Ritratto di Marina Davoli: una passione per l’epidemiologia




Lavoro e formazione professionale

Quali persone hanno più influenzato il tuo modo di fare il medico?

Intanto ho fatto medicina perché il famoso chirurgo Giorgio Ribotta (da cui la via del ministero della salute) salvò la vita di mia madre quando io avevo 17 anni, mi bastarono pochi giorni alla Clinica Chirurgica del Policlinico e scappai presto… Il primo maestro è stato Cosimo Prantera, gastroenterologo molto illuminato, esperto di malattie infiammatorie croniche intestinali, ma soprattutto colto e studioso, pioniere, nel suo campo, dell’approccio Ebm. Con lui lavorava Anna Kohn, donna, con due figli, impegnata nella clinica e nella ricerca pubblica, con un’etica e un rigore professionale che sono stati un modello per me. Cosimo Prantera è stato il primo che mi ha fatto conoscere, invitando Carlo Perucci a fare un seminario al Nuovo Regina Margherita, le teorie bayesiane di Sackett e lì ho capito che l’epidemiologia era la mia passione. Poi c’è stato Alessandro Liberati e da lì il coinvolgimento nella Cochrane Collaboration e tutto quello che ne è seguito.

Come è cambiata la medicina dai tempi in cui tu scegliesti questa professione?

O, meglio: qual è il cambiamento (o i cambiamenti) più radicale?

Ho l’impressione che quell’approccio bayesiano che tanto mi aveva affascinata, e che prevede la formulazione di un’ipotesi diagnostica a priori sulla base della storia soggettiva e oggettiva del paziente e la prescrizione di ulteriori indagini per avvalorare o confutare l’ipotesi diagnostica, non solo non abbia preso piede ma sia totalmente ignorato. Vedo una tendenza al ricorso alla tecnologia diagnostica molto slegato da un ragionamento logico, una tendenza a farsi guidare dalla tecnologia invece che viceversa.

Domanda ovvia, a questo punto: rifaresti le stesse scelte?

Mi sento molto fortunata a poter dire che assolutamente sì, rifarei le stesse scelte.

Quanto è importante per il medico saper cogliere, comprendere e raccontare le storie che incontra come “casi clinici”?

Molto importante! Proprio per quello che dicevo prima, è essenziale per capire cosa il paziente può avere, quindi fare diagnosi, ma anche per comprendere quali siano i suoi obiettivi rispetto alla malattia e ai possibili trattamenti che ne conseguono.

Qual è la parte del tuo lavoro più gratificante? E quella più noiosa?

La più gratificante è stata quella di ragionare sugli aspetti metodologici di uno studio epidemiologico, un po’ come un lavoro investigativo, ma ormai non lo faccio quasi più. Ora la parte più gratificante è vedere i tanti risultati interessanti del gran bel lavoro che fanno i ricercatori del DEP e veder crescere le occasioni di collaborazioni nazionali e internazionali.

Quella più noiosa – ma forse noiosa non è la parola giusta, direi più frustrante e faticosa – è quella di superare alcune delle barriere burocratico-amministrative che ci rendono difficile il lavoro.

Qual è stato il tuo primo “esame”, non intendendo con questo gli impegni scolastici?

Penso la gestione dei primi anni come direttrice del Dipartimento.

Qual è il tuo più grande rammarico professionale?

L’estrema rigidità nella definizione delle modalità di arruolamento del personale sanitario impegnato in attività di ricerca o di supporto alla programmazione. È una funzione non riconosciuta al personale del SSN; così come il confinare la possibilità di fare contratti di ricerca solo agli IRCCS e non a tutto il SSN. In sintesi, non aver raccolto l’invito, tanto caro ad Alessandro Liberati, di coinvolgere tutto il SSN nella ricerca.

Quale forma di aggiornamento ti sembra più utile?

Premetto che sono disordinata sia nei tempi che nei modi di aggiornamento, con momenti di intensa attività e altri più bui. Tutte le forme penso siano utili e dovrebbero essere usate in maniera complementare e con spirito critico… sempre e su tutte. Recentemente mi ha fatto riflettere una conversazione contenuta in Nature Briefing pubblicata il 2 febbraio di quest’anno, perché considerata la quantità di informazioni disponibili forse il pensiero critico non basta: «To beat information overload, we need to learn “critical ignoring”», insomma dobbiamo imparare a “ignorare criticamente”.

Leggere le riviste professionali?

Sì, trovo molto utili gli alert sulle riviste scelti in base ai temi di interesse.

Andare ai congressi?

Non amo andare ai congressi, alcuni sono addirittura fastidiosi, mi piacciono quelli piccoli focalizzati su pochi temi, certamente sono un’occasione di stimolo all’aggiornamento non necessariamente direttamente utili all’aggiornamento.

Accettare consigli da colleghi è utile o rischioso?

