In questo numero

Qualche settimana fa, il medico pediatra Salvo Fedele ha scritto alla direzione di una rivista che da anni si occupa di salute del bambino e dell’adolescente. Fedele – che contribuì alla fondazione di quella stessa rivista – ha invitato l’attuale direttore a ricordare che uno dei compiti di un progetto culturale è quello di mantenere viva la memoria. È una sollecitazione che può sorprendere, che può spiazzare chi pensa che una rivista abbia come obiettivo esclusivo – o comunque prioritario – quello di esplorare l’innovazione, di interrogarsi sul futuro, di anticipare cosa domani accadrà. È un invito opportuno, però, perché la manutenzione della memoria è la condizione per vivere il presente e preparare il futuro in modo consapevole, informato dagli errori compiuti e dalle scelte opportune fatte in passato.

Gli articoli di Carlo Saitto sono un esempio di esercizio di manutenzione della memoria. Chi lo avesse perso, potrà recuperare il contributo uscito sul numero di febbraio di Recenti progressi che ricostruiva una conversazione immaginaria tra Francis Peabody e Virginia Woolf. Ma anche nel fascicolo che stai sfogliando c’è una riflessione sulla dialettica tra la medicina di popolazione e la dimensione clinica della relazione di cura individuale (pag. 250): «La medicina clinica di popolazione può consentire più in generale ai professionisti di operare contemporaneamente nei limiti della loro specialità e oltre quei limiti su un progetto di salute collettiva e può diventare per le persone una chiave di rappresentazione sociale della loro salute, dei loro problemi e delle malattie che li colpiscono. La medicina clinica di popolazione può forse restituire anche un senso diverso del proprio ruolo e della sua relazione con le persone a un sistema sanitario messo costantemente in crisi, oltre che dalla burocratizzazione e dalla scarsezza delle risorse, dall’angustia delle sue prospettive».

Dietro questa conclusione c’è un insieme di esperienza, vissuti e frequentazioni personali e mediate dalla lettura di decine – se non centinaia – di punti di vista sul senso della cura e sul significato umano e politico dell’assistenza, del servizio sanitario pubblico universalistico.

A proposito di manutenzione della memoria, lo spazio che la rivista dedica esplicitamente a questo sentimento si è popolato di un nuovo ricordo, quello di Albano Del Favero (pag. 290). Di lui così ha detto Fausto Roila, suo allievo: «I suoi modi accudenti e dolci con i pazienti sono di grande insegnamento per me. Imparo da lui a fare un esame clinico, a rapportarmi con un malato, a mettere in pratica i principi dell’etica». Le doti umane e cliniche di Del Favero convivevano con una esemplare lucidità di individuare e affrontare le grandi questioni della sanità di popolazione, a partire dal “problema dei farmaci” da lui analizzato in due libri che hanno un posto speciale nella storia dell’editoria scientifica italiana e in un progetto-rivista che ha contribuito a formare lo sguardo di migliaia di medici e di farmacisti.

Se ce ne fosse bisogno, il messaggio di Fedele ci ricorda con discrezione che un progetto culturale difficilmente tiene lontana una misura di sofferenza: parafrasando Calvino nel Sentiero dei nidi di ragno, per interrogarsi sul domani serve esperienza, che non è altro che «memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso».