A colloquio con Nicola Baldi:

la ricerca della conoscenza, coltivando la Medicina dell’incertezza

Quali sono le ragioni che le hanno suggerito di approfondire lo sguardo di Dante su alcuni aspetti della Medicina e, più in generale, sul parallelismo tra la sua aspirazione alla conoscenza e quella del medico?

Per tre ragioni. In primo luogo, il paradigma della ricerca della “prova” per ottenere la “dimostrazione” parte da una concezione filosofica: la verifica di un fatto attraverso una precedente conoscenza, concezione trasmigrata poi nella cultura scientifica che si è arricchita con il supporto dell’experimentum e della quantificazione dei risultati. Dante sapeva che lo strappo del ramo, nel caso si fosse trattato di un dannato, avrebbe determinato un dolore così come è stato.

L’evidence-based medicine, in particolare, ha arricchito la ricerca della prova attraverso la randomizzazione e il supporto della statistica, oltreché con l’affinamento dei test diagnostici (sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e negativo). E quindi nessuna separazione tra cultura umanistica e cultura scientifica ma una continua trasmigrazione di idee dall’una all’altra realizzata in diversi ambiti dello scibile umano.

Parlava di tre motivazioni. Può dirci la seconda?

Il recupero di una formazione umanistica nel percorso formativo del medico quale arricchimento per contrastare l’ipertecnologismo e la visione frammentata della persona decisamente deteriore sia sul piano biologico sia su quello relazionale. Un apprezzabile tentativo viene dalla narrative medicine, il cui fine è appunto quello di aprire più canali di comunicazione con il paziente attraverso la conoscenza della complessità della umana natura che si esprime attraverso la letteratura, l’arte in tutte le sue forme, la musica, la riflessione filosofica con il tema centrale della morte cancellato oggi financo dal vocabolario della comunicazione. Per cui quando si presenta lo fa in modo devastante. In definitiva il recupero di una medicina a misura della complessità dell’uomo e, se possibile, samaritana.

Infine?

Il ruolo della logica che, come è noto, valuta se una proposizione è vera o falsa indipendentemente dal contesto. Il suo ruolo all’interno di una concezione anatomo-clinica e fisiopatologica della Medicina occidentale è fondamentale. Possono cambiare le tecniche diagnostiche e terapeutiche ma, pur nella consapevolezza di coltivare una “medicina dell’incertezza”, il ruolo della logica rimane fondamentale.

Ultima riflessione. Attualmente, la pratica della Medicina tende a far parte delle diverse attività umane che producono ricchezza. E quindi una concezione aziendalistica della Sanità. È utopistico pensare ad alcune pratiche della umana convivenza che non producono ricchezza materiale ma sono dettate da umana solidarietà?