Dalla letteratura

Screening mirato per il cancro della prostata

L’introduzione dello screening per il cancro alla prostata basato sul PSA all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso è stata seguita da un declino della mortalità per cancro alla prostata durato quasi due decenni, scrivono gli autori di un importante editoriale pubblicato sul JAMA a inizio aprile 20241. Come sappiamo, però, il ricorso al PSA per la diagnosi del cancro alla prostata (e più in generale allo screening) è stato accertato sia associato a un insieme di effetti avversi: un uomo su cinque sottoposto a screening è successivamente sottoposto a biopsia con oltre il 75% di risultati negativi e la maggior parte delle biopsie positive erano in realtà dovute a tumori clinicamente insignificanti. Oltre a essere molto fastidiose e sgradite ai pazienti, le biopsie prostatiche comportano il rischio di emorragie e infezioni che richiedono il ricovero in ospedale, osservano gli autori. Più in generale, «la sovradiagnosi (cioè la rilevazione di tumori indolenti che non sarebbero stati rilevati durante la vita in assenza di screening) e il sovratrattamento hanno comportato una significativa riduzione della qualità della vita». Nel 2012, la US Preventive Services Task Force (USPSTF) aveva fornito una raccomandazione di grado D contro l’uso dello screening del PSA, concludendo che i benefici dello screening basato sul PSA per il cancro alla prostata non superavano i danni.

«Da allora – prosegue l’editoriale – i risultati a lungo termine di studi di alta qualità hanno fornito migliori informazioni sui benefici dello screening, […] e per gli uomini con tumori a basso rischio l’adozione della sorveglianza attiva – una strategia di gestione incentrata sul monitoraggio piuttosto che sul trattamento immediato – ha ridotto il sovratrattamento e gli effetti avversi ad esso associati». Così, nel 2018 l’USPSTF ha offerto una raccomandazione aggiornata di grado C per lo screening del PSA, raccomandando un processo decisionale individualizzato negli uomini di età compresa tra 55 e 69 anni.

L’editoriale commenta infine uno studio pubblicato in contemporanea sulla stessa rivista, lo studio ProScreen, che con un approccio più moderno e pragmatico allo screening e un uso appropriato dei biomarcatori e della diagnostica per immagini sembra dimostrare come sia possibile ottimizzare la selezione dei pazienti per la biopsia2. «Tra gli uomini sottoposti a screening, il 3% ha proceduto alla biopsia e l’1,7% è risultato avere un tumore di alto grado, il che riflette una maggiore appropriatezza dell’indicazione alla biopsia». Lo studio ha inoltre ridotto drasticamente la sovradiagnosi di malattia di basso grado (0,4% vs 3,2%) grazie a una selezione più accurata dei pazienti da sottoporre a biopsia utilizzando i biomarcatori e la risonanza magnetica, che riflette gli evidenti vantaggi clinici offerti dagli attuali strumenti diagnostici rispetto a un approccio basato solo sul PSA.

Tutto risolto? Probabilmente no, anche perché la risposta del BMJ non si è fatta attendere. «La solita storia? Temo di sì. L’uso del test del PSA per lo screening di uomini sani non supera i potenziali danni», ha dichiarato Richard Martin, autore principale e scienziato del Cancer Research UK presso l’Università di Bristol. «Dobbiamo trovare modi migliori per individuare i tumori della prostata aggressivi, in modo da poterli trattare precocemente»3.




Bibliografia

1. Tosoian JJ, Penson DF, Chinnaiyan AM. A pragmatic approach to prostate cancer screening. JAMA 2024 Apr 6.

2. Auvinen A, Tammela TLJ, Mirtti T, et al.; ProScreen Trial Investigators. Prostate cancer screening with PSA, kallikrein panel, and MRI: the ProScreen randomized trial. JAMA 2024 Apr 6.

3. Kmietowicz Z. Sixty seconds on… PSA testing. BMJ 2024; 385: q808.

La real world evidence non premia molti nuovi farmaci oncologici

In uno studio che ha valutato i risultati dei farmaci antitumorali approvati con procedura accelerata dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense sono emersi risultati preoccupanti, che sollevano interrogativi sull’efficacia e sui processi normativi che riguardano questo tipo di trattamenti1.

