Applicazioni della digital medicine ai PDTA: tassonomia, metodologia, impatto sul paziente e barriere da superare

Silvia Calabria1, Carlo Piccinni1, Giuseppe Recchia2, Eugenio Santoro3, Sabrina Grigolo4, Nello Martini1

1Fondazione ReS (Ricerca e Salute), Casalecchio di Reno (Bologna); 2daVi DigitalMedicine srl, Verona; 3Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano; 4Accademia del Paziente Esperto EUPATI, Roma.

Pervenuto su invito il 16 dicembre 2021.

Riassunto. La digital health rappresenta un tassello importante della gestione della cronicità anche alla luce della riforma dell’assistenza di prossimità che si intende attuare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). A tale scopo risulta strategico l’inserimento degli strumenti di digital health nei Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA). Uno specifico Gruppo di Lavoro del Progetto MaCroScopio ha definito la cornice di tipo tassonomico, metodologico e culturale all’interno della quale promuovere lo sviluppo della digital health. Questo al fine di cercare di garantire che l’introduzione di questo tipo di innovazione tecnologica non risponda solo alla necessità di efficientamento del sistema sanitario, ma anche ai reali bisogni del paziente, e non rischi di diventare un elemento che, invece di diminuirle, acuisca le disuguaglianze di accesso alle risorse sanitarie.

Parole chiave. Digital health, digital therapeutics, PDTA.

Applications of digital medicine to care pathways: taxonomy, methods, impact on patients, barriers to overcome.

Summary. Digital health represents an important step in the management of chronic diseases also in light of the reform of proximity care that is intended to be implemented as part of the Recovery Plan (PNRR). For this purpose, the inclusion of digital health tools in the care pathways is strategic. A specific Working Group of the MaCroScopio Project defined a taxonomic, methodological and cultural framework within which the development of digital health can be promoted. This would ensure that the introduction of this type of technological innovation addresses not only the need for a more efficient health system but also the real patients’ healthcare requirements. At the same time it fosters the reduction of healthcare access inequalities, instead of their exacerbation.

Key words. Care Pathway, digital health, digital therapeutics.

Premessa

La salute digitale (digital health) rappresenta un tassello fondamentale per la gestione della cronicità e per la riforma della assistenza di prossimità prevista dalla Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)1. Risulta strategico, pertanto, comprendere come gli strumenti della digital health possano essere inclusi nei Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA) al fine di attuare la presa in carico dei pazienti cronici garantendo l’effettiva centralità del paziente. Per fare ciò, tuttavia, occorre raggiungere un consenso sulla tassonomia da impiegare, sulle modalità con cui valutare gli strumenti digitali, sul loro ruolo all’interno del percorso e sugli effettivi benefici per i pazienti. Per affrontare queste tematiche si è svolto uno specifico Gruppo di Lavoro del progetto MaCroScopio (Osservatorio sulla cronicità) che ha visto la partecipazione di esperti italiani di digital health i cui contributi sono stati condensati in questo articolo.

Dalla digital health alle digital therapeutics: dalla tassonomia alla pratica

Sono oltre 350.000 le applicazioni di digital health alle quali si può accedere attraverso l’acquisto online, ma nella gran parte dei casi non sappiamo a quale tipo di sviluppo fossero sottoposte2. Sappiamo che c’è un piccolo sottoinsieme con caratteristiche diverse, applicazioni dietro le quali c’è stata una ricerca, che interessano la persona affetta da una patologia, con il familiare di riferimento, e le malattie. All’interno di questo sottoinsieme ce n’è un altro, ancora più piccolo, che riguarda le cosiddette terapie digitali (digital therapeutics). Seguendo quindi la tassonomia proposta nel 2019 dalla Digital Medicine Society e altre associazioni (tabella 1)3, possiamo identificare come digital health l’insieme di tutte le tecnologie digitali per la salute, come “digital medicine” un suo sottoinsieme e come “digital therapeutics” uno dei sottoinsiemi della digital medicine.




