Recensioni.

“L’equivoco don Milani”

di Stefano Cagliano




Proprio nel 2023, quando il Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani1 e l’onorevole Rosy Bindi ricordano il sacerdote di fronte a Mattarella, è davvero strano che Adolfo Scotto – docente ordinario di Storia della Pedagogia all’Università di Bergamo – pubblichi con Einaudi “L’equivoco don Milani”. Bontà sua, l’autore scrive che «“Lettera a una professoressa” è un libro da leggere nonostante il prete».

Non è la prima e non sarà l’ultima invettiva piovuta addosso al sacerdote. Nell’articolo “don Milani che mascalzone” lo scrittore Sebastiano Vassalli nel 1992 notava «la bravura di polemista dell’autore e la sua implacabile determinazione a demolire con ogni mezzo e con ogni trucco l’oggetto della polemica, cioè quella malcapitata “professoressa” in cui il nuovo Savonarola-don Milani riassume e per così dire simboleggia l’odiata scuola classista dello Stato italiano»2.

A pensarla in modo diverso c’era tra gli altri, e c’è ancora per nostra fortuna, Michele Cortellazzo, autore di dizionari etimologici che hanno fatto epoca. Scrivere è un’arte – notava – aggiungendo che quel libro può «essere letto come un manuale di scrittura e come un esempio di scrittura»3. E don Milani, proseguiva, «è riuscito a far scrivere ai suoi allievi un libro di rara efficacia […] Aver fatto raggiungere questo risultato mi pare un merito non da poco»3. E proseguiva: «Vassalli si stupisce che negli anni Novanta ci siano ancora tante persone che fanno di don Milani un mito; chissà se scrivendo queste poche righe ho dimostrato di vivere un mito. Se anche così fosse, però, non mi dispiacerebbe»3.

Non parliamo solo di una parte della storia della scuola italiana. Il nome don Milani è stato associato in quel periodo anche a miseria, ignoranza, violenza. È impensabile oggi cosa potesse significare allora alfabetizzare dei giovani in quelle condizioni. Scriverne adesso è polemica politica o anche produrre dei libri, ma farlo tra gli anni Cinquanta-Sessanta significava rischiare personalmente.

Comunque, nel maggio 1958 don Milani dà alle stampe “Esperienze pastorali” che viene ritirato dal commercio per ordine del Sant’Uffizio a dicembre (il divieto durerà 56 anni). Due anni dopo, però, il sacerdote è colpito dai sintomi del linfogranuloma che lo porterà alla morte ma continua le sue attività e nel 1966, con i ragazzi di Barbiana, inizia la stesura di “Lettera a una professoressa”. Muore a Firenze il 26 giugno 1967. Nascere e crescere è stato sempre un rischio diceva. «Non si domanda a uno sfortunato “di che Paese sei” o di “quale regione sei”» – sosteneva Louis Pasteur – Gli si diceva: «Tu soffri, questo mi basta; tu mi appartieni; io allevierò le tue sofferenze»4.

“L’equivoco don Milani” somiglia a un teorema polifunzionale negativo. Vorrebbe dimostrare che il sacerdote insegnava male perché credeva peggio, che il suo mito di buon prete non è mai esistito e che sul piano personale doveva fare i conti con la madre. Scotto cerca anche di far emergere l’autoritarismo e chiama in causa Mario Lodi, un maestro, autore di libri celebri. Il ragionamento dell’autore lo porta a dire che «per Mario Lodi i bambini erano in grado di ragionare; per Don Milani no». A leggere il brano di Mario Lodi seguente, per la verità, sì, ci sono delle differenze, ma non nel senso indicato: «C’erano molte somiglianze ma anche profonde differenze… – racconta Lodi – abbiamo confrontato le nostre proposte e abbiamo visto che il fine era simile. Lui diceva di arrivare alla fede attraverso il ragionamento. E noi dicevamo arrivare alla conoscenza della libertà attraverso la pratica della libertà […] Anche se i nostri percorsi erano stati diversi, tutti e due avevamo lo stesso fine: creare un popolo libero, che sapesse ragionare, pensare, essere artefice del proprio futuro»5.

In conclusione, Scotto chiede se non sia giunto il momento «di guardare le cose per quello che sono e provare a correre ai ripari». I tempi corrono, come l’industria e gli investimenti pure: occorre correre, dunque, ma per dove?

