Dalla letteratura

Dove pubblicare di epidemiologia?

Se dovessimo dar retta a Scholar – il sistema di ricerca di Google nella documentazione accademica – la migliore destinazione per un articolo di epidemiologia sarebbe l’International journal of epidemiology. Pubblicato da Oxford university press, ha un impact factor (If) 2021 di 9,685. In altre parole (conviene sempre puntualizzare), ogni articolo pubblicato su queste pagine ha una ragionevole probabilità di essere citato circa 10 volte sulle riviste indicizzate da Clarivate, una società di servizi editoriali e bibliometrici. Sugli ultimi cinque anni, precisa Scholar, l’H-index di questa rivista è di 90 (novanta articoli con almeno 90 citazioni ognuno).




Il Journal of clinical epidemiology, invece, ha un If di 7,407 ed è diretto da David Tovey che ha coordinato per molti anni Cochrane, la rete internazionale di ricercatori che producono revisioni sistematiche. La rivista è pubblicata da Elsevier con un modello ibrido che prevede l’accesso ai contenuti da parte dei lettori che afferiscono a istituzioni abbonate, oppure l’open access subordinato al pagamento di una quota da parte degli autori.

Oxford UP è l’editore anche dell’American journal of epidemiology, diretto da Enrique Schissterman. Impact factor a 5,363 e quattro editor dedicati alla presenza della rivista sui social media. La redazione cura un podcast intitolato “Casual inference”, con ospiti diversi e su argomenti molto interessanti.

Lo European journal of epidemiology (Eje), pubblicato per la prima volta nel 1985, è un forum sull’epidemiologia in senso lato. È una rivista peer-reviewed dedicata a tutti i campi della ricerca epidemiologica e ai metodi epidemiologici e statistici. L’Eje promuove la comunicazione tra coloro che sono impegnati nella ricerca, nell’insegnamento e nell’applicazione dell’epidemiologia, compresi clinici e medici attivi sul territorio. La rivista ospita e incoraggia la submission di contributi provenienti da un’ampia varietà di campi, tra cui la salute pubblica, la medicina preventiva, la medicina clinica, l’economia sanitaria e la scienza dei dati applicata alla salute e alla malattia. L’IF 2021 è di 12,442.

Ci vogliono in media 76 giorni per vedere il proprio articolo pubblicato (se accettato) sul Journal of epidemiology and community health. La rivista fa parte del gruppo del BMJ e ha una periodicità mensile. L’IF è di 6,286. Particolarmente attenta al tema dei determinanti sociali di malattia e di salute, la rivista è pubblicata secondo il modello “trasformativo”: in altre parole, l’autore può decidere se sostenere il costo di circa 3000 sterline per pubblicare in modalità open access: in questo caso e in tutti i casi analoghi, l’editore dovrà negoziare degli sconti con gli enti che hanno sottoscritto l’abbonamento. Gli autori di nazioni a medio e basso reddito possono godere di una riduzione del costo. Se invece un gruppo di autori ha ricevuto un finanziamento istituzionale per la pubblicazione, la fee dovrà essere pagata per intero.

Epidemiology – edita da Lippincott – è la rivista bimestrale della International society for environmental epidemiology. L’IF 2021 è di 4,860. La direzione della rivista promette di coinvolgere nella peer review revisori di pari livello degli autori o a rifiutare gli articoli presentati entro due settimane dall’invio. La revisione dovrà essere completata entro sette settimane dall’invio e la decisione sugli articoli revisionati dovrà arrivare agli autori entro otto settimane dall’invio. La pubblicazione? Non più di quattro mesi dopo l’accettazione per la pubblicazione. È pubblicato in modalità ibrida: sono aperti gli articoli per i quali gli autori hanno accettato di sostenere i costi. Gli altri, a pagamento.




L’American college of epidemiology patrocina invece la pubblicazione degli Annals of epidemiology, attualmente diretti da Patrick Sullivan della Emory university negli Stati Uniti. IF a quota 6,4 nel 2021. Anche questa rivista incoraggia gli autori a sostenere le spese di pubblicazione per ottenere l’accesso libero da parte di qualsiasi lettore. Nell’ottobre 2023 sarà pubblicato un numero speciale dedicato alla Implementation science. I criteri di valutazione dei lavori proposti sono spiegati in modo chiaro sul sito del periodico e lasciano supporre che buona parte delle submission sia declinata in base alla cosiddetta “desk rejection”: senza essere affidata a revisori esterni insomma.

Clinical epidemiology ha un IF di 5,814 e un tempo di valutazione degli articoli di circa 44 giorni. Molto rapida la pubblicazione (14 giorni e il lavoro è online) e molto alta la rejection rate (89% dei lavori è respinto). Ha un interesse particolare per gli articoli che elaborano dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche e altri dati sanitari di routine, in particolare per quanto riguarda la sicurezza degli interventi medici, l’utilità clinica delle procedure diagnostiche, la comprensione del decorso clinico a breve e lungo termine delle malattie, i metodi epidemiologici e biostatistici e le revisioni sistematiche.

È di 9,308 l’IF dell’American ­journal of public health, organo ufficiale del­l’American public health association. Rivista molto conosciuta, ha arricchito la sua offerta informativa con prodotti multimediali interessanti e capaci di fare da ponte verso comunità di ricercatori di ogni parte del mondo: un podcast è in lingua cinese. Una volta che un articolo è accettato per la pubblicazione, gli autori possono pagare 2500 dollari per renderlo aperto a tutti i lettori.

