Appesi a una parola ascoltata meglio. O a un colpo di culo

Vittorio Fontana1

1Medico geriatra, Pronto soccorso, Ospedale Bassini, Cinisello Balsamo (Milano).

La notte è appena iniziata e c’è un bel trambusto, il passaggio di consegne è stato pesante. Tanti pazienti che vanno conclusi, tanti da rivedere e pazienti assiepati in sala d’attesa. Sono le prime ore e hai quel furore dell’inizio, energia nervosa a palla, l’unica cosa che vuoi è rendere gestibile la situazione, quindi tu e Gabrio – l’infermiere di sala medica – abbassate la testa e ci date dentro come uno di quei gruppi punk-rock degli anni Settanta. Vedi gente, dimetti gente, parli, scrivi, compili, visiti: tutto insieme, cercando di mantenere il massimo dell’attenzione e di non perderti niente.

Ti senti il funambolo che fa roteare le palle senza farle cadere, non proprio un mattatore ma pur sempre al centro della scena. È il solito fine settimana ambulatoriale ma ci sono i codici rossi e gialli, c’è il paziente da ricoverare dopo esserti messo d’accordo con il reparto e con il medico di fascia, ci sono i pazienti in astanteria. Fare del tuo meglio è tutto quello puoi fare e lo fai da così tanti anni che nessuno può dirti niente. Almeno su questo.

Gianni ti chiama sul cellulare e tu rimani stupito, non ti aspetti la telefonata del collega a quell’ora, magari vuole solo prenderti in giro per la solita vittoria dell’Inter e il tuo Milan che invece va sempre peggio. Un minuto di stupidaggini che potrebbe smorzare la tensione. Ma no, non sta bene, ha la febbre da qualche giorno, un po’ di tosse, non vorrebbe che fosse una polmonite ché negli ultimi tempi, specie dopo il covid, se ne vedono tante, quasi quasi viene lì da te per farsi dare un’occhiata. “Certo Gianni, ti aspetto qui.” D’altronde, dove altro potrei andare?

E tu continui: parli in sala con i parenti dell’anziana allettata che rimanderai a casa perché non c’è motivo per un ricovero, anzi potrebbe essere controproducente. Non fai il paraculo, ci credi davvero. Loro meno, vorrebbero che la trattenessi, che la ricoverassi: “sa, alla sua età”. “Ma, signori, abbiamo così pochi posti letto che se dovessi ricoverare tutti gli anziani che si presentano in Pronto soccorso dovremmo fare una ‘Città della salute’, non un piccolo ospedale come il nostro”. Ci metti del tempo anche se non ne hai e sai che forse non servirà a niente e il giorno dopo torneranno con la stessa richiesta fino a quando qualcuno non capitolerà per sfinimento. Comunque adesso, in questo preciso istante, ti interessa solo metterla nell’elenco dei problemi risolti e cancellarla dalla lista che pare assottigliarsi mentre le prime ombre della sera calano su di noi.

Anche su Gianni che è arrivato da non molto. Gli infermieri hanno anticipato un prelievo e una radiografia del torace, come da protocollo. Lui aspetta seduto e aspetterà. Quando sei appena più tranquillo, mentre visiti il prossimo e chiami quello dopo ancora, vai da lui anche solo per salutarlo, ridete e gli fai domande, poi lo visiti come un paziente qualunque. Nulla di che, anche se ha un faccino un po’ provato da qualche giorno di febbre, vedi gli esami e la lastra del torace, pare tutto normale. Gli chiedi cosa lo preoccupasse, lui minimizza come facciamo tutti: sta bene e vorrebbe tornare a casa così magari fa ancora in tempo a mangiare qualcosa. Ma sì, perché no? i parametri sono buoni, non c’è febbre, quasi quasi lo saluti e lo mandi a casa.

Poi, qualcosa detta a mezza voce – “a tratti mi sembrava come se mi mancasse il respiro” – ti lascia perplesso mentre lasci la stanza e vai nell’altra sala visita a concludere una dimissione. Ti frulla in testa, ci ripensi mentre digiti sulla tastiera. Ma a Gianni un Ecg lo abbiamo fatto? Non mi sembra di averlo visto. E questo pensiero ti sembra di ascoltarlo in sottofondo. Del resto, un Ecg in Pronto soccorso sembra cosa da nulla ma occupa parecchio tempo tra la preparazione del paziente, il posizionamento degli elettrodi, la registrazione di un buon tracciato e l’invio al cardiologo per la refertazione. Non sempre serve farlo, fa parte del buon uso del tempo (sempre risicato), delle risorse (sempre poche e stremate) e dell’appropriatezza degli esami strumentali; dovresti sempre chiederti se è utile, se ha senso, cosa ti aspetti di trovare. Mi aspetterei nulla in effetti. E invece sono T invertite nelle deviazioni laterali insieme a uno strano ST stiracchiato verso il basso diffuso.

Oh cazzo (in queste occasioni io dico parolacce, non so voi). Anche Eufemia, la cardiologa che scende in Pronto soccorso, mentre porta Gianni in Utic mi chiede: ma poi perché gli hai fatto l’Ecg? Boh: istinto credo, una botta di culo direi con la mia solita autostima. Dovrei dire che sospettavo fortemente una sindrome coronarica acuta, una miocardite, un’embolia polmonare o almeno una pericardite per fare il figo con gli altri. Non so. Ma in effetti era una miocardite di quelle che magari se va male ti lascia stecchito nel letto la mattina e io ancora tremo al pensiero che potesse andare così. A seguire, per Gianni: Unità coronarica, coronarografia, casco CPAP, Centro Regionale Miocarditi, poi Cardiologia, lunga-degenza, infine completa guarigione.

Non lo racconto per farmi bello, anzi. Ma per le nostre vite appese a un filo, a un colpo di culo, a una parola ascoltata meglio, volevo dire delle porte girevoli, delle sliding doors, del gatto di Schrodinger vivo o morto nell’esperimento mentale della fisica quantistica. Gianni era vivo e morto nello stesso tempo quando è arrivato, poi abbiamo aperto la scatola ed era vivo. L’altra possibilità è svanita nel nulla come non ci fosse mai stata. Ma era lì e anche per me, nella mia scatola, tutto sarebbe cambiato e tutto per uno stronzissimo elettrocardiogramma fatto o non fatto.




La vita è così, con l’Inter sempre in testa al campionato.*