Diagnosi E trattamento delle encefaliti
Linee guida della Infectious Diseases Society of America


Infectious Diseases Society of America (IDSA) ha pubblicato le linee guida per la diagnosi e il trattamento dell’encefalite (Tunkel AR, Glaser CA, Bloch KC, et al. The management of encephalitis: clinical practice guidelines by the Infectious Diseases Society of America. Clin Infect Dis 2008; 47: 303).
IDSA dà dell’encefalite la seguente definizione: processo infiammatorio del cervello associato a evidenza clinica di disfunzione neurologica. La sindrome di encefalite acuta condivide molti aspetti clinici con la meningite acuta, come  febbre, cefalea, perturbamento del sensorio e dello stato mentale. Viene sottolineata l’importanza di distinguere l’encefalite infettiva dall’encefalite post-infettiva e post-immunizzazione o encefalomielite, come l’encefalomielite acuta disseminata (ADEM: “acute disseminate encephalomyelits”) che può essere mediata da una risposta immunologica a un antecedente stimolo causato da un’immunizzazione o da un agente infettivo. Inoltre, nella diagnosi differenziale vanno tenute presenti alcune condizioni non infettive del sistema nervoso centrale, come vasculiti, collagenopatie e sindromi paraneoplastiche, che possono presentare quadri clinici simili a quello delle encefaliti infettive. L’encefalite va distinta dalle encefalopatie, come quelle secondarie a disturbi metabolici, ipossia, ischemia, farmaci, intossicazioni e infezioni sistemiche, e che sono definite come dovute a disfunzioni cerebrali in assenza di processi infiammatori diretti del parenchima cerebrale.



IDSA rimarca che l’iniziale approccio al trattamento di una sospetta encefalite comprende il precoce riconoscimento della sindrome clinica, la esatta valutazione diagnostica (che comprende le prove sierologiche, l’analisi del liquor, le tecniche per neuroimmagine e, spesso, altre prove sierologiche e biomolecolari) e l’immediata somministrazione, in urgenza, di alcuni farmaci antimicrobici.
Spesso, nonostante estese e tempestive indagini etiologiche, moltissimi casi di presunta encefalite infettiva rimangono non riconosciuti. Inoltre si sottolinea la difficoltà di stabilire il significato del reperto di un agente infettivo al di fuori del sistema nervoso centrale che di solito è identificato da esami colturali o sierologici; si tratta per lo più di virus dell’epatite C, rotavirus, Chlamydia spp., Mycoplasma pneumoniae e virus sinciziale respiratorio (RSV) che, pur potendo avere un ruolo nelle manifestazioni neurologiche della malattia, non invadono necessariamente il sistema nervoso centrale o non sono in relazione con l’encefalite.
Le linee guida dell’IDSA si articolano su una serie di problemi.
1. Epidemiologia
I ragguagli epidemiologici possono essere utili per stabilire la diagnosi di encefalite (stagionalità, località geografica, storia di viaggi, attività occupazionali o ricreative, contatti con insetti, vaccinazioni e condizioni immunitarie). Inoltre hanno importanza i dati dell’esame clinico per quanto riguarda la presenza di rash, di reperti respiratori superiori o inferiori. Si sottolinea la difficoltà di ricavare questi dati dal paziente quando il sensorio è obnubilato oppure è presente uno stato di coma.
IDSA si sofferma sulla necessità di prendere in considerazione, in queste condizioni, la diagnosi di ADEM e ricorda che si tratta di una malattia monofasica che si ritiene conseguenza di una risposta immunologica a una precedente stimolazione antigene; spesso la sindrome neurologica è preceduta da una sindrome febbrile o da una immunizzazione. Con l’ADEM sono frequentemente associate differenti infezioni virali (morbillo, roseola, parotite, varicella-zoster, infezioni da virus di Epstein-Barr, citomegalovirus, herpes simplex, epatite A, influenza ed enterovirus). L’ADEM può inoltre conseguire a vaccinazione contro carbonchio, encefalite giapponese, febbre gialla, morbillo, influenza, vaiolo, rabbia, sebbene sia difficile stabilire un nesso causale diretto. L’ADEM si presenta spesso inizialmente febbrile e con segni neurologici multifocali interessanti il nervo ottico, il cervello e il midollo spinale, mentre i disturbi della conoscenza possono variare dallo stupor alla confusione e al coma.
