Ritratto di Stefano Cascinu:
maestri dell’oncologia




Lavoro e formazione professionale

Nella formazione di un medico contano i maestri?

Direi che sono fondamentali, almeno per due motivi. Il primo è per l’apprendimento tecnico, il saper fare. Il secondo è per il modello che rappresentano, potremmo dire il saper essere. Nulla più dei maestri è in grado di armonizzarli.

Nella sua formazione può dire
di avere avuto un maestro?

Mi reputo fortunato perché ho avuto due maestri. Il primo è Riccardo Cellerino e la seconda Giuseppina Catalano. Al professor Cellerino sono debitore di ciò che ho appreso per quanto riguarda l’attività scientifica e didattica, alla dottoressa Catalano devo l’apprendimento delle capacità cliniche. A entrambi, comunque, devo quel sentire la professione medica e accademica come un servizio verso i pazienti e gli studenti. Ogni giorno cerco di non scordarlo.

Ha passato periodi di studi all’estero dopo a laurea?
Se sì, dove e per quanto tempo?

Sì, un anno all’Einstein College, New York, Bronx. Lì lavorava Scott Wadler che aveva definito lo schema di combinazione di 5-fluorouracile e interferone per il carcinoma del colon-retto. Gli scrissi una lettera e mi aiutò a raggiungerlo. Non mi conosceva affatto, ma fu di grande aiuto durante tutto il soggiorno. Divenne in qualche modo il mio terzo maestro. Purtroppo, dopo essersi trasferito alla Cornell University morì a causa di un glioblastoma.

Le principali ragioni per cui ha scelto la sua professione.

Confesso che non lo so. Volevo fare storia e mi ritrovai iscritto a medicina ad Ancona. Ancora adesso non so cosa sia successo e il perché. Mi è più chiaro perché abbia scelto oncologia. Volevo dare risposte a una malattia che era (è) fatta di domande angoscianti. Volevo fare ricerca e mi sembrava la disciplina che più si prestasse a questo. In realtà temevo che fare solo l’assistenza sarebbe stato per me troppo difficile.

Qual è la sua maggiore soddisfazione nella vita professionale?

Vedere un giovane che cresce, acquisisce la sua indipendenza e si afferma con le sue doti umane e scientifiche. Sono stato fortunato perché ho visto tutto questo in una persona che ora è un affermato direttore di Clinica e spero di poter dire un grande amico, a cui sono molto affezionato.

E la più grande delusione?

Quando tocchi con mano il fallimento terapeutico, anche se ho imparato, anzi cerco di ricordarmi forse per consolarmi, che non è solo il risultato che conta, ma tutto il cammino che fai con il paziente. In campo accademico l’irriconoscenza e anche di questo ho potuto avere esperienza.

Qual è la parte di lavoro di medico più gratificante?

Condividere con i pazienti la strada e avere come compagni di viaggio i giovani. È questo che mi ha sempre dato la forza di continuare a fare ciò che probabilmente non sarebbe stata la mia scelta di vita.

E la più noiosa?

Potrei dire la burocrazia, ma non è vero. È avere a che fare con politici e amministratori ottusi e in malafede. Purtroppo ne ho conosciuti non pochi. A onor del vero, però, ho anche conosciuto grandi amministratori, sia come direttori generali che come assessori.

Cosa è più prezioso per un malato?

Fino allo scorso anno forse non avrei saputo rispondere, ora direi la vicinanza del medico. Nella mia esperienza di malattia, seppure non neoplastica, ho avuto una fortuna incredibile nel trovarmi vicino due persone a dir poco meravigliose. Sono cardiologi e mi hanno aiutato in momenti davvero bui non solo con il sapere medico, ma con la loro vicinanza.

Sfide e scommesse

Quale sarebbe la prima cosa che cercherebbe di fare se fosse Ministro della Salute?

Non so se sarei in grado di fare il Ministro della Salute. Temo mi difettino molte competenze. Forse l’unica cosa che mi sembrerebbe saggio fare è abolire la competenza Regionale sulla sanità. Troppa politica. Purtroppo la politica è una cosa seria e importante, ma ormai è stata ridotta a gestione di potere senza più alcuna velleità di cambiare e innovare.

E se fosse Ministro dell’Università
e della Ricerca?

Anche in questo caso temo non ne sarei all’altezza. Forse l’unica cosa che mi sforzerei di fare è ridurre la proliferazione delle università che non ha certo migliorato l’offerta ma ha solo creato centri di potere clientelare. E metterle in qualche modo in competizione; ma una competizione vera, dove i docenti sottoposti a valutazioni stringenti possano essere mandati a casa.

Lettura o scrittura

Come trova il tempo di scrivere e dove?

