La sanità non è sempre salute

di Stefano Cagliano

«Non è un libro da tenere sul comodino per leggerlo prima di dormire» osserva Walter Tocci all’inizio della Prefazione del libro La sanità non è sempre salute. Aggiungendo: «Potreste non prendere sonno». «La morte delle persone a Roma è il tema. [Ma] l’attenzione del lettore viene rivolta alle cause sociali e politiche della mortalità. Se il libro non è dedicato alle riflessioni sulla caducità della vita, alimenta almeno una presa di coscienza delle inaccettabili disuguaglianze di salute nella capitale». Tocci parla con insistenza delle periferie di Roma, con note di amarezza, con riflessioni e considerazioni politiche tutte nuove rispetto alle parole che lui stesso – vicesindaco della Capitale nella Giunta di Francesco Rutelli – avrebbe potuto scrivere o pronunciare alla fine degli anni Novanta del secolo scorso.

Prima di procedere, una parola sugli autori. Carlo Saitto ha lavorato come dirigente nella sanità pubblica e Lionello Cosentino è stato Assessore alla sanità della Regione Lazio e parlamentare. Ma i due sono soprattutto altro. Lo spiega bene Tocci: se «quello di Carlo Saitto è il rigore scientifico che unisce la giustizia sociale con la razionalità medica», si può solo aggiungere che «quello di Lionello Cosentino è il rigore politico che unisce la limpida idealità socialista con il buon governo».

La cosa semplicemente stupefacente di La sanità non è sempre salute è che ogni asserzione sembra frutto di una ricerca certosina di dati e di un modo per presentarli al lettore mettendolo nelle condizioni di leggerli correttamente.

A questo proposito il primo capitolo – Perché equità e salute? Perché Roma? – è quello più ricco. Se, osservano gli autori, «la salute è un diritto, è la quantità di salute della quale godiamo che deve essere equamente distribuita». Se per i principi di equità sociale le cose dovrebbero andare in un certo modo, la statistica dice cose diverse. Per esempio, «la mortalità generale in Campania per i maschi è del 40% più elevata di quella rilevata in Provincia di Bolzano e quella del Molise è del 20% inferiore a quella del Lazio». Se pensiamo di consolarci considerando il differenziale tra i valori di mortalità per livello di istruzione, scopriamo solo che in tutte le regioni al ridursi del livello d’istruzione e del reddito aumenta la mortalità. Ma, osservano Saitto e Cosentino, per spiegare queste differenze si è guardato a Roma «come terreno […] d’indagine, considerando alcune caratteristiche […] utili a mettere in evidenza il problema delle disuguaglianze» (differenze socioeconomiche, dimensioni, servizi e presidi sanitari, pubblici e privati, rapidamente raggiungibili, volumi molto elevati di offerta sanitaria con un numero di prestazioni per residente tra i più alti d’Italia, serie storiche di dati demografici, sociali e sanitari, con acceso relativamente agevole).

Nel capitolo Analisi della mortalità nei Municipi di Roma scopriamo che la relazione diretta tra reddito e longevità non è sempre rispettata. Per esempio, «la quota da variabilità tra i municipi [di Roma] spiegata dal reddito è pari a circa l’82% per il diabete e appena per il 17% per le malattia mentali». Nel paragrafo dedicato alle malattie acute, si spiega che «è evidente un’associazione tra mortalità e reddito» ma nel caso delle neoplasie maligne tutto sembra più complesso visto il numero di patologie e di diversi quadri genetici. Variabili, però, alle quali dovremmo cercare sempre di aggiungere quella riconducibile al contesto sociale in cui vivono (o sopravvivono) i malati. La conclusione è semplicemente una, comunque, ovvero che «nei quartieri più poveri non solo è più probabile ammalarsi, ma è ancora più probabile morire se ci si ammala. Il reddito spiega l’87% della mortalità».

