In questo numero

«C’è la Scienza. E poi c’è la scienza, con la minuscola. La prima ci affascina perché rappresenta il limite ultimo della nostra conoscenza e, a volte, come ogni frontiera, mette paura. La seconda è tutto ciò che donne e uomini fanno per allargarla, quella frontiera. La prima è fatta di formule e teorie. La seconda di persone. La prima è tutta giusta, almeno fino a prova contraria. L’altra è piena di tentativi, errori, colpi di fortuna che solo di rado portano a un risultato. La prima è bella, utile e talvolta terribile. La seconda è, soprattutto, umana. E non si racconta quasi mai». Queste parole aprono l’editoriale di Andrea Capocci che introduce non a Recenti Progressi in Medicina ma al primo numero del nuovo inserto speciale dedicato alla Scienza e alla scienza dal quotidiano il manifesto.

Questo fascicolo della rivista che stai sfogliando può proporre un percorso proprio sulla valutazione di Scienza e scienza, a partire dal primo resoconto della relazione di Robert Golub al congresso del progetto Forward (pag. 396). Golub, già editor di JAMA, propone una lettura critica del sistema di peer review, articolata attorno a quattro attori: autori, revisori, editor e lettori/consumatori. Per ciascuno, individua funzioni, distorsioni e strategie correttive. Gli autori devono produrre studi solidi e trasparenti, ma sono spesso responsabili di disegni carenti, reporting inadeguato e pratiche discutibili. I revisori, pur svolgendo un ruolo cruciale, sono esposti a bias cognitivi, conflitti di interesse, scarsa competenza statistica e incoerenza valutativa. Le soluzioni vanno dalla formazione alla standardizzazione, ma Golub esprime forti riserve su formule come la peer review post-publication e quella aperta. Gli editor, raramente a tempo pieno o adeguatamente formati, soffrono di asimmetrie decisionali, overload operativo e dipendenza eccessiva dai revisori. Infine, i lettori – inclusi clinici e media – sono spesso privi di strumenti per una lettura critica e autonoma. L’intero sistema, sottolinea Golub, si regge su una fiducia implicita che contrasta con l’ideale dell’evidence-based medicine. In conclusione, invita a un approccio sistemico e prudente alle riforme, sottolineando come non esista un modello universalmente accettato di “buona peer review” e ribadendo la responsabilità ultima del lettore esperto nel discernere tra rigore e apparenza.

Anche Giovanna Scroccaro, al congresso di Forward, ha discusso di valutazione (pag. 397). L’introduzione di nuovi farmaci nel sistema sanitario richiede una riflessione rigorosa e integrata, in cui l’evidenza scientifica e la sostenibilità economica non devono mai essere considerate separatamente. Questo principio guida dovrebbe orientare il lavoro delle agenzie regolatorie a tutti i livelli – europeo, nazionale e regionale – al fine di garantire un accesso equo alle terapie realmente innovative, evitando distorsioni legate a pressioni commerciali, aspettative eccessive o valutazioni parziali.

Il caso di lecanemab, anticorpo monoclonale anti-beta-amiloide recentemente approvato dall’agenzia europea per i medicinali per il trattamento della malattia di Alzheimer-Perusini, esemplifica le criticità di un sistema che può giungere, legittimamente, a decisioni non sempre condivisibili dal punto di vista clinico e assistenziale. Il beneficio clinico netto di lecanemab – spiegano gli autori dell’editoriale a pag. 407 – è limitato e accompagnato da un rischio non trascurabile di effetti collaterali gravi. La somministrazione endovenosa e la necessità di monitoraggi costanti pongono un onere organizzativo importante per il sistema sanitario. Inoltre, le valutazioni di costo-efficacia disponibili si basano su ipotesi modellistiche fragili e non sempre replicabili nel mondo reale, soprattutto in patologie ad alta complessità come l’Alzheimer.

Il caso di questo farmaco per la malattia di Alzheimer-Perusini mostra il potenziale disallineamento tra approvazione regolatoria, valore terapeutico reale e sostenibilità. Decisioni fondate su dati ancora incerti, su benefici clinici marginali o su modelli economici poco trasparenti possono generare aspettative sproporzionate, distorsioni allocative e rischi di iniquità nell’accesso, soprattutto in contesti regionali disomogenei. L’accesso ai farmaci innovativi deve essere il risultato di un equilibrio dinamico tra innovazione terapeutica, rigore scientifico e sostenibilità pubblica. Il caso lecanemab dimostra che la sola approvazione regolatoria non basta a garantire un reale valore per i pazienti e per il sistema. È necessario un approccio valutativo critico, trasparente e condiviso, capace di distinguere tra promessa e reale impatto, e di orientare scelte coerenti con i principi della medicina basata sull’evidenza e dell’equità di accesso alle cure.

La “responsabilità del lettore” di cui ha parlato Robert Golub, però, dovrebbe avere radici profonde, tali da “pescare” nella formazione precoce della vita di una persona. Però, «a scuola e nelle università si parla molto delle scoperte e troppo poco dei percorsi — a volte tortuosi e casuali — con cui ci si è arrivati» scrive Capocci. Per questo, un’iniziativa come quella portata avanti da anni dal gruppo Informed Health Choices (IHC) è così preziosa (pag. 442). In diverse esperienze in numerosi paesi del mondo, il gruppo ha elaborato alcuni concetti chiave di alfabetizzazione sanitaria critica, li ha riuniti in risorse didattiche e li ha valutati in un ampio studio randomizzato coinvolgente bambini dai 10 ai 12 anni. I bambini a cui erano stati insegnati i concetti chiave sono risultati più capaci di valutare le affermazioni sulla salute e comprendere un processo decisionale informato rispetto ai bambini che non avevano ricevuto questo insegnamento. Molti gruppi di ricerca nel mondo stanno implementando queste risorse nel loro contesto scolastico.

Chissà che una buona peer review – un domani… – non possa trarre vantaggio da un terreno adeguatamente preparato.