Dalla letteratura

real world data –
trasformare la pratica clinica in conoscenza

Le pagine del numero di novembre della rubrica “Dalla letteratura” di Recenti Progressi in Medicina sono dedicate a un rapido resoconto degli interventi dei relatori che, da punti di vista diversi, hanno approfondito il tema della trasformazione della pratica clinica in conoscenza, in un evento organizzato lo scorso luglio dal progetto Forward insieme alla Fondazione Gimema. L’assunzione di decisioni cliniche e regolatorie si fonda tradizionalmente sui risultati degli studi controllati randomizzati (Rct), considerati il riferimento metodologico per eccellenza nella valutazione dell’efficacia e della sicurezza degli interventi sanitari. Tuttavia, i limiti pratici e strutturali degli Rct ne riducono la trasferibilità nella pratica clinica quotidiana. In risposta a queste criticità, negli ultimi anni si è assistito a un crescente ricorso ai dati del mondo reale (real world data - Rwd), raccolti al di fuori dei contesti sperimentali, nell’ambito della routine clinica e amministrativa.

Sebbene i Rwd non possano sostituire le evidenze generate dagli Rct, il loro impiego, se guidato da principi metodologici rigorosi, apre nuove opportunità per l’analisi dell’efficacia, della sicurezza e dell’appropriatezza delle terapie, con importanti ricadute sulla sanità pubblica, sulla regolazione farmaceutica e sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.

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Holger Schünemann
E se ogni evidenza testimoniasse il mondo reale?

Il ricorso alle espressioni real world data (Rwd) e real world evidence (Rwe) continua a generare confusione, soprattutto in riferimento agli studi non randomizzati. Non si può non tenere conto di un elemento fondamentale che caratterizza il contesto attuale della medicina: la necessità di gestire le incertezze e facilitare il decision making. Per questo è stato costruito, con un lavoro iniziato non pochi anni fa, il framework Grade, di cui ha parlato Holger Schünemann, direttore del Grade working group di Milano e del Clinical epidemiology and research center della Humanitas university e docente emerito alla McMaster university in Canada.

In un suo articolo, Schünemann aveva identificato i quattro problemi principali della Rwe1. Sostenere l’importanza della Rwe – ed è la prima questione – suggerisce che gli studi controllati randomizzati (Rct) non provengano dal mondo reale. “Al contrario, gli Rct sono studi condotti su persone reali, ma nessuna evidenza è diretta. Occorre perciò affrontare problemi di applicabilità e di generalizzabilità”.

Il secondo nodo da sciogliere riguarda la tendenza della Rwe a oscurare il rischio di bias o la validità interna, enfatizzando applicabilità e immediatezza, portando a distorsioni sistematiche.

Gli interessi economici sono il terzo punto critico: “L’enfasi sulla Rwe favorisce chi potrebbe manipolare i dati a scopo di lucro”. Infine, la Rwe “diluisce ciò su cui dovremmo concentrarci: i criteri per le migliori decisioni sanitarie”.

La Food and drug administration (Fda) definisce la Rwe come “l’evidenza clinica sull’utilizzo e i potenziali benefici o rischi di un prodotto medico derivante dall’analisi di real world data”, aggiungendo che “può essere generata da diversi disegni di studio, includendo ma non limitandosi agli studi randomizzati”. In questa cornice si inserisce, secondo Schünemann, il “grande malinteso che Rwe e Rwd siano qualcosa di diverso dagli studi randomizzati”.




E nemmeno gli esperti sono estranei a questa incertezza. Lo dimostra un articolo recente in cui leggiamo di un “framework integrato che combina studi randomizzati e Rwe”, in contraddizione con la definizione della Fda2.

“Le evidenze provenienti dal real world e gli studi randomizzati fanno parte del mondo reale, ma ciò che genera confusione è la convinzione che ci sia una dicotomia”, spiega Schünemann. Il problema principale degli studi non randomizzati, anche per i più applicabili, è la probabilità di bias, soprattutto di confondimento e di selezione.

Per superare questi problemi, il Grade working group ha sviluppato un approccio innovativo capace di valutare dettagliatamente bias e applicabilità per entrambi i tipi di studio. Il framework propone un grande cambiamento: la valutazione della certezza dell’evidenza è basata su “soglie predefinite per gli effetti: piccolo, moderato o grande”. Quando gli effetti sono congruenti, l’integrazione è possibile; quando incongruenti, si utilizza l’evidenza con maggiore certezza.

Grade offre uno strumento online gratuito adottato anche dall’Istituto superiore di sanità per valutare la certezza delle prove nell’ambito del Sistema nazionale linee guida, includendo fattori come equità, fattibilità, accettabilità e risorse3.

Ma quali Rwd utilizzare per generare domande rilevanti? “Nel processo che porta dalle evidenze alle raccomandazioni, molte fasi possono avvalersi di dati del mondo reale – fa notare Schünemann – e le loro fonti sono innumerevoli, includono anche i social media, le ricerche sul web dei pazienti e i sintomi registrati su tecnologie di mobile Health. Si crea dunque un processo che parte da un quesito chiaramente formulato per poi applicare framework decisionali dove le informazioni derivano da revisioni sistematiche e altre fonti di prove. La conclusione è una linea guida che formula la raccomandazione”. Tra le evidenze reali entrano così anche fonti innovative, come Google Trends e i modelli linguistici di grandi dimensioni (Llm), e – assicura Schünemann – “sono altamente applicabili per decisioni globali”4.

Bibliografia

1. Schünemann H. Tutte le prove sono real world evidence. Recenti Prog Med 2019; 110: 165-7.

2. Devane D, Emir B, Watt S, e al. Beyond the binary: integrating ‘real-world evidence’ with randomized trials in contemporary health care. J Clin Epidemiol 2025; 184: 111821.