Il decimo media che segnaliamo in questo elenco è The Lancet public health: di gran lunga il periodico di sanità pubblica più citato, con un IF di 72,427. Pubblicare su questa rivista (che segue il modello Gold open access: tutti gli articoli sono free per i lettori) costa 5780 dollari.

Pubbli




care costa troppo?

La dimissione in massa dei membri del comitato editoriale della rivista NeuroImage ha fatto – e sta facendo – discutere. L’esodo di ricercatori, ricercatrici e clinici del periodico è stata una decisione clamorosa per protestare contro “l’avidità” della casa editrice: parliamo di Elsevier, il player più potente della comunicazione scientifica internazionale. Il board sostiene di essere rimasto inascoltato: l’editore infatti avrebbe rifiutato di ridurre le spese di pubblicazione agli enti di appartenenza degli autori e delle autrici.

NeuroImage è una rivista leader a livello mondiale per la ricerca sull’imaging cerebrale: una delle tante riviste che seguono il modello open access e che non applicano alcun paywall tra autori e lettori. Servono più di 2700 sterline per pubblicare. Una cifra “immorale” secondo il board che non avrebbe alcuna giustificazione in base ai costi sostenuti. Che Elsevier abbia pochi scrupoli quando si tratta di aumentare i propri ricavi è un fatto assodato: circa il 25% degli articoli scientifici del mondo è pubblicato da riviste del gruppo e nell’ultimo esercizio le entrate sono aumentate del 10% raggiungendo i 2,9 miliardi di sterline lo scorso anno. «Ma sono i margini di profitto, che secondo i conti del 2019 sfiorano il 40%, a far arrabbiare di più gli accademici» spiega The Guardian1. «Le grandi case editrici scientifiche mantengono bassi i costi perché gli accademici svolgono le loro ricerche – tipicamente finanziate da enti no profit e dalle finanze pubbliche – gratuitamente». La dinamica sotto accusa è ben nota: la comunità scientifica accetta di svolgere la peer review gratuitamente per verificare che il lavoro dei propri colleghi possa essere pubblicato e gli editor che collaborano alle riviste prestano sempre gratuitamente la propria opera o con un piccolo stipendio. Alla fine di questo percorso, è la stessa comunità scientifica a tirar fuori i soldi per la pubblicazione vuoi tramite il contributo di chi firma, vuoi attraverso i fondi delle istituzioni.

La decisione del comitato scientifico di NeuroImage è stata salutata con ammirazione da moltissimi ricercatori che sperano sia l’inizio di una ribellione contro gli enormi margini di profitto dell’editoria accademica, che superano quelli di Apple, Google e Amazon.

Qualche voce isolata si è alzata a difendere Elsevier e questa sì che è una novità. In un gruppo chiuso di discussione, un editor di un’importante rivista internazionale open access ha spiegato che il costo da loro sostenuto per ciascun articolo pubblicato sia di circa 4300 dollari americani. Sappiamo infatti che il costo maggiore per un periodico scientifico è negli articoli non pubblicati, quelli che richiedono comunque un lavoro di segreteria e che non arrecano alcun vantaggio alla rivista. I costi per il personale, il supporto legale, gli edifici, le dotazioni informatiche e lo sviluppo di software, la manutenzione dei server e l’elettricità: tutto questo costa moltissimo.

È una discussione iniziata già da molti anni e che non è destinata a esaurirsi rapidamente. A ogni modo, leggere certe cifre – sia in termini di costo per pubblicazione, sia di profitti globali industriali – lascia ancora più perplessi pensando alla quantità di ricerca inutile o condizionata che continua a essere condotta e pubblicata.

I transfughi da NeuroImage hanno annunciato la fondazione di una nuova rivista, Imaging NeuroScience, che sarà pubblicata dalla MIT Press2 e che partirà sicuramene avvantaggiata dall’esperienza – oltre che dal prestigio – del board editoriale. La domanda che ha suscitato questo annuncio è intrigante: una rivista può esistere a prescindere dagli editor che l’hanno storicamente curata?




Un post su Scholarly kitchen3 prova a rispondere a questo interrrogativo: «Nel caso di NeuroImage, né gli autori né gli abbonati presteranno molta attenzione all’addio del comitato editoriale, sia nel breve sia nel lungo periodo. Forse per la maggior parte degli autori il nome di NeuroImage dipende principalmente da fattori diversi dalla composizione del comitato editoriale (ehm… dall’impact factor?), e finché si sentiranno ragionevolmente sicuri che il nuovo comitato sarà comunque composto da persone competenti, continueranno ad avere la sensazione di inviare lavori alla stessa NeuroImage di sempre. Forse gli autori e gli abbonati procederanno semplicemente come al solito, supponendo che Elsevier sia pienamente in grado di sostituire il vecchio comitato editoriale con uno altrettanto valido ed è molto probabile che lo faccia. La questione non è se avere un comitato editoriale sia importante o meno; la questione è quanto contino le persone che compongono un determinato comitato editoriale, sia per la qualità effettiva della rivista sia per la sua desiderabilità come spazio dove pubblicare nella mente degli autori».




Bibliografia

1. Fazackerley A. “Too greedy”: mass walkout at global science journal over “unethical” fees. The Guardian 2023; 7 maggio.

2. Zahneis M. “It feels like things are breaking open”: high publishing charges spur neuroscientists to start own journal. The Chronicle of Higher Education 2023; 21 aprile.

3. Anderson R. Is the essence of a journal portable? Scholarly Kitchen 2023; 8 maggio.