistenza per patologia in regime di urgenza e di elezione;

programmare interventi centralizzati a livello di Governo nazionale definiti con sufficiente flessibilità da consentire l’adeguamento periferico secondo programmi organizzativi decentrati volti a contrastare l’emergenza sanitaria non covid in linea con l’evoluzione della pandemia da un lato, e con i bisogni delle diverse popolazioni di pazienti non covid dall’altro;

allineare le scelte di politica sanitaria centrali e periferiche alla necessità di rispondere con adeguati percorsi clinico-assistenziali a una domanda di salute diversificata in base ai differenti settori di assistenza (diagnostica; elezione vs urgenza; area medica vs area chirurgica),

attraverso almeno 4 obiettivi specifici:

valutazione sistematica dello stato di salute delle popolazioni dei pazienti e delle diseguaglianze nell’ambito della salute e dell’assistenza;

individuazione e verifica delle priorità da affrontare e degli obiettivi da raggiungere in ciascun settore assistenziale;

definizione degli specifici interventi in rapporto a ciascuno specifico obiettivo;

valutazione dell’impatto degli interventi sulla qualità della salute e sulla riduzione/eliminazione delle disuguaglianze e dei ritardi nelle attività di diagnosi e cura.

Tali obiettivi necessitano di adeguati sistemi informativi per poter attivare:

raccolta sistematica dei dati utili all’analisi per gruppi di pazienti, natura dei bisogni assistenziali, caratteristiche della domanda di assistenza;

analisi epidemiologica, territoriale e ospedaliera per gruppi di malattie;

elaborazione sulla base dei dati raccolti di processi decisionali rigorosamente mirati,

mettendo in gioco capacità:

tecniche per trasformare le decisioni in obiettivi misurabili di salute;

tecniche per configurare interventi scientificamente fondati, valutabili in termini di costo/efficacia;

gestionali a livello locale per l’attuazione degli interventi tramite appropriate deleghe di responsabilità;

documentative degli interventi attuati e dei risultati ottenuti.

Conclusioni

Nel corso della pandemia, in Italia come in altri Paesi del mondo occidentale, il massiccio afflusso agli ospedali dei pazienti affetti da covid-19 ha sottoposto i sistemi sanitari a una pressione senza precedenti. Questo scenario drammatico ha causato uno squilibrio mai sperimentato tra domanda e offerta di assistenza che ha reso necessario dedicare tutte le risorse disponibili alla cura di questi pazienti con massicce operazioni di ristrutturazione e riconversione di quasi tutti i reparti ospedalieri. Come conseguenza, l’accesso alle cure necessarie per i pazienti non covid è stato limitato o addirittura precluso.

La quarta ondata attualmente in corso, pur con numeri differenti, sta riproponendo uno scenario simile a quello già sperimetato nel recente passato.

I ritardi nelle procedure diagnostiche o nella cura di molte malattie acute o croniche, sommandosi a quelli accumulati nel biennio 2020-2021, possono determinare un pericoloso aumento della loro gravità con conseguente aumento di morbilità e mortalità correlata a breve e a lungo termine.

Questo è particolarmente evidente nel caso delle malattie acute tempo-dipendenti come quelle cardio- o cerebrovascolari o nel caso delle malattie croniche degenerative come le neoplasie, per le quali l’interruzione delle attività di screening richiederà trattamenti più complessi con una minore probabilità di esito positivo delle cure, un aumento della domanda di assistenza e della conseguente dipendenza dei malati dai caregivers, una minore qualità della vita, un minore numero di anni di vita salvata, una maggiore mortalità, e, in fine, maggiori costi economici.

Lo sviluppo di politiche sanitarie urgenti per promuovere l’accesso alle cure per la popolazione di pazienti non covid è un compito inevitabile dei governi e di tutti i decisori se si vuole scongiurare una crisi sanitaria di proporzioni non prevedibili.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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