Uno spot e chi lo guarda

Silvana Quadrino1

1Psicoterapeuta della famiglia.

Cosa è stato scritto, e cosa non è stato scritto, sullo spot della pèsca? Come è ovvio tutto e il contrario di tutto, dai semplici (e benvenuti!) mi piace/non mi piace alle riflessioni più varie, attingendo alla psicoanalisi, alla sociologia, alle teorie della comunicazione e del marketing e alla consueta dietrologia: chi c’è dietro quello spot? O, per dirla con Gaber, è di destra o di sinistra?

Una riflessione iniziale e un’altra citazione: qualsiasi messaggio, come dice Montaigne, è per metà di chi lo invia e per metà di chi lo riceve. C’è chi vede tenerezza nel gesto della bambina, chi vede la sua tristezza mentre dall’auto guarda l’inevitabile “famiglia felice” – mamma papà bambina –, chi vede superficialità nella mamma che parla di scuola e non reagisce al silenzio della bimba, chi addirittura interpreta lo sguardo della mamma alla finestra come il segno di un possibile lieto fine, tipo e vissero di nuovo uniti e contenti (un possibile sequel?).

Anche le mie riflessioni sono legate alle mie reazioni, che sono state fin dalla prima volta che ho visto quello spot, ancora non contaminata da commenti e controcommenti, di malessere e di una vaga indignazione. Malessere: faccio la psicoterapeuta della famiglia. Quelle storie le ho viste troppe volte, sia come consulente del Tribunale nelle cause di separazione e divorzio, sia come terapeuta della coppia, sia come psicoterapeuta di adulti che inevitabilmente raccontano esperienze infantili. Quello sguardo l’ho visto, quei tentativi disperati di rimettere insieme genitori che non ce la fanno a restare insieme li ho visti. Ne ho visto i segni, le cicatrici. Non della separazione dei genitori, da quella si guarisce; di quella speranza che si trasforma in un compito impossibile: farli tornare insieme1. Da qui la (vaga) indignazione: ho pensato ai bambini che ho visto in consulenza, a tutti i bambini che stanno vivendo quell’esperienza. Ma anche ai genitori, incapaci spesso di tenere insieme il risentimento nei confronti dell’altro che si sta lasciando e il desiderio di non far soffrire i loro bambini. Come risuonerà per loro quello spot? Non lo sappiamo, ma certamente attiverà emozioni che nulla hanno a che fare con la scelta di comperare pèsche all’Esselunga. Era necessario?

Ci sono altri due elementi nel malessere che quello spot mi provoca: il segreto. Il non detto. Quella pèsca, nascosta e poi donata accompagnata da una bugia, te la manda la mamma.

E poi il triangolo relazionale: quella bimba che pensa all’incontro con il papà non come a un momento affettuoso fra lei e lui, in cui parlare di sé, e magari anche della sua tristezza, ma come un momento in cui lei può (deve?) fare qualcosa per ricucire la relazione fra mamma e papà.

Sono i due elementi di cui è fatta la sofferenza dei bambini nelle fasi di separazione dei genitori: le cose non dette e non dicibili, e la confusione fra il loro bisogno di essere certi dell’amore di ciascuno dei genitori e il timore che questo non sarà possibile se i genitori non si amano più.

La mia convinzione è che l’unico messaggio corretto nel momento della separazione è: lasciate i bambini fuori dalla relazione della coppia. Aiutateli a starne fuori. Con chiarezza: “Quello che sta succedendo fra me e papà non dipende da te. Ma io e lui saremo sempre d’accordo su una cosa: ti vogliamo bene e faremo sempre di tutto per te”. E se posso immaginare la domanda di Emma a questa frase: “Anche ritornare insieme?” mi piace immaginare la risposta più rassicurante e più sincera che un genitore può dare: “No tesoro, quella non è una cosa che una bambina può fare”. E poi l’abbraccio della mamma alla sua piccola forse in lacrime.

Dalle sofferenze i bambini guariscono se gli adulti sono capaci di renderle dicibili, di non ignorarle, di non alimentare segreti, di non costringerli alle bugie. Dal coinvolgimento in storie più grandi di loro spesso no2.

Ma forse il messaggio dello spot non era questo? Forse era: non separatevi, le famiglie devono restare unite a ogni costo? Non lo sapremo mai. Ma se fosse quello, allora la mia indignazione non sarebbe più solo vaga. Ho visto più sofferenza nei bambini costretti a vivere con una coppia che non si separa “per il loro bene” e a vedere tutto il male che due adulti che dovrebbero amarsi riescono a farsi a vicenda (anche se fanno la spesa a Esselunga) che nei bambini aiutati a costruire un legame sano e solido sia con la mamma sia con il papà separati.

Bibliografia

1. Quadrino S. Diventare grandi insieme. Roma: UPPA edizioni, 2019.

2. Oliverio Ferraris A. Dai figli non si divorzia. Separarsi e rimanere buoni genitori. Milano: BUR 2015.