È utile se messo insieme a tutto il resto.

Lettura e scrittura

Qual è la tua rivista scientifica preferita?

A parte Forward…? Domanda difficile, leggo con piacere, grazie a un suggerimento di Francesco Forastiere, i briefing di Nature per l’appunto; Lancet e Bmj mi piacciono entrambe, adoravo la newltetter Va’ pensiero… ma ora anche voi fate troppe cose.

Meglio articoli brevi con molti rimandi esterni e ricca bibliografia?

Sì.

Le rassegne hanno ancora una loro utilità?

Immagino si intendano rassegne “qualitative” e non sistematiche: hanno senso per capire l’opinione di chi le scrive, l’importante è che sia dichiarato esplicitamente che si tratta di rassegne e non di revisioni sistematiche.

Condividi il primato delle revisioni sistematiche come riferimento essenziale?

Dipende da cosa sto cercando, ma in generale sì, tendo a partire da una revisione sistematica come primo step ma sempre con spirito critico, quindi è certamente un riferimento essenziale, ma che sia quello di migliore qualità non è assolutamente detto.

Come potrebbe cambiare in meglio la letteratura scientifica?

Non so: penso che ci sia veramente troppo…

Ti capita ancora di sfogliare l’edizione cartacea di una rivista o consulti la letteratura solo su internet?

Solo quelle italiane, Recenti Progressi in Medicina ed Epidemiologia e Prevenzione per esempio.

Sei iscritta a newsletter di riviste come Lancet o Bmj?

Sì, a entrambe.

Leggi articoli scientifici sullo smartphone?

Sì.

La medicina basata sulle evidenze è ancora viva?

Diciamo che si tende a dare per scontata, o per lo meno tutti dicono che fanno Ebm, il che vuol dire semplicemente usare anche le evidenze… ma per la nostra esperienza la disponibilità ad aggiornarsi sulle evidenze è molto limitata e purtroppo la stessa produzione delle evidenze rilevanti a mio avviso è molto carente.

Cosa rende difficile che l’Ebm sia la base della didattica nelle facoltà di medicina?

Che c’è una grande ignoranza su quali siano i veri strumenti dell’Ebm e una grande arroganza e presunzione di sapere già tutto, e le facoltà di medicina sono impermeabili…

Chi è un “esperto” in campo medico?

Un esperto per me è un clinico che lavora molto, legge molto e ha spirito critico.

Internet e la disponibilità di mille e intelligenti pareri mette in crisi l’utilità degli “esperti”?

Gli esperti sono comodi perché ci illudiamo che facciano quel lavoro di sintesi che è faticoso fare da soli. Se anche l’esperienza fosse capitalizzata con dati disponibili potrebbero essere sostituiti ma dubito che possa accadere realmente.

Passioni e tempo libero

Puoi dirci una cosa che ti appassiona veramente?

A parte Sabaudia e i suoi tramonti, direi il cinema, ma mi piace molto anche leggere, mangiare e bere bene, fare la mia pratica yoga e camminare.

In cucina preferisci stare ai fornelli o a tavola?

A tavola.

Quale ricetta suggeriresti ai nostri lettori?

Adoro gli spaghetti con le vongole, in particolare quelli che fa Andrea a Sabaudia.

Qual è il tuo romanzo preferito?

“Il dolore perfetto” di Ugo Riccarelli e “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel García Márquez.

Quali libri hai sul comodino?

A Natale per fortuna li ho messi a posto, per cui ora ne ho pochi rispetto a prima. Oltre a un taccuino che mi ha regalato una mia amica per scrivere i miei pensieri, ora c’è il libro che sto leggendo e che mi ha regalato Laura Amato, “La casa sul Nilo” di Denise Pardo, “I miei genitori” di Aleksandar Hemon, “Un’ultima cosa” di Concita De Gregorio, che mi ha regalato Addis, “Appuntamento a Positano” di Goliarda Sapienza, “Dolce vita, dolce morte” di Giancarlo De Cataldo e “Una medicina che penalizza le donne” di Rita Banzi e Silvio Garattini.

Leggi e-book?

Sì.

Qual è l’ultimo libro che hai regalato?

“Rosa candida” della scrittrice islandese Auður Ava Ólafsdóttir

Scegli tre libri “classici” della Medicina…

Beh, per la “mia medicina” il “Modern Epidemiology” di Rothman, il Sackett (“Clinical Epidemiology”) e l’edizione italiana di “Come sapere se una cura funziona” di Evans Imogen, Hazel Thornton e Iain Chalmers a cura di Alessandro Liberati per il Pensiero Scientifico Editore.

Curiosità

Usi Whatsapp anche come mezzo per comunicazione di lavoro?

Sì.

Frequenti i social network come Facebook o Twitter?

Molto poco Facebook.

Col computer hai un rapporto complice o conflittuale?

Mi sembra un mezzo superato… comunque complice.