In ricordo di Giovanni Bissoni




«Sicuramente nella sanità del nostro paese – come forse in tutti i servizi sanitari – sprechi ce ne sono. Però, dato che il nostro paese non spende complessivamente molto e che i bilanci delle regioni oggi sono sostanzialmente in pareggio, vuol dire che quegli sprechi non diventano un peso per lo Stato ma diventano un peso per i cittadini in termini di minori servizi erogati». Nel giorno della morte di Giovanni Bissoni ricordiamo le sue parole offerte nel 2015 ai partecipanti della riunione annuale dell’Associazione Alessandro Liberati, parole ancora terribilmente attuali. Ed è questa una conferma – da una parte – delle resistenze che impediscono di affrontare i problemi reali che condizionano il Servizio sanitario nazionale (Ssn) del nostro Paese e – dall’altra – della lucidità di un uomo politico e amministratore pubblico che come pochi altri ha lavorato con straordinario impegno e competenza per una sanità equa e universale. «Il termine più completo – proseguiva Bissoni – è inappropriatezza: può esserci nella programmazione, può esserci nell’organizzazione dei servizi, può esserci nell’erogazione di una singola prestazione o di un farmaco».

Bissoni era nato a Cesena nel 1953. Laureato in Architettura, aveva iniziato la propria attività politica come assessore, vicesindaco e sindaco di Cesenatico, città dove viveva. Dal 1990 è stato consigliere regionale in Emilia-Romagna, vicepresidente della Commissione consiliare territorio e ambiente (1990-92) e poi presidente della Commissione bilancio e programmazione (1992-93). A partire dal 1995 è stato assessore alla sanità in Emilia-Romagna, confermato anche nella successiva legislatura 2000-2005 per poi diventare assessore alle politiche per la salute fino alla fine della legislatura nel 2010. Esaurita l’esperienza di governo regionale, è stato membro del Consiglio di amministrazione dell’Agenzia italiana del farmaco, presidente di Agenas (2012-2014), subcommissario ad acta per il piano di rientro della Regione Lazio e capo della segreteria tecnica del ministero della Salute (2020).

Nel marzo scorso era stato tra i primi firmatari di una lettera aperta al ministro della salute in difesa della sanità pubblica: «Riforme a scala nazionale, rafforzamento dell’universalismo nell’accesso ai servizi hanno un valore insostituibile ma necessitano di maggiori risorse. Poiché il Paese non può indebitarsi ulteriormente, se vogliamo evitare il ritorno a sistemi mutualistici-assicurativi, queste risorse vanno reperite con un sistema fiscale equo e progressivo».

Come ha scritto Nerina Dirindin in un saggio uscito dieci anni fa ma ancora estremamente attuale1, «le esperienze regionali mostrano che, dove la sanità pubblica ha potuto contare su tecnici preparati e politici attenti all’interesse generale, il Ssn ha prodotto risultati unanimemente riconosciuti come positivi. Al contrario, dove la qualità dell’apparato tecnico e dei responsabili politici si è mostrata più carente, le politiche sanitarie sono rimaste inattuate. Di qui la necessità, da un lato, di tecnici preparati e, dall’altro, di una politica consapevole della complessità del settore e capace di rinunciare al suo sfruttamento a fini clientelari. Il principale punto di debolezza, infatti, sembra essere la fragilità dei principi etici che, in alcune realtà, guidano ai diversi livelli di responsabilità l’attuazione concreta di quanto previsto dalla normativa esistente. E difficilmente la risposta può essere meramente normativa».

«Il Ssn perde un grande protagonista – ci dice la stessa Dirindin – che ha saputo amare il bello, rispettare tutte le persone e impegnarsi per garantire le cure a chi ne ha bisogno». «Una persona di grande lucidità, rigore, competenza, cultura e visione, con cui abbiamo avuto il privilegio di lavorare, sia a livello nazionale che regionale, per un servizio sanitario più equo» dice Marina Davoli, direttore del Dep Lazio. «Ricco di interessi, amante della vita, del bello e dell’arte. Il tempo passato con lui è sempre stato un tempo ricco, abbiamo discusso, condiviso letture, visto mostre, riso e scherzato, grazie alla sua acuta ironia. Si è fatto accompagnare in questi pochi e drammatici mesi di malattia, senza nascondere nulla né a lui né agli altri delle sue condizioni di salute. Ha contraccambiato con grande generosità l’affetto di chi ha potuto e voluto stargli vicino. Una persona non ordinaria anche per come ci ha lasciati».

Bibliografia

1. Dirindin N. Salvaguardare il sistema di welfare, riconvertire le risorse. Politiche Sanitarie 2012; 13: 94-108.