“Di verità solo l’ombra”

di Stefano Cagliano




Nel raccontare l’accaduto agli anziani ricoverati – nella storia intitolata Mancanza di rispetto contenuta nel libro “Di verità solo l’ombra” – Vittorio Fontana ci dice del signore «arrivato a novant’anni quasi senza rendersene conto e senza meriti particolari». Senza che il tempo fosse passato, senza che accadesse nulla, «come se aumentasse giorno per giorno la possibilità di morire, almeno statisticamente». Per lui il passato era come presente e per questo a lui bastava «questa vita che ho vissuto». Così arrivò quella mattina in cui non si sentiva affatto bene, con un dolore mai provato al petto, «una morsa, non una sensazione, “ci siamo” pensò». Poi svenne. Ma quando riprese conoscenza il mondo era arancione, il dolore stava ancora lì. Sì, lui si era ripreso perché «la sua badante ucraina lo aveva massaggiato sino all’arrivo dell’équipe di emergenza». Si era comportata bene: «“Fulvio, le ho salvato la vita” disse la signora. “Ma vaffanculo” non esattamente un ringraziamento. Era la prima volta che le mancava di rispetto». Si può leggere in mille modi un brano del genere. E – se ci sono libri confezionati per essere letti anche in fretta senza lasciare nulla – ce ne sono altri che reclamano lentezza nella lettura perché lasciano tanto. «Niente è peggio di quello che possiamo immaginare» ha scritto il premio Nobel della letteratura J. M. Coetzee1.

Vittorio Fontana sembra abbia avuto un inizio professionale incerto. Partito come correttore di bozze al liceo, con conversione successiva da giornalista praticante in giornali del Nord, è poi approdato prima agli studi di medicina, poi alla laurea, infine alla specializzazione in Geriatria a Parma. «Lasciai solo quando gli studi di Medicina mi costrinsero a smettere» racconta. E tuttavia, prosegue, «da quell’esperienza ho imparato soprattutto l’uso degli spazi, dover scrivere un numero di righe predefinito per l’argomento assegnato». E nota che «poi, per anni, il massimo della scrittura sono stati i verbali del pronto soccorso…». La professione è iniziata in ospedale, naturalmente, «al confine con Milano: case, traffico, orizzonti da tangenziale anche se a ridosso di un parco urbano. Tanta immigrazione dal Sud Italia fin dagli anni Cinquanta, poi dal Sul del mondo, una buona capacità di integrazione tutto sommato, ma non un luogo semplice». Poi, pian piano, lo svilimento professionale, lo smantellamento del Servizio sanitario nazionale con la deriva privatistica, «specie in Lombardia», aggiunge. E poi il Covid «che ha polarizzato le nostre vite» nota nell’Introduzione. Negli anni iniziali, lavorare in Pronto soccorso è stato faticoso ma arricchente perché – scrive – «è un luogo pieno di storie». Così tante e diverse che basta un attimo per mischiarne i ricordi l’una con l’altra o farle scivolare via l’una sull’altra.

Non ho scritto a caso qualche parola in più sulle fasi iniziali dell’attività lavorativa di Fontana. Credo rappresentino un’ottima cartina di tornasole per capire sia la qualità esperienziale dell’autore, sia l’attenzione al vissuto e alla sofferenza degli altri e non solo. Quelle del libro sono pagine eterogenee per struttura (nel senso che alcuni racconti sono brevi, altri brevissimi), omogenee nella scrittura, sempre semplice, ma non sempre nel significato simbolico e per questo non sempre di facile lettura. Scrive Fontana stesso nell’Introduzione che delle storie «alcune sono quasi fumetti, caricature di storie vere o verosimili. Altre sono storie vere, reali, senza finzione letteraria». Il contenuto del volume è diviso in tre parti, Per continuare a vivere e morire in pace, Quello che sappiamo fare, Io alla guerra mica ci volevo andare. Del primo gruppo, la prima storia mi ha convinto di più, colpendo il “cuore cerebrale” di un lettore anziano come sono io. Però, dopo il racconto di apertura che, un po’ come le statue di Alberto Giacometti, può colpire per la sua nudità piena e significativa, sono stato preda della seduzione tutta diversa del racconto Hotel, un diabolico incastro, sorprendente per come Fontana sia riuscito a tenere insieme ritmo e tono. Così come nella terza parte – Io alla guerra mica ci volevo andare – a catturarmi come lettore, cioè a convincermi in modo psico-razionale, è stata la drammatica semplicità delle parole usate in Mi prende così. Forse perché il Covid è stato un periodo di “guerra al virus”, il racconto è una “mitragliata”, con una sequenza di tragedie personali. E di lacrime. E alla fine, scrive Fontana, «quando arriva l’alba vedo i titoli di coda, come al solito sto seduto fino alla fine, fino a che lo schermo non è tutto nero».

«Cosa sono questi racconti? – scrive sempre l’Autore nell’Introduzione – Li ho scritti senza mai chiedermi cosa fossero realmente, rispondendo a una specie di bisogno fisico». E precisa: «Ho sempre scritto racconti brevi, brevissimi, per mancanza di tempo, per incapacità a scrivere di più e meglio». E aggiunge: «Non sono medicina narrativa in senso stretto» e, semmai lo fossero, sarebbero «nella forma del misery report». «Oggi i bravi terapeuti ascoltano e parlano con coloro ai quali rivolgono le loro cure» scrive Sandro Spinsanti, promotore della medicina narrativa nel nostro Paese e autore della Prefazione del volume. Durante la visita tra paziente e medico scaturiscono informazioni, correzioni, forse anche parole utili per descrivere i rischi che si corrono, cosa non semplice secondo gli autori di un articolo recente sul come trasmettere il rischio di malattia e gli effetti del trattamento2. «A livello di paziente, è importante comprendere le percezioni e le preferenze personali per i benefici e i danni degli interventi per ridurre un determinato rischio di malattia» scrivono Bretthauer e Kalager. Altre pagine utili a ragionare, a far lavorare quegli innumerevoli, microscopici, biancastri “neuroni di fantasia” che dividono il loro tempo a pensare o a fantasticare. Ora chiudete questa pagina e procuratevi “Di verità solo l’ombra”.

Bibliografia

1. Coetzee JM. Aspettando i barbari. Torino: Einaudi, 2016.

2. Bretthauer M, Kalager M. What is my risk, doctor? How to convey disease risk and treatment effects. BMJ 2023; 381: e075289.