Lo studio ha analizzato in particolare le indicazioni dei farmaci antitumorali che hanno ottenuto l’approvazione accelerata tra il 2013 e il 2023, concentrandosi sui loro benefici clinici e sulle decisioni della FDA di convertirli poi in approvazione “regolare”. I risultati hanno innanzitutto evidenziato come i benefici clinici siano limitati: nonostante un follow-up di oltre 5 anni, una parte significativa dei farmaci antitumorali a cui è stata concessa l’approvazione accelerata non ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza globale o di qualità della vita dei pazienti. Inoltre, dall’esame delle decisioni della FDA di convertire i farmaci dall’approvazione accelerata a quella ordinaria, emerge che, mentre alcuni farmaci hanno mostrato miglioramenti nei risultati chiave, altri non hanno dimostrato benefici clinici significativi.

Molto frequente l’uso di endpoint surrogati: sono state sollevate perplessità sull’uso sempre più frequente di misure surrogate, come il tasso di risposta, per sostenere la conversione all’approvazione ordinaria, nonostante i dubbi sulla loro capacità di prevedere accuratamente i benefici clinici.

I risultati dello studio hanno diverse implicazioni per i pazienti, gli operatori sanitari e le agenzie regolatorie. I pazienti devono essere informati chiaramente sui limiti dei farmaci antitumorali che hanno ottenuto l’approvazione accelerata e sull’incertezza che circonda il loro beneficio clinico. È inoltre necessario un maggiore controllo e una maggiore supervisione del processo regolatorio, in particolare riguardo l’uso di endpoint surrogati e la conversione dei farmaci all’approvazione ordinaria.

Dalla lettura di questo studio, emerge chiaramente come gli operatori sanitari debbano considerare attentamente le prove a sostegno dell’uso di farmaci ad approvazione accelerata e dare priorità ai trattamenti con benefici clinici dimostrati.

Lo studio di fatto evidenzia le complessità e le sfide associate al percorso di approvazione accelerata dei farmaci oncologici. Per il futuro sembrano indispensabili una comunicazione trasparente, una valutazione rigorosa degli esiti clinici e un miglioramento continuo dei processi normativi per garantire che i pazienti ricevano trattamenti sicuri ed efficaci.




Bibliografia

1. Liu ITT, Kesselheim AS, Cliff ERS. Clinical benefit and regulatory outcomes of cancer drugs receiving accelerated approval. JAMA 2024: e242396.

Alessio Malta

In collaborazione con la Biblioteca Alessandro Liberati

http://bal.lazio.it/

Un numero del BMJ fatto dai pazienti

Nel giugno 2003, il BMJ pubblicò per la prima volta un intero fascicolo dedicato ai pazienti1, che trattava molti argomenti ancora attuali, esplorando le sfide della partnership con i pazienti nell’assistenza sanitaria, la necessità di considerare i pazienti come esperti a pieno titolo e l’accesso dei pazienti alle proprie informazioni sulla salute, comprese le lettere tra professionisti della salute. In copertina si segnalava l’intervista a Christopher Reeve, interprete principale di una serie di film di Superman negli anni ’70 e ’80, e che in seguito era rimasto paralizzato a causa di una caduta da cavallo. Poco più di 10 anni dopo, nel 2014, il BMJ lanciava una strategia di partnership con i pazienti che si impegnava a collaborare con i pazienti e il pubblico in tutti gli elementi del lavoro della rivista2. «L’obiettivo della strategia» – spiega la rivista della British medical association – «era guidare e sostenere gli sforzi per migliorare l’assistenza sanitaria attraverso la realizzazione del potenziale della collaborazione con i pazienti e il pubblico (famiglie, gruppi della comunità, gruppi di difesa e organizzazioni)».

Il BMJ ha tre editor-pazienti che lavorano in collaborazione con altri redattori. Tra i risultati più significativi ottenuti la rivista cita i venti anni di pubblicazione di contenuti scritti dai pazienti, a partire dalla serie “patient journeys” del 2004, e il costante aumento del numero di articoli pubblicati con un coautore paziente. I pazienti e il pubblico sono anche coinvolti nella peer review e lavorano con il nostro panel di pazienti per identificare gli argomenti e le questioni che li interessano maggiormente. «Una delle sfide più grandi che affrontiamo attualmente, tuttavia, è cercare di aumentare la diversità dei pazienti e delle persone con esperienze vissute che vengono coinvolte nelle attività di partnership con i pazienti in tutta la rivista».




