In questo numero

È finita la pandemia, non per l’evidenza di un’assenza di casi di malattia o per l’interruzione dei contagi, né per un pronunciamento formale dell’Organizzazione mondiale della sanità. Si è conclusa per decisione politica, per stanchezza dei cittadini, per il bisogno dei media di cambiare gli argomenti su cui provare a intrattenere lettori e ascoltatori. È finita anche se le cifre dei contagi continuano a essere alte (vedi In questi numeri, in basso). È finita, infine, per l’urgenza – non di valutare metodi ed esiti delle decisioni prese nei mesi cruciali dell’emergenza sanitaria – ma di colpire di nuovo e con maggiore forza le persone che si sono trovate a dover fare delle scelte essenziali non disponendo di elementi sufficienti e di prove robuste per decidere con sicurezza su questioni che avevano un impatto diretto sulla salute delle persone e sul benessere economico e vitale di milioni di persone. Per riprendere una risposta di Carlo Saitto (pag. 231), la pandemia è stata ed è una «educazione all’incertezza». Su questi temi interviene Giuseppe Traversa con un editoriale (pag. 183): «Abbiamo bisogno degli esperti per prendere decisioni complesse, rischiose, ma le decisioni complesse e rischiose sono anche quelle per le quali è più probabile che, a posteriori, si arrivi a verificare che almeno su qualche aspetto è stato commesso un errore, o comunque non è stata fatta la scelta migliore. Se si crea un meccanismo che spinge i tecnici a sottrarsi alle valutazioni rischiose, a fare quelle valutazioni rimarranno solo i non competenti». Sebbene sia molto probabile che il procedimento avviato dalla Procura di Bergamo finisca su un binario morto, è sicuro che contribuirà a far crescere la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.

L’esaurirsi dell’emergenza permette anche valutazioni tecniche interessanti come quella del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio (pag. 222), tre piani di un edificio romano esposti al «peso corrosivo della ricerca» (la definizione è sempre di Saitto). Il miglioramento di alcuni processi ed esiti (accessi al pronto soccorso, appropriatezza prescrittiva, per esempio) nei mesi di pandemia potrebbe essere solo apparente, spiegano gli autori. In altre parole, dovuta alla rinuncia dei cittadini a utilizzare il servizio sanitario pubblico. Molto interessante anche l’esplorazione di un metodo di «rappresentazione grafica che consenta un confronto “immediato e complessivo” dei risultati di diversi indicatori»: tale metodo «migliora la capacità dei professionisti di valutare le proprie performance e aumenta l’efficacia dei percorsi di miglioramento della qualità sanitaria».