In questo numero

«Gli editori sorvegliano il cruciale incrocio del processo di produzione e distribuzione delle conoscenze in ogni società. Sono nella posizione di poter decidere cosa è “dentro” e cosa è “fuori” dal mercato delle Idee». Così scriveva nel 1975 Lewis A. Coser – che insegnava Sociologia a New York ed era presidente dell’associazione dei sociologi statunitensi. «Anche le persone che lavorano nelle case editrici – i redattori, chi si occupa delle vendite e gli altri – hanno un ruolo nella diffusione del sapere. L’orientamento dei redattori e la loro competenza sono essenziali. L’editoria è senza dubbio una delle imprese più complicate e il suo ruolo nel formare e disseminare le conoscenze meriterebbe di essere analizzato». L’articolo usciva sugli Annals of the American Academy of Political and Social Science1 ed era una delle non poche riflessioni del “sociologo del conflitto” sulle dinamiche della produzione culturale e del lavoro intellettuale.

A distanza di quasi cinquant’anni, la relazione dell’editoria scientifica (se possiamo parlare ancora in questi termini di un mondo fatto di molti attori, obiettivi e percorsi diversi) con il ruolo di filtro di cui scriveva Coser resta conflittuale: da una parte – come affermava Drummond Rennie già nel 19862 – non esiste nulla che non venga pubblicato, e dall’altra la severità del processo di revisione critica di case editrici e periodici viene sbandierata come indice sintetico della serietà del marchio e della direzione editoriale di qualsiasi progetto. In altre parole, la rejection rate è il voto in pagella che a fine anno premia o condanna un intero staff editoriale.

Così va il mondo, ma dietro questa integerrima interpretazione del ruolo di editori e redattori potrebbe essere nascosto un tradimento della vera natura di queste figure professionali, nate per intermediare la relazione tra gli autori e i lettori. In ogni casa editrice – e in ogni redazione – l’obiettivo dovrebbe essere quello di facilitare gli incontri – beninteso: quelli possibili e realizzabili – tra chi scrive o produce risultati di studio o di ricerca e chi potrebbe trarre vantaggio dal conoscerli o dall’utilizzarli. Per questo, l’attività editoriale è – o dovrebbe consistere – sì nella valutazione dei contenuti ma anche, se non soprattutto, nella loro comprensione, rilettura e preparazione alla fruizione da parte degli utenti che ci si augura di raggiungere. Chi, lavorando in una casa editrice o in una redazione, decidesse di far propria questa prospettiva, non si sentirebbe giudice del lavoro degli autori che a lui sottoponessero il proprio lavoro, ma loro alleato. Non gatekeeper, dunque, ma facilitatore. Interprete.

Un lavoro che se ben fatto è invisibile: nessuno se ne può accorgere, con l’eccezione degli autori. Un lavoro presente in filigrana “in questo numero”, in quelli dell’anno che si è concluso e in quello che verrà.

Credo che la capacità di porsi con disponibilità, curiosità e rispetto di fronte ai testi e – più in generale – all’impegno delle autrici e degli autori che con lui hanno interagito sia stata la qualità professionale più evidente – e rara – di Roberto Bonini, il redattore che da più anni lavorava al Pensiero Scientifico Editore: dopo 45 anni, è il primo inverno senza di lui in casa editrice e ci vorrà del tempo perché il gelo che in noi ha lasciato la sua assenza possa sciogliersi.




Bibliografia

1. Coser LA. Publishers as gatekeepers of ideas. Ann Am Academy Political Social Science 1975; 421: 14-22.

2. Rennie D. Guarding the guardians: a conference on editorial peer review. Jama 1986; 256: 2391-2.