3. Schünemann HJ, Santesso N, Vist GE, et al. Using GRADE in situations of emergencies and urgencies: certainty in evidence and recommendations matters during the COVID-19 pandemic, now more than ever and no matter what. J Clin Epidemiol 2020; 127: 202-7.

4. Sousa-Pinto B, Vieira RJ, Marques-Cruz M, et al. Artificial intelligence-supported development of health guideline questions. Ann Intern Med 2024; 177: 1518-29.

Rosa Gini
La validazione dei real world data

Fin da Galileo la ricerca empirica è basata sull’osservazione, e da sempre gli scienziati raccolgono i loro dati in forma tabellare. Un malinteso sui real world data (Rwd) è che, poiché sono in forma tabellare, sono perciò delle osservazioni sui soggetti di studio. Parte dalle origini della scienza Rosa Gini, ricercatrice a capo dell’Unità di farmacoepidemiologia dell’Agenzia regionale sanitaria della Toscana e vicepresidente della Vaccine monitoring collaboration for Europe (VAC4EU), prima di approfondire il tema della validazione dei Rwd. Il focus è sugli studi di farmacoepidemiologia, basati sui Rwd, dove i soggetti osservati nelle tabelle non sono le persone, ma gli eventi che hanno generato i dati, ovvero le interazioni con il sistema sanitario: i ricoveri, gli accessi al pronto soccorso, le erogazioni di farmaci. “Tu non vedi nessuno, non c’è nessuna intervista, non c’è nessun incontro. C’è già tutto lì, è già successo, e le persone sono state viste solo limitamente all’interazione che hanno avuto con il sistema sanitario, e non nella loro interezza”. I dati, quindi, sono generati con “dinamiche causali non approfondite”, e al ricercatore non resta che manipolare i dati già raccolti, assumendo che ciò che non è stato visto durante quelle interazioni non sia mai successo: se una persona non è mai stata ricoverata per diabete, allora non è diabetica!

Tornando alle basi della metodologia degli studi osservazionali, Gini ricorda che in essi sono presenti tre bias: di selezione, di confondimento e di misurazione. Nella letteratura metodologica c’è molta attenzione ai primi due e molto meno al terzo. Eppure questo è il bias più specifico dei Rwd, dove ogni variabile deriva dalla trasformazione dei dati già esistenti. La trasformazione avviene tramite algoritmi, in un processo – chiamato measuring, phenotyping, operationalizing oppure ancora identifying – in cui il ricercatore “finge” di osservare una raccolta di dati primaria. “Da qui nascono gli errori”, avverte Gini.

Infatti, l’algoritmo costruisce una variabile basandosi su ciò che la ricercatrice sintetizza come una “caterva di assunzioni”. Negli studi basati sulla raccolta di dati primaria, quando non abbiamo raccolto una informazione lo sappiamo e abbiamo un dato “missing”. Invece nei Rwd non sappiamo di non sapere: un soggetto che non genera alcun record viene automaticamente considerato sano, anche se in realtà, per esempio a causa delle proprie caratteristiche (stato socio-economico, presenza di doveri di cura verso figli o anziani), potrebbe non avere ancora avuto tempo di vedere un medico, oppure i dati di quel medico potrebbero non essere stati inclusi nei Rwd su cui il ricercatore si basa. La conseguenza è un numero significativo di falsi negativi e la distorsione della percezione dello stato di salute reale della popolazione. L’impatto di tali errori (o incomprensioni metodologiche) si riscontra anche nelle misure assolute del rischio, che risultano spesso sottostimate. La conseguenza pratica è che le decisioni di sanità pubblica possono basarsi su informazioni incomplete o erronee.

Per rimediare a questo cattivo uso dei Rwd si rende necessaria una rigorosa validazione delle variabili generate in ogni studio, misurandone gli indici di validità. Ma, come stimare allora gli indici di validità negli studi con Rwd?

Gini suggerisce di seguire la recente guida della International society for pharmacoepidemiology1. Segnala, in particolare, una formula scoperta recentemente: “Non occorre più stimare direttamente tutti gli indici: qualunque coppia di indici, o un indice e la frequenza, sono sufficienti a derivare gli altri analiticamente”. Il riferimento è agli indici predittivi, molto più facili da ottenere, ovvero il Positive predictive value, che indica la probabilità che un individuo classificato come positivo dall’algoritmo sia effettivamente malato, e il suo speculare, il Negative predictive value. La sensibilità, cioè la probabilità che un algoritmo catturi una persona malata, e il suo speculare, la specificità, ovvero la probabilità che una persona sana sia classificata come tale, sono molto più difficili da stimare, ma, grazie ai recenti risultati, si possono ora ottenere analiticamente dai primi, facilitando la validazione2.




Non ci devono più essere esitazioni, la raccomandazione è validare. “Includere uno studio di validazione annidato nello studio real world può portare un grande valore aggiunto e consente la successiva quantitative bias analysis”.

Gini sottolinea anche il ruolo emergente dell’intelligenza artificiale (IA) per migliorare gli studi di validazione: l’IA può infatti facilitare la compilazione di questionari basati sui contenuti delle cartelle cliniche, operazioni necessarie negli studi di validazione, rendendo meno oneroso il processo e permettendo campioni più ampi e tempi più rapidi.

L’inventore del metodo sperimentale ritorna a chiusura dell’intervento. “Galileo ci ha spiegato che bisogna osservare il mondo reale, che è una cosa diversa dal guardare i dati real world. Per capire i dati real world e ricondurli alla realtà dobbiamo conoscere il sistema sanitario che li ha generati, capirne punti di forza e debolezza, e soprattutto validare”.

Bibliografia

1. Ehrenstein V, Hellfritzsch M, Kahlert J, et al. Validation of algorithms in studies based on routinely collected health data: general principles. Am J Epidemiol 2024; 193: 1612-24.

2. Bollaerts K, Rekkas A, Smedt TD, et al. Disease misclassification in electronic healthcare database studies: deriving validity indices – a contribution from the ADVANCE project. PloS One 2020; 15: e0231333.

Flavia Mayer
Real world evidence per la validazione di approvazioni condizionate di medicinali

Quanto conta la Real world evidence nelle autorizzazioni condizionate dei farmaci? Per rispondere, Flavia Mayer, del Centro nazionale per la ricerca e la valutazione preclinica e clinica dei farmaci dell’Istituto superiore di sanità, si concentra sulle incertezze relative a efficacia e sicurezza.

Quando un’azienda farmaceutica richiede un’autorizzazione all’immissione in commercio di un nuovo farmaco che abbia validità in tutti gli Stati dello spazio economico europeo (27 dell’Unione europa e 3 aderenti allo spazio economico europeo: Norvegia, Islanda e Liechtenstein) viene attivata una procedura “centralizzata”, la quale prevede che il Comitato per i medicinali per uso umano (Committee for medicinal products for human use - Chmp) della European medicines agency (Ema) valuti i risultati degli studi clinici per decidere se rifiutare o approvare l’immissione in commercio. “Lo scorso anno – ha specificato Mayer – sono stati valutati dal Chmp 119 farmaci, il 4 per cento dei quali è stato rifiutato, mentre il rimanente 96 per cento ha ricevuto un’approvazione, che nella maggior parte dei casi (86 per cento) è stata piena (o standard), nel 7 per cento dei casi condizionata e nel 3 per cento in circostanze eccezionali”1.

L’autorizzazione condizionata viene concessa in specifiche circostanze caratterizzate da urgenza, ovvero quando il farmaco è destinato a una malattia grave, in situazioni di emergenza sanitaria o per farmaci orfani. Lo studio clinico pre-autorizzativo (studio pivotal) su cui si basa il parere del Chmp a sostegno dell’autorizzazione condizionata deve soddisfare quattro requisiti: dimostrare che il profilo beneficio-rischio sia favorevole anche se non conclusivo, rispondere a un bisogno medico non soddisfatto, mostrare che la disponibilità immediata del farmaco sia vantaggiosa per la salute pubblica e, infine, garantire buone prospettive di completare le evidenze attraverso la conduzione/completamento di ulteriori studi detti confermativi. Si tratta quindi di un’autorizzazione anticipata, rispetto a quella piena che richiede che il profilo beneficio-rischio sia completo, e transitoria, in quanto è destinata a trasformarsi, dopo una rivalutazione degli studi confermativi, in un’autorizzazione piena oppure nel ritiro dell’autorizzazione2.

A proposito dell’autorizzazione condizionata, la ricercatrice pone tre quesiti: 1) Quali incertezze sono presenti al momento dell’autorizzazione condizionata? 2) Qual è il disegno di studi ottimale per risolverle? 3) Quali sono le implicazioni per le autorizzazioni piene?

L’incertezza lasciata dallo studio pivotal riguarda, nella maggior parte dei casi, sia l’efficacia che la sicurezza2 ed è dovuta a “possibili punti deboli dello studio pivotal, come ad esempio una dimensione campionaria o una durata di follow-up troppo ridotte, un esito primario surrogato al posto di un esito clinico, essere in aperto e/o a singolo braccio; le debolezze evidenziate dovranno essere migliorate negli studi confermativi, sui quali il Chmp può porre condizioni specifiche”.

Mayer presenta come primo caso di studio un farmaco il cui principio attivo, onasemnogene abeparvovec, è una nota terapia genica per l’atrofia muscolare spinale (Sma) di tipo 13. I risultati dello studio pivotal a braccio singolo avevano evidenziato una elevata efficacia. “Ottenuta l’autorizzazione condizionata – spiega Mayer – restava un’incertezza da chiarire su efficacia e sicurezza, in quanto il campione e il follow-up erano limitati; sono stati quindi richiesti due studi confermativi, uno di tipo clinico con numerosità maggiore e uno di tipo osservazionale (di real world) con follow-up più esteso”.

Nello studio confermativo clinico “l’efficacia è stata dimostrata, e per la sicurezza non sono stati identificati nuovi segnali4; nello studio confermativo di real world “l’efficacia e la sicurezza sono state confermate anche nel lungo periodo. Il farmaco ha così ottenuto l’autorizzazione piena”5.




Un secondo caso studio è relativo all’acido obeticolico, utilizzato nel trattamento della colangite biliare primitiva. Qui l’incertezza riguardava l’efficacia, che era stata stimata con un endpoint primario di tipo surrogato nello studio pivotal di fase III, doppio-cieco6. È stata perciò concessa l’autorizzazione condizionata richiedendo uno studio confermativo di tipo randomizzato, il quale aveva il 50 per cento in più di pazienti e un endpoint primario di tipo clinico. Questo studio ha ribaltato i risultati dello studio pivotal, mostrando una piena sovrapponibilità tra farmaco e placebo. Sulla base di questi dati il farmaco è stato ritirato dal commercio, ma solo sette anni più tardi rispetto al momento dell’autorizzazione condizionata7.