Ma questa tassonomia è veramente quella corretta? Occorre considerare che c’è una grande barriera fra le categorie “digital health” e “digital medicine”: le applicazioni che ricadono nella prima grande definizione di digital health, infatti, non richiedono prove di efficacia a sostegno del loro impiego, né prevedono che vi sia alcuna supervisione regolatoria. Quando ci riferiamo alla digital medicine, invece, ci spostiamo nell’area della malattia e della cura, del paziente e dei professionisti sanitari, nell’area dell’“intervento”; parliamo quindi di dispositivi medici e di ricerca clinica che devono fornire le prove d’efficacia necessarie a sostenere da una parte l’autorizzazione al dispositivo medico, ma dall’altra soprattutto la fiducia del medico, del paziente e del farmacista che questi siano strumenti che generano salute.

Gli strumenti di digital medicine hanno due grandi finalità: misurare e trattare. La misurazione può essere fatta in modo modo attivo, attraverso test e questionari online compilati dai pazienti, oppure passivo, attraverso centinaia di sensori che misurano tantissimi parametri nel corpo umano, ma anche sensori sui farmaci, o sui dosatori/dispenser dei farmaci. Tuttavia ciò che occorre tenere bene a mente, per evitare di generare confusione, è che con questi strumenti (digital monitoring) ci troviamo in un’area della misurazione digitale, non del trattamento.

Nel campo del trattamento, invece, ad avere da sempre una enorme visibilità sono le digital therapeutics, ma non è questo l’unico sottoinsieme della digital medicine che ha il diritto di occupare questa posizione. Ci sono infatti i digital self management educational supports, applicazioni che forniscono al paziente istruzioni, indicazioni, informazioni senza la pretesa di essere terapie, ma che riescono a far ottenere, per esempio nel diabete, un beneficio clinico4.

Digital drug supports

C’è poi un’altra categoria che ha altrettanto diritto oggi di comparire nel sottoinsieme della digital medicine: i digital drug supports. Si tratta di applicazioni utilizzate in associazione o in combinazione con il farmaco, talora impropriamente indicati come digital companion, supporti digitali del farmaco che hanno un obiettivo fondamentale, quello cioè di ottimizzare le prestazioni di efficacia del farmaco, recuperando nella vita reale la stessa efficacia documentata nella fase sperimentale di valutazione, integrando per esempio il farmaco con un’applicazione digitale che ricordi al paziente quando prenderlo, che gli mostri un video su come assumerlo, che lo metta in contatto con pazienti che hanno avuto una esperienza di reazione avversa che magari porterebbe il paziente a sospendere la terapia; tutto questo è il digital drug support, che al pari delle digital therapeutics richiede una definizione precisa che oggi non ha e una descrizione puntuale dei suoi elementi costitutivi e quali debbano essere i livelli di prova di efficacia necessari per sostenerne l’uso.

Un’altra domanda riguarda il valore di questi supporti per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Se un farmaco viene accoppiato a un dispositivo digitale che ne ottimizza l’uso, che cosa possiamo aspettarci? Un premio di prezzo per il farmaco, oppure un rimborso del dispositivo digitale? E le documentazioni andrebbero fornite all’AIFA o al Ministero della Salute? I digital drug supports meriterebbero pertanto la stessa attenzione dedicata fino a oggi alla digital therapeutic, perché diventeranno con il tempo sempre più diffusi.

Digital therapeutics

Quando parliamo di digital therapeutics, invece, parliamo di tecnologie sanitarie (health technologies). Esse erogano un intervento terapeutico al paziente affetto da una o più patologie croniche attraverso la modifica di comportamenti e stili di vita che richiedono un adattamento alla patologia. Sono sviluppate con sperimentazioni cliniche randomizzate (randomized clinical trials - RCT) e controllate a finalità confirmatoria, approvate da enti regolatori, coperte da assicurazioni sanitarie pubbliche e private, prescritte dai medici. Il principio attivo è un algoritmo, non una molecola chimica o biologica. Lo sviluppo di una digital therapeutic non ha nulla di diverso da quello del farmaco. Deve dimostrare un’efficacia clinica provata col metodo sperimentale, ottenuta cioè con RCT pubblicati su riviste peer-reviewed5. Ciò che qualifica un’applicazione digitale come digital therapeutic è rappresentato quindi dalle prove cliniche ottenute con metodo sperimentale confirmatorio, non è sufficiente la sola approvazione come dispositivo medico. Cos’è allora una digital therapeutic? Dovremmo pertanto aggiornare la definizione del 2019 che indica le digital therapeutics come «interventi terapeutici che sono guidati da programmi software di alta qualità, basati su evidenza scientifica ottenuta attraverso sperimentazione clinica metodologicamente rigorosa e confermatoria, per prevenire, gestire o trattare un ampio spettro di condizioni fisiche, mentali e comportamentali»6.

La Germania per introdurre le tecnologie digitali per la salute e la malattia è ricorsa a una legge, approvata a novembre 2019, e in vigore dal 1° gennaio del 2020. Non vi è dubbio sulla necessità anche in Italia di una legge per la digital health. Per arrivare a questa, occorre promuovere non solo un’informazione capillare sulla digital medicine, ma anche formare medici, operatori sanitari e istituzioni, promuovere la ricerca e lo sviluppo nel nostro Paese, sapendo che fuori dai nostri confini ci saranno a breve, pronte per entrare, decine di applicazioni, senza che ci siano ancora le strade necessarie per accoglierle.

Il rigore metodologico nella valutazione delle digital therapeutics

Una terapia farmacologica, per essere immessa sul mercato, deve essere prima approvata da un ente regolatorio sulla base di dati che provengono da RCT rigorosi e confirmatori. Endeavor RX®, una delle digital therapeutics più note, basata su un videogioco approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 2020, è stata autorizzata sulla base dei risultati di tre RCT ed è identificata come terapia, tanto che il suo dosaggio è di 25 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana per 4 settimane (lo schema terapeutico che è stato appunto studiato nell’ambito degli RCT). Nelle digital therapeutics quindi, come abbiamo già detto, il software è il principio attivo e la metodologia utilizzata per studiare queste terapie è quella degli RCT (nella figura 1 sono schematizzate le similitudini tra le fasi degli RCT dei farmaci tradizionali e quelli delle digital therapeutics).




Come tutti gli RCT c’è una fase 1, che nel caso delle digital therapeutics ha a che fare con lo sviluppo tecnologico dello strumento, nella quale devono essere ben chiari gli obiettivi che si intendono realizzare: usabilità e disegno dell’interfaccia grafica (in questa fase il supporto dei pazienti e delle associazioni dei pazienti è fondamentale), sicurezza tecnologica dello strumento, oltre ovviamente a tutti gli aspetti ingegneristici che devono essere implementati e che devono consentire allo strumento di funzionare. C’è poi una fase 2 del RCT, che si conduce in un unico centro su pochi pazienti coinvolti e che ha come obiettivo quello di misurare la safety di tipo clinico, che non si manifestino cioè danni conseguenti all’uso di questo strumento nei pazienti. La fase pilota serve anche per comprendere – in poco tempo e con poca spesa – se l’applicazione mostra dei segnali (non prove, ma segnali) di efficacia. È proprio al termine di questa fase che i dati raccolti possono essere utilizzati per la richiesta di approvazione come dispositivo medico. D’altra parte la nuova regolamentazione entrata in vigore a partire da maggio7 richiede sempre più prove di efficacia (e non più solo di sicurezza) di tipo clinico alla base della registrazione dei dispositivi medici e le digital therapeutics sono inquadrate, a oggi, come dispositivi medici, sebbene nel Regolamento europeo manchi una trattazione specifica dedicata a esse. Al termine di questa fase si può pensare di fare – e si deve fare, se si vuole ragionare in termini di digital therapeutic – un RCT allargato (con più centri partecipanti e un numero di pazienti decisamente più consistente rispetto a quello della fase precedente) usando la stessa e identica metodologia prevista per studiare l’efficacia dei farmaci, quindi un braccio di intervento associato alla digital therapeutic e un braccio di controllo che utilizza lo standard of care.