Per celebrare tutti questi anni di impegno, il 13 luglio 2024 sarà pubblicato un numero speciale del BMJ curato dai pazienti. «Prevediamo che la maggior parte dei contenuti sarà scritta dai pazienti o guidata dai loro punti di vista, compresi articoli di formazione, editoriali, opinioni e saggi. Indicheremo chiaramente in che modo i pazienti sono stati coinvolti in ogni articolo, per contribuire a mostrare i vari modi in cui creiamo una partnership con i pazienti all’interno dei nostri contenuti».




Bibliografia

1. Patient themed issue. BMJ 2003; 326(7402).

2. Richards T, Godlee F. The BMJ’s own patient journey. BMJ 2014; 348: g3726.

Intelligenza artificiale generativa e salute:
un aggiornamento

Sebbene l’intelligenza artificiale (IA) sia molto promettente per gli effetti positivi sulla società, ha anche il potenziale per le conseguenze dannose che possono verificarsi involontariamente o a causa di un uso improprio. L’articolo pubblicato sul BMJ a firma di tre docenti del College of Medicine and public health della Flinders university di Adelaide non offre spunti particolarmente nuovi ma ha il pregio di offrire un quadro equilibrato dello stato attuale della ricerca e dell’utilizzo dell’IA nel mondo reale. «Applicazioni come ChatGPT, Gemini, Midjourney e Sora dimostrano la capacità dell’IA generativa di creare contenuti testuali, audio, video e immagini di alta qualità» confermano gli autori, ma «il rapido progresso delle tecnologie di IA richiede un’intensificazione altrettanto rapida degli sforzi per identificare e ridurre i rischi. Nuove discipline, come l’AI Safety e l’IA Etica, mirano a garantire che l’IA attuale e futura operi in modo sicuro ed etico».

L’articolo pubblicato sul BMJ si concentra sull’IA generativa, una tecnologia con un potenziale sostanziale che può realmente essere messo al servizio di una profonda trasformazione del modo in cui le comunità cercano, accedono e comunicano informazioni, anche sulla salute. «Dato che oltre il 70% delle persone si rivolge a internet come prima fonte di informazioni sulla salute, è fondamentale identificare i rischi più frequentemente associati alle tecnologie di IA e introdurre forme di vigilanza efficaci per mitigare i pericoli. In particolare, man mano che l’IA generativa diventa sempre più sofisticata, diventerà più difficile per il pubblico essere consapevoli di quando gli output (testo, audio, video) sono errati». L’articolo analizza e classifica i rischi potenziali ed evidenzia le idee emergenti per ridurre ciascun tipo di rischio. Per semplicità, utilizza i large language model per illustrare i problemi emergenti, ma i concetti e le considerazioni presentate si applicano all’IA generativa in senso più ampio.




«Una sfida fondamentale è rappresentata dal rapido progresso dell’IA. Una conseguenza del frequente rilascio di nuovi modelli di IA, o di aggiornamenti di quelli esistenti, è che le prestazioni e i rischi associati possono cambiare rapidamente». Gli autori prendono a esempio Copilot di Microsoft che ha dimostrato di poter ostacolare produzione e diffusione di informazioni false in una sua release ma solo tre mesi dopo le protezioni precedentemente studiate non erano più efficaci. In altre parole, i controlli e la vigilanza devono essere costanti per poter promettere – se non garantire – l’efficienza del sistema di tutela.

L’articolo suggerisce, per una comprensione più approfondita della sicurezza e dell’etica dell’IA in relazione alla salute, di consultare le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’etica e la governance dell’IA per la salute2 e il rapporto del Servizio di ricerca del Parlamento europeo sulle applicazioni, i rischi, l’etica e l’impatto sociale dell’IA nell’assistenza sanitaria3.




Bibliografia

1. Sorich M J, Menz B D, Hopkins A M. Quality and safety of artificial intelligence generated health information BMJ 2024; 384: q596.

