“Assalto alla Lombardia”

Vittorio Fontana




Era davvero un buon libro “Assalto alla Lombardia” di Michele Sasso, ma mi tocca parlarne al passato. Sì perché, dopo le recenti elezioni regionali lombarde che hanno visto una nuova schiacciante vittoria del centrodestra, pur in un quadro di desolante astensionismo, è un po’ come parlare di un libro postumo. Anche l’autore si chiedeva nel Prologo: «In futuro, con le prossime elezioni regionali, ci sarà un cambio?» Direi di no. Un libro che è uscito tardi, nel gennaio 2023, poco prima delle elezioni ma che comunque non avrebbe convinto gli elettori lombardi che dopo quasi trent’anni di monarchia assoluta del centrodestra proprio non se la sono sentita di cambiare. Qualcuno ha parlato di sindrome di Stoccolma. A me vengono in mente quelle idee deliranti ben strutturate, tipiche delle psicosi che nessun fatto, nessun discorso logico, nessun dato può in alcun modo scalfire. Figuriamoci un buon libro come quello di cui sto parlando, documentatissimo, pieno di fatti e di dati ma sempre leggibilissimo e molto istruttivo. Chi e che cosa potrà mai scalfire l’autocelebrazione del “modello lombardo”, se neanche la pessima gestione della pandemia è bastata? Al di là delle implicazioni giudiziarie, si parla di sostanziale impreparazione e disorganizzazione, poco compatibili con una tanto sventolata eccellenza: tralasciando le polemiche sulla mancata istituzione della zona rossa (che comunque era nelle prerogative della Regione), che è costata il più grande focolaio pandemico in Europa, tralasciando la scelta di trasferire pazienti Covid nelle Rsa; all’inizio mancavano mascherine e semplici dispositivi di protezione individuale (voleva dire che gli operatori si ammalavano e morivano), mancavano i reagenti per i tamponi (una delibera votata nel maggio 2019, collegata a incentivi per i dirigenti, dava indicazione per l’eliminazione delle rimanenze, di fatto l’eliminazione delle scorte che sarebbero poi risultate necessarie), il tracciamento è andato in tilt anche perché l’infrastruttura informatica non è risultata all’altezza nonostante tutti i soldi spesi negli anni (soldi sottratti impropriamente al budget della sanità invece di essere investiti per garantire servizi essenziali: si parla di 200 milioni ogni anno per essere chiari), infine gli errori sull’approvvigionamento dei vaccini che alla fine sono costati la poltrona all’assessore Gallera. Per non dire della vicenda dei camici del cognato di Fontana. E, cosa ancora più importante e gravosa di conseguenze nefaste, il territorio è risultato completamente sguarnito con pazienti abbandonati a loro stessi nel momento del bisogno. Eccellenza? Insomma.

Ma, ancora peggio se possibile, è mancata del tutto l’autocritica, pessimo presagio per future sventure. Si è passati da “andrà tutto bene” a “è andato tutto bene” senza che sia stata fatta un’analisi seria di ciò che non ha funzionato. Eppure tutto questo non è frutto del caso o della sfortuna, pur nell’eccezionalità dell’evento, uno tsunami, come è stato definito, ma è frutto di politiche che si sono susseguite in Lombardia per quasi trent’anni e che potranno proseguire indisturbate per gli anni a venire. La pandemia è arrivata dopo gli anni di Formigoni cui si è aggiunta, con effetto additivo se non moltiplicatore, la legge Maroni del 2015 nata per fare pulizia dopo gli anni degli scandali e delle inchieste giudiziarie, ma destinata a fare ancora più confusione e ad abbattere le strutture territoriali come se si abbattesse l’argine di un fiume. «Equiparando strutture pubbliche e private, separando la programmazione dei bisogni sanitari dall’erogazione, abolendo le Asl, creando distretti sovradimensionati e svuotati di specifiche strutture per la medicina territoriale e con una proliferazione di agenzie, osservatori, tavoli tematici, accademie, scuole, gruppi di lavoro che non rendono chiaro chi deve fare cosa».