Al termine del periodo di sperimentazione si vanno a confrontare gli outcome di tipo clinico che sono stati misurati sui pazienti, sulla base dei quali poi si può decidere se l’effetto della digital therapeutic è stato tale da modificarli e in che modo, permettendo in esito a questi studi la registrazione della digital therapeutic e la sua diffusione.

Esiste poi una quarta fase, relativa alla farmacovigilanza che nel caso di questa tipologia di strumenti viene facilitata dal fatto che si raccolgono i dati in maniera passiva, fornendo indicazioni real world su reazioni avverse che non sono state raccolte nell’ambito del RCT.

Ma è così che si procede nella realtà? A giudicare da una revisione sistematica condotta negli scorsi mesi e pubblicata su Ricerca & Pratica8 il numero di articoli pubblicati nell’ambito degli studi clinici a supporto delle digital therapeutics e disponibili su MEDLINE/PubMed è ancora molto limitato. La revisione sistematica è stata condotta sul database ClinicalTrials.gov. Sono stati esclusi dai risultati della ricerca tutti gli studi non randomizzati o che non erano supportati da alcuno strumento tecnologico, o che si riferivano a tecnologie di supporto della gestione della patologia, ma che non erano identificate come terapie. Individuati gli studi randomizzati di digital therapeutics sono state estratte dal database le informazioni necessarie all’analisi. Ciascuno studio è stato classificato manualmente in base al tipo di intervento tecnologico usato e alla patologia per la quale si stava studiando quel particolare intervento. Il primo dato forse più interessante è che dei 560 studi individuati, 424 sono stati esclusi, di cui la maggior parte, circa 200, perché non erano stati condotti RCT. Altri studi sono stati invece eliminati perché l’intervento tecnologico, seppur definito come digital therapeutic, non aveva nulla a che fare con la definizione di terapia, ma si trattava piuttosto di strumenti a supporto della patologia o al monitoraggio della stessa; per esempio quelli che afferiscono all’aderenza al trattamento, che permettono di gestire la patologia da remoto o di tenerla monitorata o di raccogliere informazioni sugli eventi avversi. Sono quindi rimasti 136 studi: nella maggior parte di questi (circa il 42%) la digital therapeutic era basata sull’uso di applicazioni, seguito da sistemi più tradizionali, web-based. L’area medica a cui afferiva circa un terzo degli strumenti era quella della salute mentale, seguita dalle malattie croniche (diabete, ipertensione), dalle dipendenze e da altre patologie legate a errati stili di vita e per le quali la terapia cognitivo-comportamentale e le modifiche degli stili di vita sono già parte integrante del trattamento tradizionale.

Circa un quarto degli studi è stato promosso dall’industria, il 12% circa in esclusiva e il 15% in collaborazione con altre organizzazioni, mentre il restante è stato promosso da altre organizzazioni, in generale no profit; quindi c’è una limitata presenza dell’industria nello studio di questi strumenti. Più interessanti sono i limiti metodologici individuati (tabella 2): gli outcome di questi studi sono generalmente più soft rispetto a quelli delle terapie farmacologiche che hanno a che fare con la mortalità, la sopravvivenza, i ricoveri ospedalieri e gli eventi clinici importanti. Mentre nell’ambito delle digital therapeutics si ha a che fare con misurazioni che riguardano la qualità della vita o l’individuazione di scale validate per misurare, per esempio, depressione o ansia, senza l’intervento di un clinico.




Gli outcome sono misurati in maniera molto eterogenea: in alcuni studi sono di tipo clinico, quindi rilevati da un medico; in altri, invece, sono basati per esempio sui Patient Reported Outcome. Il limitato engagement dei pazienti determina anche due altri ordini di problemi: 1) linguaggio digitale che non tutti hanno; 2) assicurazione sul device che viene consegnato al paziente per la sperimentazione che spesso è a carico dei pazienti, oltre agli spostamenti verso il centro di ricerca. In presenza di uno strumento digitale, perché non è possibile ridurre le distanze? Ben vengano i pragmatic clinical trial che privilegiano un setting del paziente o i decentralized clinical trial, verso cui la ricerca sembra orientata.