“Cosa sarebbe successo – si interroga Mayer – se in questo secondo esempio fosse stato richiesto uno studio confermativo osservazionale con dati real world? In uno studio osservazionale real world non può essere esclusa la presenza di confondimento residuo, di errori di misurazione o di valori mancanti, e pertanto in presenza di un effetto nullo (come nell’esempio) o di ampiezza limitata non siamo in grado di distinguere se è l’effetto reale o se è dovuto alla presenza di eventuali confondenti/bias. Di conseguenza, diversamente dal primo esempio (la terapia genica della Sma di tipo 1), questo tipo di incertezza non si sarebbe risolta, e non si sarebbero potute prendere decisioni regolatorie”.

Le applicazioni della real world evidence a supporto dell’attività regolatoria di valutazione dei farmaci sono numerose: fornire dati di riferimento (es. storia naturale per studi a braccio singolo); valutare la trasferibilità dei risultati (es. confrontando le caratteristiche dei pazienti inclusi negli studi autorizzativi con quelle dei pazienti trattati nella pratica clinica); stimare la dimensione della popolazione target che utilizzerà il farmaco (incidenza, prevalenza, sottogruppi); valutare l’effetto degli interventi regolatori (es. effetti delle comunicazioni ai clinici); risolvere l’incertezza sulla sicurezza identificando nuove reazioni avverse e stimando la loro incidenza. Tuttavia, per quanto riguarda la valutazione dell’efficacia, “se l’efficacia reale è nulla o limitata, uno studio osservazionale su dati real world non risulta conclusivo”.

Quanto osservato sui limiti degli studi osservazionali a supporto delle autorizzazioni condizionate ha implicazioni anche per le autorizzazioni piene. Pensare di anticipare le autorizzazioni piene – riducendo la dimensione delle popolazioni in studio e/o la durata del follow-up, o utilizzando endpoint primari surrogati – ed eseguire studi osservazionali per completare le evidenze non porterebbe a risultati conclusivi in caso di effetti nulli o piccoli. La conclusione è che in assenza di unmet medical need in una malattia grave non si giustifica l’immissione in commercio di un farmaco con incertezze nel profilo beneficio-rischio.

Bibliografia

1. European Medicine Agency. Annual Report 2024. The European Medicines Agency’s contribution to science, medicines and health in 2024. Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2025.

2. European Medicine Agency. Conditional marketing authorization. Report on ten years of experience at the European Medicines Agency. European Medicines Agency, 2017.

3. Day JW, Finkel RS, Chiriboga CA, et al. Onasemnogene abeparvovec gene therapy for symptomatic infantile-onset spinal muscular atrophy in patients with two copies of SMN2 (STR1VE): an open-label, single-arm, multicentre, phase 3 trial. Lancet Neurol 2021; 20: 284-93.

4. Mercuri E, Muntoni F, Baranello G, et al. Onasemnogene abeparvovec gene therapy for symptomatic infantile-onset spinal muscular atrophy type 1 (STR1VE-EU): an open-label, single-arm, multicentre, phase 3 trial. Lancet Neurol 2021; 20: 832-41.

5. Servais L, Day JW, De Vivo DC, et al. Real-world outcomes in patients with spinal muscular atrophy treated with onasemnogene abeparvovec monotherapy: findings from the RESTORE registry. J Neuromuscul Dis 2024; 11: 425-42.

6. Nevens F, Andreone P, Mazzella G, et al. A placebo-controlled trial of obeticholic acid in primary biliary cholangitis. N Engl J Med 2016; 375: 631-43.

7. Kowdley KV, Hirschfield GM, Coombs C, et al. COBALT: a confirmatory trial of obeticholic acid in primary biliary cholangitis with placebo and external controls. Am J Gastroenterol 2025; 120: 390-400.

Valeria Belleudi
Real world data e definizione delle popolazioni target delle terapie innovative

“I real world data (Rwd) possono giocare un ruolo decisivo già prima dell’immissione in commercio di un farmaco, perché aiutano a definire la popolazione target e a pianificare le priorità d’accesso”. Inizia così l’intervento di Valeria Belleudi, Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1. In questa macrodefinizione di Rwd rientrano i dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche, database amministrativi, registri di malattia, dati genici e da biomarcatori, fino ai parametri raccolti dai dispositivi medici.

“Innanzitutto – ha spiegato Belleudi – i Rwd permettono di identificare i bisogni clinici insoddisfatti. Sono utili anche per pianificare un trial clinico e diventano fondamentali nella fase di autorizzazione all’immissione in commercio. Permettono, inoltre, di definire accuratamente la popolazione target, spesso disallineata rispetto alle aspettative, in modo dinamico e integrando i dati della pratica clinica”1,2.

Cosa succede quando un farmaco, specialmente se innovativo, sta per essere immesso sul mercato? Quanti e quali pazienti potranno riceveranno la terapia? I due quesiti sono al centro della sfida che ha come obiettivo garantire cure di alta qualità in un sistema sostenibile.

“Gli attori coinvolti sono diversi e diverse sono le prospettive. L’industria – ha proseguito Belleudi – vuole stimare l’impatto del farmaco sul mercato; l’agenzia regolatoria deve valutare il valore terapeutico e la sostenibilità economica; le Regioni devono organizzare sul territorio i percorsi di cura, garantendo l’equità di accesso. Ci sono poi i clinici, ai quali spetta valutare i benefici e le aspettative per i pazienti e, infine, i pazienti stessi, spesso influenzati da narrazioni mediatiche troppo ottimistiche. I Rwd permettono a noi epidemiologi una stima empirica, riproducibile e verificabile nel tempo”.