2. Esami diagnostici generali
a) Esami colturali. In casi selezionati di encefaliti può essere utile l’esame colturale di campioni di liquidi organici; IDSA consiglia di eseguire in tutti i casi di encefalite esami per agenti batterici e micotici, tenendo peraltro presente che un risultato positivo può essere indicativo di un’encefalopatia secondaria a un’infezione sistemica. Inoltre possono essere eseguite colture di feci, di essudato nasofaringeo ed espettorato in particolari condizioni cliniche specifiche.
La diagnosi di infezione da varicella-zoster può essere confermata dall’esame delle vescicole attive, avvalendosi di tecnica diretta di anticorpo fluorescente per identificare l’antigene virale, tenendo presente che un risultato positivo su un liquido da vescicola non indica necessariamente l’etiologia dell’encefalite, perché il virus varicella zoster può essere riattivato durante una malattia del sistema nervoso centrale di altra natura; d’altra parte un risultato negativo non esclude la diagnosi. Si ricorda, inoltre, che in molte infezioni da arbovirus la viremia è di breve durata e di intensità molto bassa, tanto da sfuggire alla identificazione negli esami colturali.
b) Esami bioptici. Secondo l’IDSA, per la determinazione dell’etiologia di una encefalite possono essere utili la biopsia di tessuti con esame colturale, identificazione di antigeni, prove di amplificazione degli acidi nucleici ed esami istologici. Sono ricordate in proposito le tecniche di esame diretto in fluorescenza degli anticorpi specifici nelle lesioni maculopapulari e petecchiali per l’identificazione di Rickettsia rickettsii nella febbre bottonosa delle Montagne Rocciose; inoltre la ricerca di anticorpi specifici in immunofluorescenza ha una sensibilità variabile dal 50 al 94% e una specificità del 100% in biopsia di tessuti nervosi nell’encefalite rabica.
c) Esami sierologici. L’identificazione di anticorpi IgM e IgG con tecnica immunoenzimatica (ELISA) è divenuta largamente diffusa per la diagnosi di encefaliti da arbovirus, nonostante la frequente reattività crociata con flavivirus. IDSA consiglia di eseguire la ricerca di anticorpi specifici mediante tecnica ELISA (con la conferma mediante Western blot) per l’identificazione di Borrelia burgdorferi ed esami sierologici per Rickettsia spp., Ehrlichia spp. e Anaplasma spp. in tutti i pazienti con encefalite residenti, o che hanno viaggiato in aree di endemia, tenendo  presente che la fase acuta di malattia può essere sierologicamente negativa.
La valutazione sierologica della fase acuta e di quella della convalescenza, al fine di dimostrare la sieroconversione, non è in genere utile alla decisione terapeutica a motivo del tempo richiesto per queste indagini, pur rimanendo una procedura utile per la diagnosi retrospettiva. A questo proposito, si consiglia di conservare il siero prelevato in fase iniziale di malattia, per esaminarlo successivamente insieme ai campioni prelevati durante la convalescenza. Nel caso di encefaliti dovute alla riattivazione di un’infezione acquisita in precedenza (ad esempio, encefalite toxoplasmica in pazienti con AIDS), la dimostrazione di anticorpi specifici IgG può identificare una situazione di rischio di encefaliti.
d) Prove di amplificazione degli acidi nucleici. IDSA ricorda che la PCR (“polymerase chain reaction”: reazione polimerasica a catena) su campioni biologici diversi da quelli del sistema nervoso centrale è adoperata per stabilire l’etiologia di alcune encefaliti: come esempi sono citati gli esami su saliva per la diagnosi di encefalite rabica e su sangue per ehrlichiosi umana granulocitotrofica (Anaplasma phagocytophilum) che danno alla PCR una sensibilità dal 56% al 100% e dal 54 all’86%, rispettivamente.