L’aspetto importante è avvicinarsi al setting di vita della persona e non il contrario. Il periodo di follow-up in genere è breve e il reclutamento è limitato a pochi pazienti (con una mediana piuttosto bassa di 120 pazienti). Non tutti gli studi inoltre raccolgono eventi avversi. Quindi possiamo affermare che, sebbene quello degli RCT a oggi sia l’unico metodo solido per ottenere prove di efficacia nell’ambito delle digital therapeutics, tale modello non è propriamente utilizzato o non è utilizzato affatto da chi fa ricerca clinica in questo ambito. Inoltre, molte terapie definite come digital therapeutics in realtà non lo sono, o per questioni metodologiche – perché non sono basate su studi randomizzati – o tecniche; gli interventi digitali cioè non sono curativi ma intendono supportare il paziente nella gestione della patologia o della terapia farmacologica, c’è quindi un problema di formazione e di tassonomia anche fra gli stessi ricercatori. Occorre, quindi, superare i limiti oggettivi esistenti, pensare a outcome più solidi dal punto di vista clinico, con misure più omogenee, utilizzando scale validate, ricorrere a un maggior uso di strumenti di engagement, per coinvolgere il più possibile il paziente e limitare o eliminare il fenomeno dei drop out (abbandono dello studio), reclutare un numero maggiore di pazienti in più centri e aumentare la raccolta degli eventi avversi.

L’inserimento della digital health nei PDTA: criticità e metodologia

Diversi sono i principali ostacoli alla digitalizzazione della sanità in Italia. Tra i maggiori, si annoverano la copertura wi-fi non omogenea su tutto il territorio nazionale, la scarsa interoperabilità tra database e tra flussi informativi, il digital divide (per età, disabilità e condizione sociale), la scarsa percezione del valore aggiunto alla sanità tradizionale e la mancanza di formazione del personale sanitario e del paziente che restano privi delle competenze anche solo teoriche necessarie a comprendere l’utilità degli strumenti di digital health al loro servizio. Vale la pena ricordare anche le questioni di natura legale correlate a privacy e cybersecurity e la mancanza di un processo di vigilanza degli effetti avversi specifico per le digital therapeutics. Il superamento di questi ostacoli potrà portare a un’equità di accesso ai servizi sanitari, superando sia le disparità fisiche, economiche e sociali, sia quella che è ancora oggi un’organizzazione sanitaria settoriale.

La digital health nei PDTA

Si parla di tecnologia in sanità dalle prime linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina del 20109, riprese nel 2016 dal Piano Nazionale della Cronicità10 che promuove alcune linee di intervento per rafforzare l’assistenza attraverso l’aiuto della digital health. Nel PNRR1, la digital health viene finalmente considerata un plusvalore su cui investire per rendere più efficiente la sanità italiana. Infine, come riportato nella bozza di documento di Agenas11, la digital health può costituire un utile strumento per ripensare un modello integrato ospedale-territorio, al fine di rafforzare e valorizzare i servizi sanitari territoriali. Tutti i documenti citati si sono posti l’obiettivo di favorire i processi di presa in carico del paziente cronico, in particolare attraverso l’uso della telemedicina e della teleassistenza, in quanto tecnologie di digital health di più immediata applicazione.

Gli strumenti di digital health trovano applicazione in diverse fasi del PDTA, a partire dalla valutazione del bisogno di salute, attraverso l’accompagnamento all’assistenza più appropriata fino alle fasi terminali del paziente (figura 2), al fine di favorire il più possibile la continuità ospedale-territorio-domicilio.




Una volta determinato il bisogno di salute, si possono delineare due percorsi in cui la digital health riveste ruoli fondamentali (figura 2).

