Una raccomandata al Padreterno


Come il giocatore che in una sala piena di occhi invidiosi e di orecchi increduli, incredulo lui stesso, grida «Bingo!» con voce strozzata, così il professore illustrissimo si fa uscire le parole magiche: «Sclerosi laterale primaria». Che sarebbe una di quelle tali malattie che ti fanno da elisir di lunga, tormentosissima vita. Quel «primaria», poi, non me l’ha saputo spiegare bene nessuno; incuranti delle sfumature della lingua italiana, i medici sdegnano di informarti se l’aggettivo è usato qui nel senso di “iniziale” o in quello di “superiore”. Lasciamo perdere le finezze.
Il luminare riguarda poi le carte e quando scopre il risultato negativo per la SLA qualifica il mio precedente dottore (che è stato suo allievo: qui si conoscono tutti) con un sonoro «somaro» e guarda me scuotendo la testa come se mi fossi voluta iscrivere al concorso per Miss Italia. Comincio a capire che questa SLA, che riunisce i più infelici di tutti, appare una specie d’élite nell’ottica rovesciata di una gerarchia delle disgrazie.
Un po’ come il Circolo della Caccia rispetto al Circolo degli Scacchi.
Con l’audacia degli offesi, cerco di sapere il perché e il percome del mio stato. Lui allarga le braccia e, rasserenandosi, mi risponde: «Lei deve mandare una raccomandata con ricevuta di ritorno al Padreterno, che è l’unico a saperlo, girandogli la domanda». (…)

Con l’umiltà dei vinti, chiedo allora cosa devo fare. Regalatomi un largo sorriso incoraggiante, il professore si mette all’opera e con telefonate frenetiche mi combina subito un appuntamento col suo migliore allievo, professore a sua volta e primario in un ospedale pubblico, cui mi affida (e sono finalmente sette!).

(…) Comunque, tutti e due sono baroni, nella realtà o in pectore. A me tocca il baroncino e cercherò di farmelo piacere; il che avviene molto presto, quando, firmando un’e-mail aggiunge: «Con amicizia non solo medica».
Ma dove le imparano queste furbate, in corsi speciali? Dove imparano, mentre ti ripetono che sei perfettamente libero nelle tue scelte, ad avviarti alla fiducia più completa fino a posare volontariamente la testa su quello che non ti appare più un ceppo ma un comodo cuscino?





da: L’ultima estate,
di Cesarina Vighy.
Fazi Editore, Roma 2009.
Pagine 143-145