Belleudi ha illustrato un caso di definizione della popolazione target riproducibile e verificabile nel tempo. Si tratta della stima dei soggetti adulti potenzialmente eleggibili alla terapia Car-t per linfoma diffuso a grandi cellule B (diffuse large B cell lymphoma - Dlbcl). “Abbiamo usato i nostri dati amministrativi (scheda di dimissione ospedaliera, chemioterapie, anatomia patologica, mortalità) per individuare i pazienti in recidiva o refrattari dopo almeno due linee di terapia”. Sono così state individuate 1344 persone, tra il 2010 e il 2015; la coorte è stata seguita per tre anni per valutare le possibilità di accedere almeno al primo ciclo di chemioterapia, le eventuali recidive, gli accessi al trapianto autologo, i decessi. “Dei pazienti con una seconda recidiva, abbiamo identificato un 40 per cento di idonei alla terapia Car-t. Applicando queste proporzioni al dato di incidenza, la stima della popolazione candidabile (e non eleggibile) risultava di circa 45 casi l’anno. Candidabile, perché servono altri parametri clinici che al momento i nostri dati non catturano”3.




Nel tempo, le indicazioni della Car-t si sono ampliate fino a comprendere il linfoma mantellare e follicolare e ampliando la popolazione Dlbcl.

La Regione Lazio ha coinvolto il Dipartimento di epidemiologia per definire la governance e stimare il fabbisogno, producendo nel 2023 il documento “La rete per le terapie Car-t nella Regione Lazio”4. Il modello prevede un comitato di indirizzo, un Car-t manager e il contributo del Dipartimento di epidemiologia per la definizione della popolazione target. “In questo framework, abbiamo definito la stima del fabbisogno annuale di questa terapia considerando la nuova indicazione che anticipa i tempi di somministrazione. Ciò è stato possibile grazie ai dati a disposizione”.

Nel frattempo, in ambito oncologico, l’arrivo di nuove terapie ha reso necessario un nuovo approccio che il Dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio ha strutturato in tre fasi: stima dei pazienti potenzialmente eleggibili, monitoraggio di quanti assumono la terapia e horizon scanning, per monitorare i trial conclusi; le indicazioni della European medicine agency; le nuove approvazioni dell’Agenzia italiana del farmaco. Il monitoraggio nei due centri hub del Lazio (Policlinico Umberto I e Policlinico Gemelli) ha osservato 160 pazienti, fornendo dati e suggestioni per ulteriori approfondimenti, per esempio, sulle comorbilità neurologiche e psichiatriche.

L’attività di horizon scanning, avviata nel 2024, ha portato a definire i criteri delle priorità per l’accesso a diverse opzioni terapeutiche (Car-t, anticorpo bispecifico o nessuna delle due terapie). Un analogo percorso è in atto per le terapie innovative (pembrolizumab e un nuovo farmaco radioligando, il pluvicto) contro i tumori solidi. Una sfida complessa, che coinvolgerà anche i test genici.

“Nell’era della medicina di precisione – ha concluso Belleudi – servono dati sempre più dettagliati e integrati, per una programmazione sanitaria sostenibile, equa e guidata da reali bisogni clinici. E serve un approccio multidisciplinare per trasformare i dati in decisioni concrete”.

Bibliografia

1. Moulis G, Zadro Y, Sommet A, et al. Use of real-world data for the development and the follow-up of drugs in rare diseases. The example of immune thrombocytopenia and autoimmune hemolytic anemia. Rev Med Interne 2025; 46: 287-92.

2. Lund JL, Matthews AA. Identifying target populations to align with decision-makers’ needs. Am J Epidemiol 2024; 193: 1503-6.

3. Belleudi V, Trotta F, Fortinguerra F, et al. Real world data to identify target population for new CAR-T therapies. Pharmacoepidemiol Drug Saf 2021; 30: 78-85.

4. Salute Lazio. La Rete per le Terapie CAR-T nella Regione Lazio. Luglio 2024.

Paola Fazi
Dai trial clinici al real world: l’esperienza della Fondazione Gimema

La Fondazione Gimema si occupa di promuovere e gestire trial clinici e studi sulla real world evidence (Rwe) sin dagli anni Settanta. In questo ambito – ha spiegato la direttrice del Centro dati, Paola Fazi – l’esperienza della rete di collaborazioni si è focalizzata su quattro grandi temi della ricerca e della clinica in ematologia: la leucemia acuta promielocitica, la leucemia acuta linfoide, le leucemie croniche e il mieloma multiplo. “Nel 1978 – ha raccontato Fazi – la mediana di sopravvivenza di un paziente con leucemia acuta era di circa 34 settimane. Oggi parliamo di anni: un risultato frutto di decenni di studi, della collaborazione tra oltre 140 centri italiani e altri internazionali e della condivisione sistematica di dati clinici”.

In ematologia, la Rwe oggi è uno strumento fondamentale per completare le conoscenze ottenute dai clinical trial e per colmare i limiti degli studi controllati randomizzati (Rct). La Rwe, infatti, contribuisce a offrire una visione realistica, nella pratica clinica, dell’efficacia e della sicurezza dei trattamenti.

Molti studi sulla Rwe hanno preso il via in seguito a trial clinici. Vediamone qualche esempio. Uno dei più importanti studi progettati dalla Fondazione Gimema, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha riguardato la leucemia acuta promielocitica (Lap)1. “Con questo studio no profit, indipendente, per la prima volta la European medicine agency ha approvato l’indicazione del triossido di arsenico, in combinazione con acido all-trans retinoico, nei pazienti a rischio basso o intermedio. Questa terapia ha portato alla remissione completa nel 100 per cento dei pazienti e oggi è considerata il gold standard in tutto il mondo. I risultati del nostro trial sono poi stati confermati nel contesto real life da un successivo studio osservazionale (APL0618) in cui è evidente la sovrapponibilità dei dati di efficacia e tossicità. Inoltre, con un’analisi a lungo termine, è stata dimostrata l’assenza di differenze statisticamente significative nella mortalità rispetto alla popolazione generale, suggerendo che la Lap può essere considerata una malattia guaribile”.