Il paziente potrebbe necessitare solo di essere monitorato per prevenire lo sviluppo di una patologia o le ricadute di una malattia cronica già diagnosticata (1o percorso - figura 2). In questo percorso il telemonitoraggio e l’automonitoraggio dello stile di vita rivestono una grande utilità sia nella gestione del rischio sia nella programmazione delle visite e degli esami relativi ai programmi di screening. Allo stesso tempo, la tecnologia può supportare efficacemente la diagnosi, favorire la presa in carico e l’attivazione del PDTA in modo tempestivo (2o percorso - figura 2), attraverso la condivisione della cartella clinica elettronica e dando al paziente la possibilità di seguire attivamente il suo percorso di cura tramite il fascicolo sanitario elettronico (FSE). Le visite mediche possono essere effettuate da remoto, quando necessario, e la valutazione multidisciplinare viene ampiamente favorita, consentendo e facilitando il migliore e più appropriato intervento terapeutico. Al momento della prescrizione dell’intervento terapeutico il medico viene supportato da software che permettono una comunicazione efficace con il paziente (FSE) e con la farmacia erogante. Inoltre, avrebbe la possibilità di prescrivere, qualora in commercio, una digital therapeutic o di proporre al paziente un supporto digitale a un farmaco tradizionale (digital drug support). Se opportuni, possono essere attivati teleconsulto e teleassistenza al fine di favorire l’assistenza domiciliare. Nelle fasi di follow-up, oltre alla possibilità di programmare da remoto visite ed esami, il telemonitoraggio, l’automonitoraggio di valori biochimici e obiettivi clinici e gli strumenti digitali utili alla valutazione dell’aderenza ricoprono un ruolo centrale. Infine, la linea di intervento potrebbe prevedere un percorso di riabilitazione, per cui sono in grande sviluppo la teleriabilitazione e l’autoriabilitazione (digital rehabilitation), oppure le cure palliative.

Le digital therapeutics nei PDTA

La Fondazione ReS, attraverso le competenze sviluppate a partire dai progetti ReS Digital Medicine e PDTA Net, ha proposto una metodologia di posizionamento delle digital therapeutics nei PDTA. Prima di tutto, si rende necessario identificare i PDTA regionali pubblicati ufficialmente, che sono raccolti sistematicamente nel database di PDTA Net (https://fondazioneres.it/pdta/) per la cui patologia di riferimento è stata approvata una digital therapeutic. A livello teorico, la proposta è di smontare il PDTA nelle sue componenti principali e di valutare il posizionamento della digital therapeutic attraverso un percorso collaborativo e coordinato di tutti gli stakeholder per quella determinata patologia (produttore della tecnologia, professionista sanitario, legislatore e paziente). Una volta individuata la posizione della terapia, il PDTA viene rimontato, andando, quindi, a costituire un PDTA aggiornato. L’integrazione della digital health nel PDTA offre una serie di opportunità e garanzie al sistema sanitario e al paziente. Vengono garantite e rafforzate la continuità territorio-ospedale, la personalizzazione delle cure, la flessibilità dell’assistenza, l’appropriatezza e lo svolgimento degli interventi e delle attività previste dai livelli essenziali di assistenza (LEA). Tale integrazione deve svolgersi nel rispetto dell’equità e della centralità del paziente, e contestualmente deve ridurre la possibilità di interventi inappropriati, senza comunque perdere di vista la sostenibilità economica.

Il ritorno informativo

I dati provenienti dagli strumenti di digital health sono tantissimi e hanno un enorme valore. Un loro primo utilizzo è quello che sistematicamente viene fatto internamente dalle autorità sanitarie locali o regionali per la valutazione, il miglioramento e il controllo delle performance delle prestazioni all’interno del PDTA. Questi stessi dati vengono in seguito trasmessi al Ministero della Salute per l’alimentazione dei flussi, come da richiesta normativa. I dati possono anche convogliare all’interno di piattaforme informatiche ed essere utilizzati con finalità di ricerca, per la produzione di evidenze real-world. Grazie a quest’ultimo utilizzo, numerosi sono i ritorni informativi: dalla formazione dei professionisti sanitari all’empowerment del paziente, dall’implementazione dei sistemi di sorveglianza della popolazione al supporto delle decisioni regolatorie, della governance e della sostenibilità del processo assistenziale.

