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In una collaborazione annunciata il 4 giugno, l’American Society of Clinical Oncology (ASCO) lavorerà con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per misurare e migliorare la qualità della cura del cancro a livello globale. L’obiettivo è contribuire a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e del Piano d’azione globale dell’OMS sulle malattie non trasmissibili e aiutare i professionisti che lavorano in oncologia a fornire la migliore assistenza possibile ai loro pazienti. La collaborazione è stata presentata da André Ilbawi nel suo discorso programmatico in apertura del congresso annuale ASCO 2022 a Chicago.

Diverse sessioni del convegno ASCO si sono soffermate sull’andamento a forbice che si osserva nella cura del cancro, con i Paesi ad alto reddito che sembrano riuscire a garantire ai pazienti una maggiore sopravvivenza e i Paesi più poveri alle prese con una situazione drammatica, fatta di cure inaccessibili e di sofferenze identiche a quelle che si osservavano molti anni fa. «È possibile che i cani degli statunitensi abbiano un maggiore accesso alla radioterapia dei pazienti oncologici nigeriani?» ha domandato Bishal Gyawali nel suo intervento a Chicago. Domanda retorica: non solo è possibile, è la realtà. E mentre la platea si alzava in piedi per applaudire la relazione sullo studio Destiny, Enrique Soto ha tweettato un’altra amara verità: «I don’t want to bring people down but while the results are great, the Destiny of MOST women with #bcsm worldwide will be NOT to get trastuzumab Deruxtecan since they cannot even access surgery, radiotherapy, endocrine therapy or trastuzumab. We need to do better».

Di questo abbiamo provato a dar conto nelle pagine “Dalla letteratura” preparate con la redazione di Oncoinfo.it che ha seguito quotidianamente il meeting. È giusto celebrare l’innovazione e i risultati raggiunti dalla ricerca clinica, ma serve un cambio di passo per un governo della ricerca e della comunicazione scientifica che si traduca in cure più accessibili. Ne parlano Badinella Martini, Finazzi e Livio Garattini nel loro Osservatorio e l’editoriale di apertura fa il punto sulla sempre più evidente crisi della comunicazione scientifica, riprendendo una nota di Richard Smith che – neanche tanto provocatoriamente – invitava qualche mese fa a considerare tutte le pubblicazioni scientifiche false fino a prova contraria. Ispirarsi ai principi che hanno informato il lavoro di Alessandro Liberati (vedi a pagina 353) può essere una buona idea e un modo per ricordarlo a dieci anni dalla sua morte.

Le disuguaglianze continuano a incidere dei solchi tra le persone, trasformando in dramma il valore della diversità. «Nonostante i progressi nella cura del cancro negli ultimi due decenni, le disuguaglianze tra e all’interno dei Paesi sono sbalorditive e in progressivo aumento», ha sottolineato Ilbawi all’ASCO. «L’esperienza di una persona affetta da cancro è profondamente determinata dal luogo in cui vive e dal suo stato socio-economico». Il lavoro del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio diretto da Marina Davoli ha dimostrato che l’oncologia è solo uno dei terreni dove si determinano le lacerazioni del tessuto sociale. E proprio come hanno spiegato le parole di Ilbawi il primo fondamentale passo è la misurazione, la valutazione dello health gap. Cosa che ha saputo fare il DEP Lazio nel rapporto di cui parliamo a pagina 386.