Per quanto riguarda la leucemia acuta linfoide (Lal), Fazi ha presentato i risultati di un trial clinico ispirato a schemi terapeutici pediatrici (GIMEMA LAL1913) che hanno mostrato un’elevata efficacia anche negli adulti2. Uno studio osservazionale indipendente ha poi confermato in real life risultati sovrapponibili3. Il protocollo GIMEMA LAL1913 è attualmente considerato il gold standard nazionale per la Lal Philadelphia negativa.

In merito alla Lal Philadelphia positiva, Fazi racconta come la sopravvivenza a due anni dalla diagnosi sia passata dal 30 per cento dei primi anni Duemila all’attuale 90 per cento. “Un risultato storico”, ottenuto grazie alla sperimentazione di nuovi farmaci.

Con due studi (ALL2116 D-ALBA e ALL2820) è stato confermato il miglioramento della risposta molecolare e la riduzione delle recidive con ponatinib e blinatumomab. “I risultati sono stati utilizzati per l’inserimento del ponatinib nella legge 648/96 – che consente, qualora non esista valida alternativa terapeutica, di erogare a carico del Servizio sanitario nazionale medicinali per indicazioni diverse da quelle autorizzate – mentre è in corso la valutazione per l’inserimento del blinatumomab”4-6.




Ulteriori esempi, in corso, del passaggio da un trial clinico a una raccolta di real world data riguardano la leucemia linfatica cronica (Llc) e il mieloma multiplo. “Lo studio osservazionale GIMEMA CLL2121, relativo alla Llc, mira ad arruolare oltre 25 mila pazienti per mappare la gestione reale della patologia in Italia, integrando nel dataset anche pazienti provenienti da trial clinici, qualora eleggibili. Sul mieloma multiplo l’intenzione è superare i limiti di rappresentatività di uno studio aziendale. L’occasione per farlo è uno studio osservazionale per valutare il regime terapeutico SVd, che combina selinexor con bortezomib e desametasone, di recente approvazione da parte del nostro Comitato etico”.

E la qualità della vita nella real life? Oltre trenta studi della Fondazione riguardano i patient-report outcome. Tra questi, lo studio PROMYS7, condotto in ambito internazionale, ha coinvolto oltre 900 persone con sindromi mielodisplastiche. “Siamo stati in grado di individuare il giudizio dei pazienti sul proprio stato di salute come fattore prognostico rilevante per l’ottenimento della remissione completa e la sopravvivenza. Ciò fornisce ai medici uno strumento per prendere decisioni terapeutiche più consapevoli”.

Premessa l’importanza dei real world data e la loro integrazione con quelli dei trial clinici, Fazi ha sottolineato quanto sia necessario prestare attenzione alla qualità dei dati raccolti: “È fondamentale garantire una metodologia corretta soprattutto quando si lavora con milioni di cartelle cliniche, milioni di pazienti”.

Nel futuro della Rwe in ematologia, la responsabile del Centro dati della Fondazione Gimema prevede il miglioramento dell’analisi dei dati, anche grazie all’intelligenza artificiale e al machine learning, una maggiore integrazione con gli Rct e la condivisione internazionale dei dati, per aumentarne l’affidabilità e la validità clinica dei risultati.

Bibliografia

1. Lo-Coco F, Avvisati G, Vignetti M, et al. Retinoic acid and arsenic trioxide for acute promyelocytic leukemia. N Engl J Med 2013; 369: 111-21.

2. Bassan R, Chiaretti S, Della Starza I, et al. Pegaspargase-modified risk-oriented program for adult acute lymphoblastic leukemia: results of the GIMEMA LAL1913 trial. Blood Adv 2023; 7: 4448-61.

3. Lazzarotto D, Cerrano M, Papayannidis C, et al. Outcome of 421 adult patients with Philadelphia-negative acute lymphoblastic leukemia treated under an intensive program inspired by the GIMEMA LAL1913 clinical trial: a Campus ALL study. Haematologica 2025; 110: 55-67.

4. Foà R, Bassan R, Vitale A, et al. Dasatinib-blinatumomab for ph-positive acute lymphoblastic leukemia in adults. N Engl J Med 2020; 383: 1613-23.

5. Chiaretti S, Leoncin M, Elia L, et al. Efficacy and toxicity of frontline ponatinib plus blinatumomab for adult ph+ all patients of all ages. intermediate analysis of the GIMEMA ALL2820. Blood 2024; 144: 835.

6. Foà R. Ph-positive acute lymphoblastic leukemia - 25 years of progress. N Engl J Med 2025; 392: 1941-52.

7. Efficace F, Al Essa W, Platzbecker U, et al. Health-related quality of life profile of newly diagnosed patients with myelodysplastic syndromes by age, sex, and risk group: a real-world study by the GIMEMA. Hemasphere 2023; 7: e944.

Gianluca Trifirò
Come conciliare generazione di real world evidence e protezione dei dati sensibili

“Pensavo di occuparmi di farmacoepidemiologia, ho scoperto che mi occupo di real world evidence”. L’intervento di Gianluca Trifirò, ordinario di Farmacologia all’Università di Verona, si apre con una battuta, ma entra rapidamente nel merito di un tema centrale: come conciliare la generazione di real world evidence (Rwe) con la protezione dei dati sensibili.