Bibliografia

1. Rossini S. Rosy Bindi: «Perché il messaggio di don Milani è ancora attuale». L’Espresso, 26 maggio 2023.

2. Don Milani, che mascalzone. la Repubblica, Archivio, 1992.

3. Cortellazzo MA. Don Milani, un esempio che rimane attuale. Corriere del Ticino, sabato 19 settembre 1992.

4. Cit. in Sournia J-C. Storia della medicina. Bari: Edizioni Dedalo, 1994, p. 260.

“Genetica dei ricordi”

di Domenico Ribatti




Decifrare le basi biologiche e genetiche del comportamento è uno degli obiettivi principali dell’attuale ricerca neurobiologica. Il comportamento è il risultato finale dell’interazione tra il patrimonio genetico che ognuno eredita dai propri genitori al momento del concepimento e l’ambiente in cui si trova a crescere e a vivere. A ogni nostra attività mentale corrisponde una attività cerebrale, il tronco encefalico è considerato il motore per la crescita e lo sviluppo dei sentimenti, così come nell’area dell’amigdala e dell’insula originano le emozioni che ci permettono di scegliere ciò che è bene o male. I ricordi si possono trasmettere di genitori in figli imprimendosi nel DNA e influenzando lo sviluppo cerebrale e i comportamenti delle generazioni successive. Di questo e altro ci dà conto il neurobiologo Andrea Levi nel suo “Genetica dei ricordi. Come la vita diventa memoria”.

La memoria a breve termine contiene poche unità di informazioni per un tempo molto breve, stimato di circa 30 secondi. Diversamente, la memoria a lungo termine è un magazzino con capacità quasi illimitata. In essa vengono conservate tutte le esperienze e le conoscenze acquisite. Si suddivide in memoria esplicita (o dichiarativa) e memoria implicita (o procedurale). Il primo tipo di memoria comprende tutte le informazioni che un soggetto può descrivere consapevolmente, mentre il secondo comprende le abilità motorie, percettive e cognitive. È generalmente riconosciuto che la stabilizzazione a lungo termine di nuove informazioni sia associata all’alterazione della struttura dei neuroni alla quale seguono modificazioni nello schema di connessione neurale.

La lumaca marina Aplysia californica ha un sistema nervoso molto semplice costituito da soli ventimila neuroni e per questa ragione è stata scelta come modello sperimentale di elezione nello studio della formazione delle memorie. Una recente analisi del funzionamento neuronale nella Aplysia ha permesso di documentare che nei meccanismi della memoria a medio e lungo termine mediati da due molecole, mitogen activated protein kinase (MAPK) e protein kinase a (PKA), l’MPAK stimola l’azione della PKA, mentre in quelli della memoria a breve termine risulta coinvolta solo la PKA. Va al premio Nobel E. R. Kandel, che ha impiegato come modello sperimentale proprio l’Aplysia, il merito di risultati scientifici in grado di dimostrare come stimoli provenienti dall’ambiente possano modificare stabilmente l’espressione proteica dei geni e la loro fissazione nelle sinapsi, creando condizioni di plasticità neuronale e sinaptica, quale base organica della memorizzazione dell’esperienza.

Quando i ricordi vengono codificati come esperienze emotivamente positive o negative, le registrazioni vengono effettuate in parti diverse del cervello. Alcuni scienziati sostengono che al mantenimento dei ricordi nel tempo dovrebbero sottostare cambiamenti molecolari altrettanto stabili, a differenza di quanto avviene per le proteine sinaptiche, che vengono sintetizzate e degradate rapidamente. Affinché i ricordi siano utili, devono essere stati ben formati durante un evento, ovvero devono riflettere accuratamente ciò che è realmente accaduto. Tuttavia, nel mondo reale molti ricordi sono imprecisi. Questo accade specialmente in situazioni in cui l’esperienza è stata breve, improvvisa o altamente emotiva, come può spesso accadere durante un trauma. I ricordi imprecisi possono anche verificarsi quando la memoria è mal codificata, potenzialmente, come risultato di sottili differenze nel modo in cui ogni persona elabora la memoria o a causa di malattie come l’Alzheimer o la demenza.