Ritratto di Marco Bobbio:
una certa dose di umiltà




Lavoro e formazione professionale

Quali ragioni l’hanno motivata a diventare medico? se dovesse immaginarsi di nuovo ragazzo oggi: farebbe la stessa scelta?

Mi iscriverei senza dubbio a Medicina e rifarei il cardiologo (forse perché è l’unica cosa che so fare). Penso che la medicina sia una professione affascinante per le opportunità che offre di conoscere le vite di tante persone, per l’intrinseca valenza etica, per gli stimoli a ragionare sulle strategie diagnostiche e terapeutiche, per le opportunità di ricerca e di lavorare a stretto contatto con altri professionisti.

L’ambiente familiare, i suoi studi pre-universitari hanno contribuito alla sua scelta?

Anche se entrambi i miei nonni erano medici, la mia scelta è stata del tutto indipendente dalla storia familiare.

La medicina, la sanità sono molto cambiate: a suo parere, il concetto di cura si è ugualmente trasformato?

Non solo trasformato: irriconoscibile. Per centinaia di anni si è cercato di curare le malattie; negli ultimi decenni si è cominciato a “curare” i fattori di rischio ovvero le probabilità di ammalarsi e si è persa la dimensione del paziente come singola persona, per applicare protocolli standard a tutti.

Nella sua formazione, che ruolo hanno avuto – se lo hanno avuto – dei “maestri”?

Da studente ho scelto di frequentare il reparto di Medicina Interna dell’Università di Torino con due assistenti che rimettevano in discussione il ruolo del medico: Guglielmo Pandolfo e Giorgio Bert. Con loro ho cominciato a interessarmi della medicina invece che delle medicine, a riflettere sulla logica diagnostica, sulle ricadute psicologiche delle diagnosi e sul significato sociale della malattia.

Lei è stato tra chi, in Italia, ha contribuito a introdurre il metodo della medicina delle prove: anche considerando il dibattito degli ultimi anni, le basi della Ebm sono ancora attuali?

La medicina basata sulle prove di efficacia (Ebm) è un pilastro della formazione medica e indubbiamente è responsabile di ottimi risultati osservati a livello sia di singoli pazienti sia di popolazione. Le basi dell’Ebm sono attualissime, se si tiene conto che i pilastri dell’Ebm indicati da David Sackett nel libro-manifesto del 1988 (“Evidence-based medicine. How to practice and teach EBM”, Churchill Livingstone) «EBM is the integration of best research evidence with clinical expertise and patients’ values». Sono tre: prove scientifiche, esperienza del clinico e aspettative del paziente. Nel corso del tempo, però, le prove scientifiche hanno assunto un peso sproporzionato rispetto agli altri due fattori, riducendo l’Ebm all’utilizzo (spesso in modo del tutto acritico – Sackett insisteva invece sulla critical appraisal) delle prove di efficacia, al di fuori del contesto clinico e delle preferenze di pazienti. Slow Medicine, che si batte per una medicina sobria, rispettosa e giusta, ha invece saputo riprendere e sviluppare quei concetti, dando sostanza ai principi fondativi dell’Ebm.

Anche grazie al lavoro del movimento di Slow medicine, la considerazione di cui gode la medicina narrativa anche nel nostro paese si è consolidata: Ebm e approccio narrativo sono modelli contrapposti o potenzialmente complementari nella cura e nella assistenza?

Come già sosteneva Sackett 35 anni fa, Ebm e approccio narrativo sono necessariamente complementari. Una buona cura non può prescindere da entrambi. Oggi ci si concentra sulla malattia piuttosto che sull’individuo e si raggruppano i pazienti in categorie, assumendo che, se un trattamento è mediamente efficace, deve funzionare per tutti, proponendo soluzioni per “pazienti come questo” anziché per “questo specifico paziente”.

L’ultimo mantra (ma arriverà sicuramente altro…) è quello della real world evidence: possiamo fidarci dei cosiddetti “dati del mondo reale”? Sono realmente più affidabili rispetto ai dati derivanti da studi controllati randomizzati di ampie dimensioni?

I dati di tutti i tipi di ricerche (dai case report, agli studi osservazionali, alle ricerche caso-controllo, alle ricerche randomizzate e controllate, alle meta-analisi e agli studi basati sul “mondo reale”) contribuiscono in modo complementare, con i propri pregi e i propri limiti, a costruire il quadro, sempre in evoluzione, delle conoscenze.

Sfide e scommesse

Da ministro della salute, a quale punto critico del servizio sanitario cercherebbe di trovare soluzione? Avrebbe già in mente una – o più – soluzione/i per i punti deboli del nostro sistema?