Per mostrare le difficoltà connesse alla disponibilità, spesso urgente, di Rwe, Trifirò risale alla pandemia del 2020. “Si diffuse l’ipotesi – ha spiegato – che gli ace-inibitori aumentassero il rischio di covid grave. In quaranta giorni, con l’Istituto superiore di sanità e alcune Regioni siamo riusciti a sviluppare un protocollo di studio e farlo approvare dal Comitato etico dell’Istituto superiore di sanità e a condurre lo studio stesso attraverso dati di real world. I risultati dello studio indicavano che non c’era alcuna correlazione tra uso degli ace-inibitori e la prognosi di covid. Nel frattempo, molti pazienti avevano già interrotto in maniera inappropriata la terapia con tali antiipertensivi. Tali evidenze tuttavia non sono state acquisite dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)”.




Le difficoltà normative, quando occorre massimizzare e mettere a sistema tutti i dati, restano; le opportunità, però, sono molte1. Nel “mondo regolatorio” il riferimento, oltre ad Aifa, è la European medicines agency (Ema) e il suo progetto Darwin EU, la rete europea di banche dati sanitarie. “A tre anni dall’avvio – spiega Trifirò – nessuna banca dati italiana vi partecipa: il problema è la data protection”. Questi esempi, secondo il relatore, mostrano quanto i dati real world possano servire a fini regolatori, di ricerca e di sanità pubblica.

“In un editoriale sul New England Journal of Medicine si riportava testualmente: “I big data trasformeranno la medicina. È fondamentale ricordare, tuttavia, che i dati da soli sono inutili. Per essere utili, i dati devono essere analizzati, interpretati e portare a delle azioni”. Affinché si realizzi la capacità di decidere e intervenire dobbiamo trasformare i dati di real world in evidenze scientifiche, tenendo presente quattro elementi chiave: data quality, trustness, actionability e data protection2. Se i primi due riferimenti sono chiari e necessari, occorre soffermarsi sulla actionability.

Il relatore ha citato il sistema Sentinel della Food and drug administration (Fda) come esempio di rete di big data a supporto delle decisioni regolatorie. E alcuni studi condotti con questa rete hanno portato a modifiche delle schede tecniche3. L’Italia, ha ricordato Trifirò, non parte da zero: “Siamo ricchissimi di dati e con esperienze consolidat”4. Due esempi: lo storico studio dell’Istituto superiore di sanità sui gangliosidi, che portò al ritiro di tali farmaci per un documentato aumento del rischio di sindrome di Guillain-Barré, farmaci allora molto prescritti in Italia. “Ma è stato condotto trent’anni fa. Oggi sarebbe quasi impossibile a causa della normativa su data protection”5. Un altro studio, sull’anemia nei pazienti oncologici, condotto con il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, ha invece generato evidenze che hanno contribuito a definire una raccomandazione delle linee guida dell’American society of clinical oncology sulla gestione dell’anemia associata a chemioterapia6.

Attualmente le ambiguità normative ostacolano ricerche simili.

Il Progetto VALORE, attivo in 16 Regioni, e finanziato da Aifa, ha elaborato i dati su oltre 340 mila pazienti in terapia con farmaci biologici per malattie autoimmuni: over 65, donne in gravidanza, bambini. “I dati – assicura Trifirò – sono gestiti con sistemi di banche dati distribuite, nelle quali vengono elaborati a livello locale attraverso un modello condiviso, e vengono condivisi centralmente dopo anonimizzazione, ma in mancanza di chiarezza normativa, la prosecuzione di tale progetto è al momento sospesa”. Non invano. “È nato comunque un gruppo di lavoro con i data protection officer, ricercatori e istituzioni. E dall’iniziale diffidenza, sta crescendo la collaborazione e la consapevolezza che serva formazione per i ricercatori e un canale di comunicazione tra ricercatori stessi e data protection officer secondo il principio del data protection by design”7.

Aifa prevede che le Regioni conducano studi di sorveglianza post-marketing anche mediante riutilizzo secondario dei dati. La recente riforma dell’articolo 110 del Codice della privacy, inoltre, permette studi anche senza consenso, ma solo se condotti da chi detiene il dato, cioè dalle aziende sanitarie. “Per progetti multiregionali, questo implica interlocuzioni con centinaia di enti, rendendo il sistema ingestibile”, denuncia il relatore.

Su queste necessità, nel 2024 si è tenuto un simposio nazionale con il Garante della privacy e altri stakeholder, da cui è nato un documento condiviso8.

“Serve un aggiornamento della normativa vigente sulla protezione dei dati sensibili che sia coerente con approcci innovativi ormai consolidati anche in farmacovigilanza e con le potenzialità della mole dei dati sanitari a disposizione in Italia; inoltre, sarebbe utile che – come fatto già da Fda ed Ema – anche Aifa possa sviluppare un documento in cui fornire indicazioni su come utilizzare i dati di real world per generare evidenza a supporto dei vari processi regolatori”, conclude Trifirò.

Bibliografia

1. Trifirò G, Sultana J, Bate A. From big data to smart data for pharmacovigilance: the role of healthcare databases and other emerging sources. Drug Saf 2018; 41: 143-9.

2. Obermeyer Z, Emanuel EJ. Predicting the future - big data, machine learning, and clinical medicine. N Engl J Med 2016; 375: 1216-9.

3. Eworuke E, Haug N, Bradley M, et al. Risk of nonmelanoma skin cancer in association with use of hydrochlorothiazide-containing products in the United States. JNCI Cancer Spectr 2021; 5: pkab009.

4. Trifirò G, Gini R, Barone-Adesi F, et al. The role of European healthcare databases for post-marketing drug effectiveness, safety and value evaluation: where does Italy Stand? Drug Saf 2019; 42: 347-63.