3. Esami neurodiagnostici
a) Tecniche per immagine (tomografia computerizzata e risonanza magnetica nucleare (RMN). Entrambi questi esami sono frequentemente eseguiti per la diagnosi di encefalite, con una prevalenza per l’RMN, e specialmente per escludere altre condizioni che possono presentarsi con quadro clinico simile. IDSA ricorda che l’RMN è utile per rivelare le lesioni precoci di un’encefalite, ma non necessariamente è utile nella diagnosi differenziale delle specifiche etiologie; inoltre va tenuto presente che i reperti RMN possono essere inizialmente normali e normali possono rimanere nel corso della malattia. Si ricorda che l’RMN con tecnica di diffusione dell’immagine è superiore all’RM convenzionale nell’identificazione delle lesioni iniziali nelle encefaliti causate da virus dell’herpes simplex, enterovirus 71 e virus West Nile.
Vengono richiamati quadri ottenibili con tecniche per immagine in encefaliti di alcune etiologie: 1) nell’encefalite da herpes simplex sono “significativi” edema ed emorragie nei lobi temporali, con aree ipodense alle immagini T1-pesate e rinforzo non omogeneo del contrasto; l’interessamento bilaterale dei lobi temporali è pressoché patognomonico, ma si tratta di un quadro tardivo; 2) nelle encefaliti da flavivirus e da virus dell’encefalite equina orientale è caratteristico un quadro RMN di intensità media o di lesioni ipodense alla T1-pesata nel talamo, nei gangli della base e nel mesencefalo; queste lesioni si presentano per contro iperdense alla tecnica T2-pesata con recupero di inversione attenuata dal liquido (cosiddetta FLAIR: “fluid-attenuated inversion recovery”); 3) nell’encefalite da enterovirus 71 l’RMN può mostrare alla tecnica T2-pesata e alla FLAIR un quadro iperdenso localizzato al mesencefalo, al ponte e al midollo.
IDSA sottolinea che l’esame per neuroimmagine è particolarmente utile, ed è di scelta, in caso di sospetta ADEM, rivelando in genere multipli focolai di aree confluenti di anomalie del segnale nella materia bianca e, talvolta, anche nella grigia sottocorticale alla tecnica T2-pesata e alla FLAIR; questi aspetti possono essere utili anche per distinguerli da quelli della materia bianca sottocorticale della sclerosi multipla e della leucoencefalopatia multifocale progressiva.
b) Elettroencefalogramma (EEG). Secondo IDSA l’EEG è un indicatore sensibile di disfunzione cerebrale e pertanto può consentire di rivelare un interessamento del cervello fin dalle prime manifestazioni di un danno cerebrale. Sebbene i risultati dell’EEG non siano specifici, tuttavia essi possono essere utili nell’indicare la presenza di un’encefalite. Si cita ad esempio l’encefalite da herpes simplex: in questa condizione in oltre l’80% dei casi si evidenzia una lesione temporale con scariche epilettiformi lateralizzanti, che si manifestano all’EEG con onde lente e appuntite a intervalli di 2-3 s e che si osservano caratteristicamente da 2 a 14 giorni dall’inizio della sintomatologia. Nelle encefaliti del tronco cerebrale, le anomalie dell’EEG possono essere sproporzionalmente lievi rispetto alla gravità del quadro clinico e consistono in attività diffusa di onde lente e in attività delta intermittente.
IDSA sottolinea che l’EEG raramente è utile per identificare l’etiologia di un’encefalite; tuttavia consente di identificare un paziente con attività non convulsiva, ma che è confuso o in coma. Inoltre la gravità delle alterazioni dell’EEG non è di solito in rapporto con la gravità delle lesioni cerebrali nei pazienti in fase acuta di malattia; però il rilievo di un rapido miglioramento dell’EEG può spesso indicare una prognosi favorevole.
c) Esame del liquor. IDSA conferma che l’esame del liquor è “essenziale” per tutti i pazienti con encefalite, a meno che non sia controindicato. Infatti, nei casi in cui i dati liquorali non siano disponibili, l’identificazione dell’etiologia dell’encefalite dovrebbe basarsi sull’epidemiologia, sul quadro clinico e sui risultati di altre indagini.
È caratteristica dell’encefalite una lieve pleiocitosi mononucleare liquorale, sebbene all’inizio possa essere presente nel liquor una prevalenza di polimorfonucleati. Si sottolinea in proposito che nell’encefalite da virus West Nile è stata osservata una pleiocitosi neutrofila persistente.
