In questo numero

Al congresso dell’Associazione italiana di epidemiologia (Aie) che si è svolto ad aprile a Riccione hanno partecipato quasi 600 ricercatrici e ricercatori (qualche fotografia è nelle pagine Dalla letteratura). Il 60% era donna e moltissimi iscritti al convegno erano giovani sotto i 40 anni. Le buone notizie non finiscono qui: quasi tutti gli studi presentati hanno una ricaduta diretta, visibile e concreta anche nella pratica clinica. Da eventi di questo tipo si esce rinfrancati dalla consapevolezza di essere testimoni di una comunità di ricercatori che lavora nella sanità in modo pragmatico, avendo bene in mente i bisogni di salute dei cittadini e le necessità assistenziali dei e delle pazienti. La partecipazione a un convegno come quello dell’Aie obbliga costantemente all’esercizio di interrogarsi su come i metodi e i risultati delle ricerche presentate possano avere un impatto anche sul proprio lavoro di cura o di programmazione socio-sanitaria.

Ugualmente concreto è il modo col quale Raffaele Rasoini ha scelto di recensire un nuovo Vademecum di medicina interna. Molto semplicemente lo ha messo in borsa e lo ha portato al lavoro, per capire se e in quale misura quelle pagine avrebbero potuto tornare utili durante una giornata di lavoro di un medico. Per sapere il risultato dell’esperimento è sufficiente andare a pag. 251.

Altrettanto concreto è il modo col quale il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) ha cercato di capire cosa ne pensano i malati oncologici delle cure di prossimità previste dal DM77, dello sviluppo delle cure territoriali e della parallela incentivazione di una deospedalizzazione di parte delle cure. Chi si aspettava un prevalente gradimento dell’assistenza sanitaria erogata a casa resterà deluso. I pazienti oncologici non sembrano tranquilli nel pensarsi distanti dal proprio medico oncologo di riferimento e dallo staff ospedaliero. Solo un malato su cinque preferisce essere curato a casa e soltanto il 5% dei pazienti affiderebbe il follow-up della terapia al medico di medicina generale. Altri e più dettagliati risultati li leggiamo nell’articolo a pag. 232. L’interpretazione di questi dati è complicata. Possiamo leggerli come un elogio all’efficienza delle strutture oncologiche ospedaliere e alla competenza degli specialisti oncologi e dello staff infermieristico. Allo stesso tempo, possono essere visti come una manifestazione di sfiducia nei riguardi delle cure primarie. Oppure, come la conseguenza delle difficoltà in cui si trovano i pazienti oncologici nelle proprie abitazioni: per i vissuti di solitudine e di abbandono o, al contrario, per la convivenza con dei familiari sui quali non si vuole che gravi il peso della propria malattia.

Gli autori dello studio promosso dal Cipomo concludono con la stessa immediatezza che ha informato l’insieme del progetto: quando si prendono decisioni di politica sanitaria i pazienti devono essere ascoltati.