Un po’ di storia. Si parte dal 1997 da quando Formigoni, ciellino devoto, assurge alla carica più alta: Governatore della Lombardia, al trentesimo piano del Pirellone, una suite di lusso con vista sulla città di Milano fino alle Prealpi e oltre. Qui la grandeur formigoniana dà il meglio di sé: mentre il Pirellone – storico simbolo e sede della Regione dal 1977 – viene ristrutturato in seguito all’incidente del 2002, quando un piccolo aereo da turismo si schiantò contro il grattacielo, non solo la Regione si trasferisce in un Polo attiguo chiamato l’“Altra sede”, che compra da Enpam per 182 milioni di euro, ma provvede a costruire un nuovo Palazzo Lombardia, un grattacielo da 161 metri e 43 piani abbattendo il Bosco di Gioia, uno degli ultimi angoli di verde pubblico a Milano. Il nuovo palazzo costa alla fine 610 milioni, circa 14 milioni a piano, soldi sottratti ad altri capitoli di spesa come sanità, istruzione ed edilizia popolare, e qui il Celeste naturalmente mantiene per sé due interi piani per il suo ego smisurato. Solo per l’arredo si spendono 42 milioni di euro. Formigoni fa addirittura costruire un eliporto (in centro città!) all’undicesimo piano, e lo inaugura trionfalmente con la finale dell’Isola dei famosi; la piattaforma ora è in disuso ma è costata svariati milioni di euro ai contribuenti lombardi. Ma non è finita: il prossimo progetto della Giunta lombarda è di abbattere la cosiddetta “Altra sede” per costruire una nuova torre, Palazzo Sistema, cioè un terzo grattacielo a 700 metri di distanza dalle altre due sedi, per il quale si sono già stanziati 200 milioni di euro. E già ci sono 17 avamposti gestiti direttamente dalla Giunta lombarda, uno in ogni capoluogo, tre a Milano, due a Roma (a due passi da via del Corso e dal Pantheon) e uno a Bruxelles. La megalomania formigoniana è dapprima un po’ nascosta sotto gli abiti della devozione, della sobrietà e della castità propria dei memores Domini, aristocrazia di Comunione e Liberazione, poi sfocia via via in tracotanza e finisce in costume da bagno sugli yacht della Costa Smeralda, con una condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi di reclusione per corruzione per l’uomo di cui si dice che “confonde sé stesso con la Regione” e insieme con lui i suoi amici di Cl, Daccò e Simone, devoti faccendieri.

Lo smantellamento del Ssn

Ma veniamo allo smantellamento del Servizio sanitario nazionale secondo il modello Lombardia. Formigoni usa il grimaldello della sussidiarietà orizzontale tanto cara a Don Giussani, e lo interpreta con spietato utilitarismo per favorire i suoi amici privati della Compagnia delle Opere, braccio “armato”, imprenditoriale, di Comunione e Liberazione. È qui, «dove l’impresa privata incontra i fondi pubblici», che nasce un amore tossico in grado di trasformare tutto ciò che tocca: no-profit diventa profit – pubblico diventa privato. D’altra parte «l’aggressione ai beni comuni è il fil rouge dei 18 anni di regno del Celeste». È Formigoni a gettare le basi per la distruzione del sistema sanitario pubblico in Lombardia, lo fa coscientemente secondo un piano ben pensato e ben strutturato, quasi senza trovare ostacoli, anzi a volte con l’appoggio del centrosinistra nazionale, un piano proseguito con poche differenze dai successori leghisti di cui ora vediamo solo le battute finali. La riforma sanitaria Fontana-Moratti è solo l’ultimo atto normativo lombardo, con valore di legge regionale, che ratifica ed espande le logiche di privatizzazione del Servizio socio-sanitario della Regione (per i dettagli, molto analitici, si veda anche il libro di Maria Elisa Sartor “La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al Covid 19”, cui Sasso fa specifico riferimento).

I favori agli amici privati si sprecano, in primis il Gruppo San Donato di Giuseppe Rotelli, “sua sanità”, che entra nella squadra di esperti che mette a punto la riforma sanitaria su input del Governatore. Tra accreditamenti, acquisizione dell’ospedale San Raffaele, trasformazione di ospedali privati in Irccs con possibilità di accesso a fondi per la ricerca, il Gruppo San Donato tra il 2001 e il 2021 riceve rimborsi pubblici per 17 miliardi di euro (l’80% dei suoi ricavi). Per spianargli la strada si fa un po’ di tutto, perfino chiudere un punto nascita di Cernusco sul Naviglio e nello stesso giorno (quando si parla di coincidenze!) inaugurare il reparto di neonatologia del San Raffaele, ospedale che sta a Segrate ma il punto nascita si trova giusto giusto sul territorio milanese: così sulla carta d’identità invece di Segrate come luogo di nascita, ci potrà essere scritto Milano, fighissimo. Ma è solo uno dei tanti esempi di servizi pubblici chiusi per essere riaperti sotto sembianze private poco più in là, naturalmente solo se appetibili economicamente. Nel caso in questione ogni nascituro porta in dote 1600 euro di rimborsi regionali. Lo spoils system è fondamentale e funzionale al progetto, cito: «Formigoni è intervenuto come uno schiacciasassi nella Sanità grazie allo spoils system dei Direttori generali, fidelizzando la burocrazia della macchina regionale (anche aumentando gli stipendi di una parte del personale apicale)». Aggiungo che poi ci ha pensato la Lega, molto meno aristocratica di Cl, a fidelizzare anche il personale dal basso, distribuendo con metodo rendite di posizione un po’ in tutti i ruoli, amministrativi come sanitari.