Un buon ritorno informativo potrebbe trasformare l’attuale circolo vizioso con i relativi limiti all’adozione reale degli strumenti di digital health, in un circolo virtuoso, dove aumentano la percezione del valore dei servizi digitali offerti, il numero di evidenze sulle tecnologie di digital medicine, in particolar modo sulle digital therapeutics, e gli investimenti nell’innovazione tecnologica e/o terapeutica. Questi passaggi virtuosi potranno portare alla definizione di uno standardizzato sistema di accesso e rimborso da parte del SSN che garantirà, quindi, al paziente la possibilità di essere assistito nel modo più equo possibile.

Digital health: impatto sulla qualità della vita del paziente e sulla semplificazione del percorso di cura

Finora abbiamo visto come non si può parlare di digital health in modo generico senza che essa sia correlata a definizioni, obiettivi e bisogni specifici. Anche quando parliamo di impatto e percezione della digital health sulla qualità della vita del paziente occorre essere più precisi. Dietro al paziente c’è infatti una rete sociale, una famiglia e dei caregiver. Quindi al centro del sistema, oltre al paziente stesso, c’è la relazione di cura con e per il paziente, ed è questa relazione che produce valore (figura 3).




Se non consideriamo l’aspetto relazionale, infatti, perdiamo quel valore che deriva dall’incontro tra il sapere scientifico di chi studia la malattia, da una parte, e il sapere esperienziale di chi vive la malattia, dall’altro (pazienti, caregiver, rappresentanti dei pazienti, associazioni). Se non facciamo questo sforzo per considerare il sapere esperienziale di pari dignità all’interno della trasformazione digitale ci troveremo ad affrontare enormi criticità, come i già citati drop out nelle sperimentazioni cliniche.

Dunque, occorre chiedersi perché la relazione con e per il paziente debba essere centrale. Perché in realtà ciò che andrebbe ottenuto è la co-produzione e la concordanza (figura 3), cioè il livello massimo di engagement, e non solo il coinvolgimento del paziente senza che ci siano obiettivi definiti e specifici12. Co-produzione e concordanza ovviamente richiedono anche una buona preparazione da parte dei professionisti della sanità.

Patient Reported Outcomes Measure (PROM) e Patient Reported Experience Measure (PREM)

I PROM e i PREM sono strumenti che permettono di misurare gli esiti riportati e l’esperienza del paziente in relazione ai processi di cura. I PROM permettono di rilevare gli esiti, sia a breve sia a lungo termine, riportati dai pazienti, misurati con scale di valutazione. I PREM misurano invece le percezioni dei pazienti e dei caregiver in relazione al processo di cura, fornendo riscontri utili a orientare il miglioramento dei servizi. Mettono dunque in evidenza cosa pensa il paziente delle cure ricevute oggi (breve termine) e cosa pensa del sistema di cure integrate che ha ricevuto nel tempo (lungo termine). Questo tipo di valutazione per i pazienti e i caregiver rappresenta un elemento fondamentale perché consente di esperire un momento di restituzione, di riscontro e dunque di coinvolgimento nel piano terapeutico o nel trattamento sanitario.

Gli approcci utilizzati per i PREM possono essere qualitativi e quantitativi e gli strumenti utilizzati sono di tipo classico: sorveglianze, focus group, storia dei pazienti, patient journey e osservazione. Gli aspetti considerati dai PREM possono essere: il tempo di attesa trascorso, l’accesso ai servizi, l’orientamento nei servizi, il coinvolgimento nel prendere le decisioni, la conoscenza del piano di cura e del percorso, la qualità della comunicazione, il supporto alla gestione delle condizioni croniche, il network. Per i PROM, riguardando la percezione della persona della propria salute, ci sono strumenti specifici per patologia e generici per processi o percorsi e le misure possono essere: sintomi, stress, ansia, bisogni non soddisfatti/non emersi.