In genere, nell’encefalite la proteinorachia è lieve o moderata; inoltre in questi pazienti può rinvenirsi nel liquor la presenza di eritrociti quale conseguenza dello sviluppo di un’encefalite emorragica. La presenza di eosinofili nel liquor può indirizzare verso determinate etiologie, in particolare nelle elmintiasi, ma anche in infezioni da Treponema pallidum, Mycoplasma pneumoniae, Rickettsia rickettsii, Toxoplasma gondii.
IDSA avverte che gli eosinofili possono erroneamente essere presi per neutrofili se la conta delle cellule liquorali è effettuata con apparecchiature automatiche; gli eosinofili, inoltre, possono essere facilmente alterati e/o distorti nel corso del procedimento, cosicché il loro aspetto citologico non può essere identificato se non ricorrendo alla colorazione con i metodi Wright o Giemsa.
Nelle encefaliti virali non è frequente l’ipoglicorachia; quando questa è presente, è probabile che gli agenti etiologici siano Listeria monocytogenes, Mycobacterium tuberculosia, miceti e protozoi.
IDSA insiste nel sottolineare che in oltre il 10% dei pazienti con encefalite il reperto liquorale è del tutto normale.
Per quanto riguarda l’ADEM, il quadro liquorale non differisce molto da quello dell’encefalite virale e cioè: pleiocitosi linfocitaria, iperproteinorachia e normale glicorachia. Si sottolinea, peraltro, che nell’ADEM la pleiocitosi liquorale è generalmente meno marcata che nell’encefalite virale. Possono essere presenti nel liquor marcatori della sintesi delle immunoglobuline, compresi bande oligoclonali e aumento delle IgG, sebbene meno frequentemente che nella sclerosi multipla.
4. Esami speciali su liquor e tessuto cerebrale
a) Anticorpi. La ricerca di anticorpi nel liquor è, secondo IDSA, utile nella diagnosi etiologica di alcuni pazienti con encefalite. Si ricorda, a questo proposito, che la presenza nel liquor di anticorpi IgM specifici verso alcuni virus indica di solito una malattia del sistema nervoso centrale perché questi anticorpi non diffondono facilmente attraverso la barriera emato-encefalica; è questo il caso dell’encefalite da flaviviris e di encefalite da virus varicella-zoster.
b) Amplificazione degli acidi nucleici. Come accennato in precedenza, questa tecnica, eseguita mediante reazione polimerasica a catena (PCR), ha notevolmente agevolato la diagnosi di encefalite da herpesvirus ed enterovirus. Ad esempio, nell’encefalite da herpes simplex 1, sensibilità e specificità raggiungono nell’adulto il 96-98% e il 95-99%, rispettivamente e permangono a questi livelli durante la prima settimana di terapia; nei neonati e nell’infanzia questi risultati sono più variabili. Si ricorda, a questo proposito, che in questi casi una PCR inizialmente negativa può positivizzarsi in successivi esami anche 1-3 giorni dopo l’inizio del trattamento.
Per quanto riguarda l’encefalite da virus varicella-zoster, un risultato negativo non esclude la diagnosi. La PCR è utile anche nelle encefaliti da citomegalovirus. Va tenuto presente che, nell’infezione da virus di Epstein-Barr, un risultato positivo alla PCR non indica necessariamente un interessamento del sistema nervoso centrale, poiché i mononucleati infetti possono dar luogo a risultati falsamente positivi. Nell’encefalite da virus West Nile la PCR risulta positiva in poco meno del 60% dei casi sierologicamente confermati. La PCR è utile nell’encefalite da Mycoplasma pneumoniae, anche se un risultato negativo non esclude la diagnosi.
c) Liquorcoltura. IDSA sottolinea che questi esami sono di utilità limitata nella diagnosi di encefalite, con positività variabile soltanto dall’1 al 5% circa. Per contro, la liquorcoltura è utile nella diagnosi delle encefaliti non virali.
d) Biopsia cerebrale. Data la disponibilità della PCR e delle tecniche per evidenziare gli anticorpi, tale tecnica trova oggi una limitata applicazione.
5. Trattamento
a) Trattamenti empirici. Sebbene molti siano i virus responsabili di encefalite, in genere un trattamento antivirale specifico è limitato all’encefalite da virus erpetici, iniziando con acyclovir (10 mg/kg endovena ogni 8 ore in bambini e adulti con normale funzione renale e 20 mg/kg endovena ogni 8 ore nei neonati). Altri trattamenti antimicrobici empirici possono essere iniziati.
b) Trattamenti specifici. IDSA si sofferma sulla terapia delle encefaliti da alcuni virus di più frequente riscontro, rimandando per altre etiologie alla numerosa letteratura medica sull’argomento e al sito http://www.idsociety.org.