Per lungo tempo ho scritto in treno essendo un pendolare di “lunga distanza”. Ora a casa, nel tardo pomeriggio, ma è molto più difficile. In ambito domestico le distrazioni sono tante e persino il cane contribuisce a ridurre la mia produttività.

Il refuso più pericoloso che le è sfuggito di mano?

Non un aspetto legato ad un paziente o ad un articolo, ma l’aver risposto ad una intera mailing list di ricercatori e non solo all’amico con cui stavamo valutando un progetto in maniera non troppo benevola. Un piccolo, grande incidente diplomatico.

Quale è il commento più memorabile che ha ricevuto da un referee?

“Lavoro assolutamente inutile, che ripete dati già pubblicati dagli autori”. Peccato che non avesse visto che stavamo ripetendo l’esperienza su un farmaco analogo molto comune nel carcinoma del colon. Il lavoro fu poi pubblicato sul Journal of Clinical Oncology.

La peer review funziona ancora come filtro di qualità della ricerca?

Direi di sì, non ne possiamo fare a meno.

Quale rivista scientifica segue con particolare interesse?

Mi piacerebbe dire tutte. In realtà con il passare degli anni mi fermo soprattutto a New England Journal of Medicine, Lancet e recentemente Annals of Oncology che è molto cresciuta. Sempre meno a quelle come Nature e Cell. Faccio sempre più fatica a capire molti articoli. Deve essere l’età.

Ritiene che l’impact factor sia ancora un indicatore di cui fidarsi?

Pur con tutti i dubbi, direi di sì. Certo, ultimamente le riviste hanno adottato una politica di marketing non sempre condivisibile, almeno a mio parere.

Ha un libro sul comodino?

Comunemente sì. In questo momento “La donna del lago”, di Laura Lippman.

Quale è l’ultimo libro
che ha regalato?

Jonathan Franzen, “Le correzioni”.

Il libro che vorrebbe portare in un’isola deserta?

Dipende da quanto debba stare. Direi per un lungo periodo, “La Recherche” di Proust.

Quale libro suggerirebbe a un giovane oncologo in formazione?

Certamente non di medicina o attinente a essa. Direi “Il giovane Holden”, di Salinger. La complessità della figura umana e l’impossibilità di esprimere un giudizio sui fatti della vita può essere una buona palestra per un giovane medico.

I suoi scrittori preferiti?

John Steinbeck, Paolo Volponi, Archibald Cronin. Direi scrittori sociali, se così possono definirsi.

Parliamo di Congressi, ASCO o ESMO?

Per quanto ESMO [European Society for Medical Oncology, ndr] sia cresciuto moltissimo, direi ASCO [American Society of Clinical Oncology, ndr]. Ha ancora il potere di farmi sentire come parte di una avventura scientifica.

Ha ancora senso un congresso nazionale specialistico?

Se s’intende AIOM [Associazione Italiana di Oncologia Medica, ndr], direi proprio di sì. È un momento importante, soprattutto dovrebbe esserlo per i giovani. Permette condivisioni di idee e un confronto che fa bene a tutti.

Congressi: meglio on line
o di persona?

Di persona. Il fattore umano non è irrilevante.

Ha mai usato i social media come strumento di aggiornamento?

No, troppo vecchio: mi trovo più a mio agio con i libri e le riviste cartacee.

Curiosità

Che cosa ama di più dell’Italia?
E cosa meno?

L’Italia è uno splendido Paese con i suoi paesaggi, le città e la sua creatività. Mi piace meno quando questa creatività diventa disordine e furbizia. Ma è un grande Paese e anche se non sono per formazione politica un sovranista, mi sento fortunato di essere italiano.

Ascolta musica? Se si dove?

Sì, tanta e in maniera disordinata. Cantautori, classica, opera, da vero autodidatta confuso. La sento ovunque, anche se il luogo preferito è il mio studiolo.

Qual è la prima pagina che guarda sul giornale?

L’articolo di fondo. Mi piacciono le opinioni.

Carta stampa o giornali on line?

Carta, sempre carta. L’odore e le dita nere di inchiostro.

La televisione serve a guardare...

I telegiornali. Sono un ascoltatore seriale di TG, ma anche di qualche bel film d’epoca.

Chi le telefona più spesso?

I miei familiari, se si escludono le telefonate di lavoro che sono sempre tantissime.

Il momento migliore della giornata: alba o tramonto?

Il tramonto, quando tutto si rincorre nei ricordi.

E il miglior giorno della settimana?

Il venerdì che paragonerei al significato del Sabato del villaggio di Leopardi. L’attesa del fine settimana, che viene vissuto con molte aspettative.