Per quanto riguarda la digital health, in letteratura sono riportati alcuni concetti sicuramente interessanti e che sarebbe importante vedere riproposti all’interno dei percorsi di coinvolgimento dei pazienti e dei caregiver. Il primo è quello relativo all’usabilità13, una caratteristica che deve essere parte integrante del percorso di valutazione dell’efficacia della digital health, e che richiede però il coinvolgimento del paziente sin dalla fase della progettazione, perché i bisogni dei pazienti, soprattutto quelli non riconosciuti o quelli non soddisfatti, possono essere rappresentati solo dalla comunità dei pazienti, ormai oggi interlocutori preparati. Il secondo elemento è la ricaduta sull’efficacia, sull’aderenza al piano di trattamento, sulla capacità di monitorare la propria salute se il paziente è coinvolto fin dall’inizio in modo strutturato, trasparente e chiaro. Un altro elemento importante su cui è necessario riflettere nella transizione digitale riguarda la ridistribuzione di attività e responsabilità14, che rischia di diventare sfavorevole per i pazienti, a cui viene demandata una serie di compiti che rischiano di aggravare la sua vita quotidiana. Infine, sebbene anche il “Consensus Framework on digital transformation of healthcare”15 metta in evidenza il ruolo del paziente all’interno di questa trasformazione digitale, il rovescio della medaglia è che ancora oggi in Italia, in termini di connessione internet, capacità delle famiglie di disporre di device, competenze e abilità digitali la situazione non è affatto rosea. L’Italia infatti resta significativamente in ritardo rispetto ad altri Paesi dell’Unione europea in termini di capitale umano nell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI). Il digital divide non può diventare un fattore ulteriore di disuguaglianza in sanità, ma deve essere parte integrante dei ragionamenti sui PDTA, in particolar modo, e anche sfida sociale da colmare nel più breve tempo possibile.

Conclusione

Con l’obiettivo di giungere a proposte pratiche in grado di trasformare il dibattito sulla digital health in realtà applicative, il Gruppo di Lavoro di MaCroScopio ha affrontato diversi aspetti connessi agli strumenti digitali per la salute, con particolare riguardo alle digital therapeutics. Primo fra tutti, partendo dalla necessità di fare chiarezza sulla tassonomia, si è giunti alla proposta di andare verso una legislazione specifica per la digital health. Una normativa ad hoc, ovviamente, non può fare a meno di richiamare la necessità di evidenze scientifiche solide. A tale scopo è importante comprendere gli attuali limiti dei pochi RCT che hanno incluso le digital therapeutics, al fine di superarli e fornire una guida su come generare evidenze solide per questi strumenti, al pari di quanto viene fatto per i farmaci. Successivamente, sarà fondamentale definire le fasi del PDTA in cui risulta opportuno inserire gli strumenti di digital health, nonché le modalità con cui attuare questo inserimento. Particolare attenzione deve essere rivolta alla centralità del paziente che dovrebbe guidare sia lo sviluppo degli strumenti stessi, in modo da garantirne l’usabilità da un’ampia platea di soggetti, sia la loro applicazione pratica, evitando di fare ricadere l’intera responsabilità sul paziente. In ultimo, occorre sottolineare che il “ritorno informativo” rappresenta la chiave di volta della reale applicazione della digital health, in quanto da un lato consente di rafforzare le evidenze a supporto di questi strumenti, dall’altro costituisce la modalità con cui sarà possibile attuare la riforma dell’assistenza di prossimità garantendo una nuova e più efficiente gestione della cronicità.

Conflitto di interessi: SG dichiara l’assenza di conflitto di interessi circa il tema sviluppato nell’articolo, dal momento che le sue collaborazioni con aziende farmaceutiche riguardano i processi di engagement in sanità e la coproduzione di moduli per il consenso informato; daVi DigitalMedicine srl collabora con Polifarma spa per la ricerca e sviluppo di tecnologie digitali per la salute; gli altri autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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