2. Guidance WH. Ethics and governance of artificial intelligence for health. World Health Organization, 2021.

3. Artificial intelligence in healthcare: applications, risks, and ethical and societal impacts. European Parliamentary Research Service, 2022.

Parlare della guerra senza censura

«Un principio fondamentale della medicina è quello di non nuocere. Questo principio vale per la pratica medica e la sanità pubblica e dovrebbe essere applicato anche alle riviste mediche». L’incipit di un articolo di Philip Greenland, Oren Lakser e Lisa Lipschutz uscito sul JAMA il 28 marzo 2024 è quasi aggressivo1. Anche perché punta il dito anche verso la rivista che lo ospita, l’organo ufficiale dell’American medical association. «Dal 7 ottobre 2023, sono stati pubblicati numerosi rapporti in riviste mediche e di salute pubblica, oltre a un diluvio di notizie nei media generali e nei social media, sulla guerra tra Israele e Hamas a Gaza. Abbiamo contribuito rispondendo a un editoriale che avevamo giudicato unilaterale, impreciso e accusatorio. Il nostro obiettivo era cercare di riequilibrare l’informazione su un conflitto complicato e di lunga data. Abbiamo ritenuto che l’editoriale a cui abbiamo risposto fosse dannoso per Israele e per i lettori che cercavano di farsi un’idea su una situazione complessa. La nostra risposta testimoniava l’impegno ad affrontare la disinformazione e i danni conseguenti, senza dare la colpa a Israele o al popolo palestinese».

L’obiettivo dei tre autori – due della Northwestern university di Chicago e uno della South Carolina – era criticare i commenti giudicati “unilaterali” sul conflitto tra Israele e Palestina, tutta quella letteratura che si è spinta – e sta ancora spingendosi – fino a dare un giudizio sui comportamenti e le decisioni delle diverse parti in causa: «È appropriato che gli autori di articoli medicina o di sanità pubblica affrontino questi argomenti politici, senza lasciare che siano discussi dai professionisti della sanità in altri spazi di dibattito?».

Gli autori sono convinti che le riviste di medicina e di politica sanitaria debbano limitarsi a pubblicare articoli incentrati esclusivamente sulla salute senza aggiungere commenti di natura politica. «I resoconti delle conseguenze della guerra in ambito medico possono essere preziosi, in quanto richiamano l’attenzione sui bisogni di assistenza e di salute pubblica avvertiti da tutte le parti in causa, ma attribuire colpe o addentrarsi nelle dinamiche politiche che stanno dietro la guerra non rientra nelle competenze dei professionisti della sanità. Tali valutazioni sono spesso complesse e implicano la considerazione della strategia militare, degli obiettivi e dei risultati, nonché considerazioni geopolitiche che possono essere trattate in modo molto più dettagliato, e da persone più autorevoli e competenti, nei media generali». Accettando di discutere di questi argomenti, le riviste scientifiche perderebbero di credibilità e anche per questa ragione i medici dovrebbero limitarsi a fare il proprio lavoro: «curare con umanità tutti gli individui e prevenire i danni della guerra».




La replica dei direttori del JAMA non si è fatta attendere: «Una politica editoriale nel publishing scientifico che impedisca agli autori di assumere anche un punto di vista politico è inopportuna»2. Distinguere gli argomenti con implicazioni politiche dagli altri contenuti quando si parla di questioni sanitarie in tempo di guerra può essere rischioso e andare nella scivolosa direzione della censura. «Pur apprezzando il punto di vista di Greenland e degli altri autori, non intendiamo implementare al JAMA le modalità di “moderazione dei contenuti” da loro proposta. Pubblicheremo articoli che trattano le conseguenze della guerra sulla salute quando daranno un valido contributo a questioni e discussioni importanti per la comunità sanitaria. Ci aspettiamo che tali articoli, pur riflettendo il punto di vista degli autori, cerchino di essere equilibrati nelle loro opinioni e continueremo a esercitare le nostre capacità di valutazione editoriale nel decidere quali articoli pubblicare».




Bibliografia

1. Greenland P, Lakser O, Lipschutz L. Reporting health consequences of war in medical journals: first, do no harm. JAMA 2024 March 28.

2. Curfman G, Bibbins-Domingo K. Reporting on Health and War in Medical Journals. JAMA 2024 March 28.