5. Raschetti R, Maggini M, Popoli P, et al. Gangliosides and Guillain-Barré syndrome. J Clin Epidemiol 1995; 48: 1399-405.

6. Bohlius J, Bohlke K, Castelli R, et al. Management of cancer-associated anemia with erythropoiesis-stimulating agents: ASCO/ASH clinical practice guideline update. J Clin Oncol 2019; 37: 1336-51.

7. Agenzia italiana de farmaco. Procedura operativa per i centri regionali di farmacovigilanza/organismi/strutture regionali stabilmente definiti. Rev. 1 - novembre 2022.

8. Trifirò G, Montuori L, Gini R, et al. Come conciliare la generazione di real-world evidence (Rwe) e data protection? Società italiana di farmacologia, settembre 2024.

Enrico Crea
Linea guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci

L’8 agosto 2024 l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha pubblicato la nuova “Linea guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci”1. Enrico Crea, project manager della Fondazione Gimema Franco Mandelli Onlus, ha fornito un vademecum per distinguere le innovazioni introdotte, sulla scorta dell’esperienza del network italiano di ricerca in ematologia su questo tipo di trial. “Nel corso degli anni, abbiamo infatti condotto 110 studi clinici, dei quali 40 osservazionali farmacologici”.

La finalità del documento Aifa è fornire un corretto inquadramento e una gestione coerente degli studi osservazionali farmacologici, in un quadro normativo di recente definizione. In sintesi, sono queste le novità operative principali: via libera agli studi retrospettivi anche su usi di medicinali non autorizzati, parere unico del comitato etico (territoriale o nazionale), obbligo di convenzioni specifiche con ogni singolo ente che collabora agli studi.

“Purtroppo – ha spiegato Crea – non esiste ancora un percorso regolatorio definito per gli studi osservazionali non farmacologici e per quelli su materiale biologico. In assenza di una norma di riferimento, i comitati etici possono inquadrarli in modo difforme in accordo alle proprie procedure interne”.

Quali sono, dunque, le diverse tipologie di studio citate nella linea guida? In riferimento al Regolamento europeo 536/20142, si discute di studi clinici, di sperimentazioni cliniche a basso livello di intervento e di studi non interventistici. Il documento ribadisce il valore degli studi osservazionali per valutare la sicurezza dei farmaci nella pratica clinica e per approfondimenti sull’efficacia in un contesto di real life. Rientrano in questa categoria anche i Pass (Post-authorisation safety studies) e i Paes (Post-authorisation efficacy studies), richiesti dalle autorità regolatorie alle aziende farmaceutiche per il mantenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio. La linea guida non si applica, invece, agli studi di farmacogenetica e farmacogenomica non previsti dalla normale pratica clinica, e nemmeno ai registri, cioè ai grandi database, la cui raccolta dati è priva di un endpoint definito.

A tal fine, perché sia considerato osservazionale farmacologico, lo studio deve essere focalizzato sulla valutazione di un medicinale prescritto nelle condizioni d’uso autorizzate in Italia e secondo la normale pratica clinica; la prescrizione deve derivare da una decisione precedente all’arruolamento; anche le procedure di diagnostica e valutazione devono essere in linea con la pratica clinica.

Uno degli elementi innovativi più rilevanti è invece la possibilità di condurre studi su usi non autorizzati del farmaco, come gli off-label e i compassionevoli, purché retrospettivi.

Le procedure diagnostiche e valutative non devono inoltre comportare oneri aggiuntivi per il Servizio sanitario nazionale. “Questa è una zona grigia in cui può crearsi un conflitto tra chi propone lo studio e chi lo valuta: la definizione degli oneri aggiuntivi a carico del Servizio sanitario nazionale non è purtroppo sempre chiara”, avverte Crea.

Un’altra novità riguarda il (possibile) ruolo attivo di Aifa: “Mentre in passato l’Agenzia valutava sicurezza ed efficacia di un farmaco solo nel contesto delle sperimentazioni cliniche, oggi Aifa, autonomamente o su richiesta del comitato etico, può richiedere chiarimenti qualora ritenga lo studio osservazionale farmacologico non correttamente inquadrato come tale”.

Sul piano economico, “la linea guida conferma che gli studi osservazionali non richiedono copertura assicurativa, non essendoci il rischio di interventi diretti sul trattamento dei pazienti. E sono ammessi finanziamenti anche per studi no-profit come quelli promossi da Gimema”, aggiunge il project manager.




Premesso che restano invariate le norme sulla documentazione, Crea ricorda che il Registro degli studi osservazionali (Rso) di Aifa è un portale statico che permette solo il caricamento della documentazione iniziale, della valutazione del comitato etico e la registrazione di apertura e chiusura dello studio. Dubbi anche sulla tempistica delle valutazioni: “Se il parere del comitato etico deve arrivare entro 45 giorni dall’inserimento nel Rso, non sono invece chiari i termini dell’eventuale intervento di Aifa. Di fatto, a dieci mesi dalla pubblicazione, nessuna valutazione o osservazione è ancora pervenuta dall’Agenzia sui pochi studi da noi presentati”.

La mancanza, infine, di un modello unico di contratto per gli studi osservazionali, a differenza di quanto accade per le sperimentazioni cliniche, è un nodo ancora da sciogliere.

Bibliografia

1. Agenzia italiana del farmaco. Linea guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci, agosto 2024.

2. Parlamento e Consiglio dell’Unione europea. Regolamento (Ue) n° 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, aprile 2014.

A cura di Maria Frega

giornalista freelance