Innanzi tutto non accetterei di fare il ministro della Salute: troppi interessi contrapposti da affrontare. Dedicherei comunque tutte le mie energie a potenziare il Sistema sanitario nazionale, rinvigorendo la medicina di base, aumentando gli stipendi di tutto il personale, differenziandoli in base alle mansioni, abolendo parallelamente l’attività intramoenia, revocherei i finanziamenti pubblici alle mutue integrative che invece di essere sussidiarie al Ssn creano inutili sprechi, governerei l’acquisto e l’uso della tecnologia e dei farmaci costosi sulla base del valore clinico aggiunto, imporrei una collaborazione tra ospedali e con la medicina territoriale. Se caso mai accettassi, dopo pochi mesi sarei la prima vittima di un rimpasto di governo.

Sempre a proposito del Ssn, pensa che realmente siano in pericolo i principi fondanti del Sistema?

Il principio dell’universalità delle cure è già saltato, non garantendo accertamenti e interventi in tempi ragionevoli e quindi costringendo sempre più persone a ricorrere al privato.

Un aspetto importante del vivere da medico riguarda la comunicazione e spesso si trascura quella con i colleghi o con le altre o gli altri professionisti sanitari: a cosa è necessario fare attenzione a questo riguardo?

All’ego bias (ovvero alla sopravalutazione delle proprie competenze e capacità) e all’incapacità di saper accettare i propri limiti. Per lavorare in gruppo bisogna avere una certa dose di umiltà. Tra i miei colleghi ne vedo poca.

Lettura, scrittura, aggiornamento

Cosa suggerirebbe a un giovane collega per riuscire a trovare il tempo per scrivere? Come lettore, tra le riviste più conosciute di medicina generale, qual è che ha seguito con maggiore interesse?

Sono stato abbonato per 40 anni al New England Journal of Medicine e tutte le settimane ho letto gli indici di The Lancet e del BMJ.

Usa lo smartphone per leggere contenuti scientifici? È abbonato a servizi di e-alert di riviste scientifiche? Usa Twitter, Instagram o Facebook per ricevere segnalazioni di nuovi contenuti scientifici?

Ricevo e-alert di 5 riviste di medicina e 3 di cardiologia. Lo smartphone è molto utile per leggere titoli e riassunti, sfruttando piccoli spazi di tempo libero. Poi con clama mi scarico, leggo e archivio gli articoli che ogni settimana individuo come importanti.

A proposito di letture: ha un libro – o più libri – sul comodino? (o sul tavolo o in giro per casa…) Ovviamente… quale?

Faccio parte di un gruppo di lettura autogestito presso la biblioteca comunale di Pino Torinese, dove vivo: il prossimo libro in discussione è “Il concerto dei pesci” di Halldór Laxness, lo scrittore islandese premio Noble per la letteratura del 1955.

Quali libri secondo lei un giovane medico dovrebbe aver letto?

“Nemesi medica” di Ivan Illich, il libro-manifesto di Sackett sui fondamenti dell’Ebm, “Un altro giro di giostra” di Tiziano Terzani, “Medico, paziente e malattia” di Michael Balint, “Contro il mercato della salute” di Iona Heath.

Molti pensano che i film – o alcuni film – possano essere utili alla formazione e alla crescita professionale di un medico: qual è il suo parere?

Alcuni film sono molto istruttivi per riflettere sui principi, sulle pratiche e sulle conseguenze indotte dalla medicina e possono diventare un’ottima occasione di confronto e di dibattito. Recentemente The father di Florian Zeller, con l’interpretazione straordinaria di Anthony Hopkins, è un ottimo esempio che sollecita una riflessione sulla percezione disarmante che ha una persona anziana quando perde progressivamente la memoria.

Nell’aggiornamento di un medico, che ruolo possono avere i congressi? Quali congressi o eventi – a suo parere – sarebbero da privilegiare?

I congressi hanno un ruolo fondamentale per l’aggiornamento dei professionisti, purché si partecipi solo a un paio di congressi ogni anno, organizzati senza alcun finanziamento (diretto e indiretto) da parte dell’industria dei farmaci e dei dispositivi.

Quale città italiana ama di più? E – nel mondo – una città che più la affascina?

Venezia è un capolavoro unico: i quadri di Canaletto dipinti 300 anni fa sono identici alle foto che hai fatto nell’ultimo viaggio. Adoro passeggiare per il Pelourinho, il centro barocco di Salvador di Bahia (Brasile) mirabilmente raccontato da Jorge Amado e per le stradine coloniali di Cartagena de Indias (Colombia). Torno sempre a Parigi con gioia.