Nel capitolo dedicato all’ottimizzazione delle risorse, gli autori sottolineano come la distorsione dell’offerta sia la madre dell’inefficienza operativa, esemplare origine di sprechi. «In questa distorsione dell’offerta si cela anche una sostanziale inefficienza operativa perché le risorse […] diventano inservibili per una politica attiva dell’offerta di quegli interventi che sono […] in grado di migliorare la salute della popolazione e di ridurre le disuguaglianze. Sarà difficile modificare questa situazione sino a quando questo paradigma dell’offerta di prestazioni non viene superato da quello dell’offerta integrata di percorsi di tutale e di cura».

In un libro del genere, non poteva mancare naturalmente il capitolo Perché il distretto. La ragione è che Saitto e Cosentino sono forti sostenitori dell’utilità del distretto: non sorprende leggere che «negli ultimi venti anni, in un clima culturale evidentemente molto mutato, i pochi elementi sopravvissuti di [quel] quadro ambizioso definiscono il distretto come un avamposto di erogazione delle prestazioni di base nelle aree meno dotate di servizi». Quasi insomma uno strumento di lotta di classe per la salute. «Quello che non viene indicato specificatamente – aggiungono – è che la vera responsabilità del distretto consiste nella tutela della salute della popolazione che risiede o che insiste sul suo territorio». Insomma, «se ne sottolinea la funzione di produzione e se ne sottace la funzione specifica di sanità pubblica». C’è solo da aggiungere che se tanti funzionari delle nostre ASL spendessero parte del loro tempo sui paragrafi Le caratteristiche del distretto e Logiche e modalità degli interventi, molti avvocati avrebbero un po’ meno lavoro e ci sarebbero più malati sereni, per quanto la cosa sembri paradossale.

Le Considerazioni conclusive possono essere riassunte in tre frasi: avete lasciato un sacco di problemi, le idee le abbiamo avute e non sono da buttare, ora ci sono pure i soldi: che fate? dove andrà la sanità pubblica nella Regione Lazio e non solo?

Un libro chiaro, interessante per tutti, ovvero per chi vuol conoscere come sono andate le cose, e per chi vuole mettersi al lavoro. Un testo ricco di cifre e note politiche, ma per niente noioso, anzi, il contrario.

1 Per le MR è sufficiente che «siano disponibili studi clinici almeno di fase I, già conclusi e che abbiano documentato l’attività e la sicurezza del medicinale, ad una determinata dose e schedula di somministrazione, in indicazioni anche diverse da quella per la quale si richiede l’uso compassionevole» per consentire l’accesso al farmaco.

2 «Currently, more than 500 CAR-T and 17 CAR-NK cell trials are being conducted worldwide [...] Most CAR-T cell-based gene therapy products that are under clinical evaluation consist of autologous enriched T cells, whereas CAR-NK cell-based approaches can be generated from allogeneic donors»9.

3 Secondo uno studio commissionato dal governo austriaco, «several countries are exploring an alternative decentralized CAR T-cell production mode (“in-house/point-of-care CAR T-cell production”) e.g. based on the use of CliniMACS Prodigy, a semi-automated closed system by Miltenyi Biotech. Several clinical trials are currently underway to investigate this manufacturing process»13.

4 «[…] The demonstration of biosimilarity for ATMPs is […] challenging because those products are often complex active substances, patient-specific (autologous), or require careful matching of donor and recipient (allogeneic). Moreover, only few validated biomarkers for establishing biosimilarity have been identified»18.

5 Secondo una fonte di stampa, «Reimbursement will take place “on an annual per-patient flat-rate basis” to be defined by the Health Ministry in a decree […] “The production costs can be substantial for a healthcare facility”, the government said in the article’s explanatory statement. It is a measure aimed at promoting access to innovative drugs in France. An “advanced therapy prepared on a one-off basis” (MTI-PP) is defined in French law as a drug “manufactured in France according to specific quality standards and used in a French hospital, under the responsibility of a doctor, to fulfil a specific medical prescription for a product specially designed for a specific patient”»24.