L’ideologia poi si impone oltre che nel neoliberismo – che odia tutto ciò che è pubblico – anche nell’oscurantismo ultracattolico che si abbatte sul “corpo delle donne”. Il capitolo che porta questo titolo mette i brividi e rabbia raccontando di come siano stati depotenziati e smantellati i consultori, ma solo quelli pubblici, e di come sia giornalmente messo in discussione un diritto sancito dalla legge 194 del 1978, per dare spazio a Prolife e similari. La Sanità pubblica non deve funzionare, si deve dimostrare che «il pubblico è una burocrazia di poveracci e solo il privato brilla». Magari anche imponendo una piattaforma informatica pensata appositamente dalla Compagnia delle Opere, che funziona così così, se non male veramente, che tuttavia bisogna scegliere, senza gara d’appalto, quasi la reclamasse il buon Dio in persona. E non è un dettaglio da niente, da quella piattaforma dipende la funzionalità di gran parte dell’attività sanitaria.

Così, giusto come esempio, un ospedale pubblico davvero di eccellenza, gli Spedali civili di Brescia (negli anni Duemila decimo posto nel mondo e primo in Europa secondo una classifica stilata da una società indipendente americana) viene depotenziato e il suo direttore Lucio Mastromatteo, che è tra i responsabili del buon funzionamento di quell’ospedale e vuole fare una gara d’appalto per la piattaforma informatica viene allontanato, non prima di essere stato attaccato e sotto la continua minaccia di licenziamento. Tant’è, questi sono i metodi. Il direttore generale che gli succederà firmerà una convenzione con lo psicologo Vannoni per il metodo Stamina, tanto per dire. «Anno dopo anno le attività svolte dal pubblico sono diminuite in termini di gamma di prestazioni, quantità, qualità e attrazione. I grandi ospedali vengono costretti con continui tagli e bizantinismi a un progressivo ritiro per lasciar spazio ai gruppi accreditati». E l’operazione continua ai giorni nostri con le Case di comunità, richieste e finanziate dal Pnrr, che si traducono in pura edilizia sanitaria, rotazione di cartellonista, poliambulatori che diventano da un giorno all’altro Case di comunità con tanto di inaugurazioni in pompa magna e nel frattempo offrono il destro per la chiusura di strutture ben funzionanti e di interesse pubblico e collettivo come consultori e Unità operative neuropsichiatria psicologia infanzia adolescenza (Uonpia), chiuse e sostituite con il nulla. Intanto le liste d’attesa crescono a dismisura, i cittadini sono spinti a rivolgersi al privato, la rinuncia alle cure è diventata frequente. Eccellenza? La sanità in Lombardia è diventata un suk, dove ti giri ti giri ci sono ambulatori privati, smart clinic anche negli ipermercati, le wellness clinic proliferano con le loro vetrine lussuose e accattivanti, ma di diritto alla salute solo l’ombra.

Scuola pubblica, trasporti, cementificazione

Visto il contesto mi fermo alla parte relativa alla Sanità, ma il libro di Sasso racconta anche molto bene dei tagli alla scuola pubblica, dove si sta provando ad applicare lo stesso metodo usato per la Sanità in nome della cosiddetta “libertà di scelta”, uno slogan vuoto e del tutto ingannevole che però continua a piacere tanto ai lombardi e che si tradurrà solo nello smantellamento della scuola pubblica attraverso il finanziamento, pubblico, degli istituti privati.

Il libro racconta anche dei trasporti indegni di una Regione all’avanguardia come la si vuole dipingere; basta salire su un treno dei pendolari gestiti da Trenord: latitano le corse, la pulizia, il comfort, il rispetto degli orari; parla della spinta alla motorizzazione (quasi 7 milioni di veicoli circolanti), della continua costruzione di nuove autostrade (oltre 400 km di nuove autostrade da qui al 2030) alcune praticamente deserte (vedi BreBeMi), di comprensori sciistici aperti anche se la neve ormai è solo un lontano ricordo, del disastro Aler nella gestione delle case popolari, parla del consumo di suolo che ne fa qui davvero la prima Regione d’Italia (750 nuovi ettari cementificati nel solo 2020, anno in cui, per il Covid, per alcuni mesi vi è stata la paralisi di tutte le attività e, in previsione, altri 150 mila ettari di territorio agricolo o naturale pronti a essere urbanizzati entro il 2050), della cementificazione e della speculazione immobiliare: «I campi vengono invasi dalla logistica che sembra operare in una terra priva di regole, colonizzando con enormi capannoni vastissime superfici, parla dei fanghi tossici che entrano a far parte dei cosiddetti fanghi di depurazione» e quindi usati nei campi agricoli. Un metodo appena appena più pulito e regolare di quello usato dalle mafie.

Insomma tanta roba in queste pagine. Eppure il metodo lombardo, tanto più dopo la schiacciante vittoria elettorale di febbraio e la vittoria nazionale del centrodestra, sembra non avere ostacoli. La Lombardia sembra essere la palestra per i futuri politici nazionali, imponendo un’“egemonia culturale” (altro che sinistra) che potrebbe trasformare l’Italia in una grande Padania come nessun leghista, anche il più ambizioso, avrebbe mai potuto sognare. Di qualsiasi Regione voi siate, avete 5 anni per leggere questo libro, mettetevi comodi ma iniziate subito.