1) Herpes simplex. L’acyclovir è il trattamento di scelta, anche se morbilità e mortalità permangono elevate (28%). Fattori prognostici negativi sono età >30 anni, livello di coscienza (Glasgow Coma Score <6), durata dei sintomi >4 giorni prima del trattamento (la mortalità si riduce se la terapia è iniziata entro 4 giorni dall’inizio dei sintomi). Dosi: adulti con normale funzione renale 10 mg/kg endovena ogni 8 ore per 14-21 giorni; neonati: 20 mg/kg endovena ogni 8 ore per 21 giorni. Sono possibili ricorrenze anche dopo terminato il ciclo di acyclovir. Un risultato negativo alla PCR del liquor al termine del trattamento indica una prognosi migliore, mentre un risultato positivo, impone la continuazione della terapia. Per quanto concerne l’aggiunta di corticosteroidi IDSA ritiene che i risultati finora ottenuti debbano essere confermati, anche se sia stato osservato un decorso più grave in pazienti non trattati con questi preparati.
2) Virus varicella-zoster. Oltre all’acyclovir (10-15 mg/kg endovena ogni 8 ore per 10-14 giorni), in casi con meningoencefalite è stato usato ganciclovir. Non vi sono attualmente dati certi sull’effetto dei corticosteroidi.
3) Cytomegalovirus. Al momento attuale non sono chiaramente definiti i risultati del trattamento di questa forma di encefalite. Sono stati usati ganciclovir (5 mg/kg endovena ogni 12 ore per 2-3 settimane) e foscarnet (60 mg/kg endovena ogni 8 ore oppure 90 mg/kg endovena ogni 12 ore per 3 settimane) da soli o associati. Si sottolinea che generalmente l’encefalite da citomegalovirus si sviluppa in una condizione di grave depressione dell’immunità cellulare e ciò rende necessario un tentativo di attenuare per quanto possibile tale situazione.
4) Virus di Epstein-Barr. Sebbene l’acyclovir inibisca la replica di questo virus in vitro, le ricerche più recenti non hanno dimostrato vantaggi dall’uso di questo farmaco. I corticosteroidi possono essere utili in soggetti selezionati che presentano aumento della pressione intracranica o una condizione di encefalomielite.
5) Herpesvirus homini 6. IDSA riferisce che mancano studi clinici controllati sull’effetto dei farmaci antivirali, nonostante si consigli ganciclovir o foscarnet da soli o in associazione, specialmente nei pazienti immunodepressi.
6) Virus B (cercopitecin-herpesvirus 1). È consigliata una profilassi nei soggetti a rischio con valacyclovir (1 g per os ogni 8 ore per 14 giorni). L’acyclovir (12,5-15 mg/kg endovena ogni 8 ore) è consigliato nell’infezione acuta; in questo caso è anche consigliato valacyclovir (1 g per os ogni 8 ore) perché consente di raggiungere alte concentrazioni sieriche. Gancyclovir (5 mg/kg endovena ogni 12 h) è consigliato per almeno 14 giorni, oppure fino a che non è regredito il quadro neurologico. Inoltre è stato proposto il valacyclovir per controllare l’infezione latente.
7) Altri virus. IDSA precisa che, al momento attuale, non sono disponibili dati certi sull’efficacia di vari farmaci antivirali nei pazienti con encefaliti da virus non compresi nel precedente elenco. Tuttavia sono citati alcuni studi sul trattamento di encefaliti da morbillo, virus West Nile, virus Nipah, influenza B e rabbia, con ribavirina, oseltamivir, interferone alfa, immunoglobuline anticorpali specifiche.
8) ADEM (encefalomielite acuta disseminata). In questi pazienti sono state usate alte dosi di metilprednisolone (1 g endovena pro die almeno per 3-5 giorni). Nei soggetti che non rispondono ai corticosteroidi è stato fatto ricorso allo scambio di plasma con qualche successo. Nei soggetti che non rispondono a entrambi questi trattamenti sono state usate immunoglobuline per via venosa.