Dio, la memoria, la responsabilità

Giuseppe R. Gristina1

1Medico, anestesista rianimatore.

La storia di tutte le persecuzioni del popolo ebraico, dalla notte dei tempi fino all’evento apocalittico della Shoah, ha generato in una parte della mia generazione una sorta di devozione.

Così, per anni, nei confronti di Israele in molti ci siamo sentiti in debito morale.

Non era la storia della nostra gente, ma era come se lo fosse.

Ci siamo commossi davanti ai documentari e ai servizi fotografici, ascoltando i racconti di Sami Modiano, di Shlomo Venezia (io l’ho anche curato durante un suo ricovero in ospedale), di Liliana Segre. Abbiamo studiato i libri di Anna Frank, Primo Levi, Edith Bruck, Hannah Arendt. Ogni volta che cammino sui sanpietrini di piazza delle Cinque Scole a Roma, nel cuore dell’antico ghetto ebraico, non posso non andare con l’immaginazione a quel sabato 16 ottobre 1943, alla tragedia del rastrellamento nazifascista. Guardando dall’Aventino, al tramonto, sulla destra la cupola quadrata della sinagoga mi torna in mente l’attentato del 9 ottobre 1982 condotto da un commando palestinese. Non dimenticherò l’emozione provata davanti alle migliaia di nomi scritti sui muri della sinagoga Pinkas di Praga o visitando il campo di Terezin.

Così, abbiamo sempre considerato il popolo ebraico come il popolo fratello.

Oggi però, pur condannando duramente e senza appello il feroce pogrom del 7 ottobre 2023 condotto dai criminali di Hamas, quanto Israele sta facendo a Gaza ha irrimediabilmente incrinato qualcosa. Non nella memoria. Nella fiducia.

La Shoah riguarda la coscienza di tutti gli uomini occidentali, ma in particolare quella degli ebrei perché secondo la religione dei patriarchi e dei profeti, Dio, stipulando l’Alleanza con Abramo, riconobbe nel popolo ebraico il popolo eletto.

Dopo la Shoah, molti hanno cercato di dare una risposta alle domande tremende che questo evento ha suscitato.

Dov’era il Dio che promise di proteggere Israele e non lo fece? Cosa ha fatto Israele per meritare una simile tragedia? A cosa sono servite le sue preghiere?

Queste tre questioni, relative al rapporto tra Dio e l’uomo, mettono sì in discussione il significato più intimo della cultura ebraica, ma interpellano tutti gli uomini. Generano dubbi che scuotono la natura stessa della fede – di tutte le fedi –, dilemmi potenti sulla possibilità di alzare ancora lo sguardo verso il Cielo per benedire il nome del Signore.

Il Male che nella Bibbia si accanisce su una singola figura (quella di Giobbe) è divenuto, con la Shoah, banale e di massa, come disse Hannah Arendt, riguardando sei milioni di esseri umani e ponendo la necessità di trovare risposte soddisfacenti al “silenzio di Dio” e all’assurdità di tutto ciò che la Shoah ha rappresentato.

Per spiegare la Shoah, Hans Jonas1 concepì l’atto originario e creativo di Dio come ritrazione dal mondo stesso, come rinuncia alla sua onnipotenza, lasciando che l’uomo potesse agire e sviluppare la sua esistenza in maniera libera, indipendente e responsabile.

Dio non ha più nulla da dare: ora tocca all’uomo dare. Questa interpretazione fornisce una lettura non solo della Shoah, ma anche di tutta la storia dell’uomo percorsa dalle sofferenze, dal male, dall’ingiustizia.

Dio, di fronte alla Shoah, è muto, e non è intervenuto a impedire la tragedia perché si aprisse la strada alla responsabilità umana nei confronti del male.

Emerge, così, una nuova rappresentazione di un Dio debole, che smette di essere Padre o Alleato per divenire compagno dell’uomo.

La questione della Shoah si sposta allora dal cielo alla terra, da Dio, e dal suo silenzio, agli uomini e al rumore di fondo del loro vociare, da quanto accaduto ieri a quanto accade oggi.

È una questione di responsabilità che riguarda direttamente la libertà umana.

Perché responsabile è ogni azione compiuta volontariamente e in piena coscienza in una condizione che consenta di passare liberamente dall’intenzione all’atto. Ma responsabilità è anche possibilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni modificandole in base a quelle previsioni. Esiste quindi una responsabilità che riguarda le parole che usiamo, i gesti che compiamo e su su fino alla responsabilità del male che scegliamo o non scegliamo di compiere prevedendone gli effetti.

In questa nuova visione di un Dio debole perché compagno dell’uomo e di un uomo debole perché non solo alberga in sé il male ma lo sceglie consapevolmente, viene però meno la possibilità di un discorso sulla giustizia in grado di rendere conto del male del mondo. Ed è proprio questo crollo che, nelle coscienze degli uomini occidentali, ha operato instillando non il dubbio, ma l’incredulità, non la negazione, ma il distacco.

Cosa è rimasto oggi di questa discussione sul silenzio di Dio? Cosa è rimasto dei sei milioni di morti?

A giudicare da ciò che si vede, poco o nulla. E non si può certo dire che il male del mondo ancora oggi non sia scelto consapevolmente. Il riferimento è qui non solo all’incessante susseguirsi di violenze tra Israele e il popolo palestinese, ma anche alle guerre e ai genocidi presenti da sempre ovunque.

E dunque, chi ha conosciuto il dolore ha due strade: o diventa testimone di umanità, o si trasforma nel carnefice che un tempo lo ha umiliato.

Israele oggi ha scelto la seconda.

Non tutto il popolo, certo.




Tuttavia, già nel 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt, assieme ad altri 26 intellettuali ebrei, in una lettera aperta al New York Times2, avvertivano del rischio che la giovane democrazia israeliana, e con essa l’intera società, correva dando seguito politico e culturale al sionismo, il lato oscuro di Israele. Il sionismo, infatti, ha disegnato un Medio Oriente dove l’“altro” è solo un intralcio da espellere, cancellarea.

Per tutta risposta, il 19 luglio 2018 la Knesset ha approvato la legge sullo Stato-nazione3-5 che definisce Israele come la patria storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale. La legge mette dunque fine all’ambiguità di uno Stato israeliano ebraico e democratico, una combinazione che non è mai potuta esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori impossibili da conciliare. Se lo Stato è ebraico non può essere democratico, perché non esiste uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica.

In conclusione, non si tratta più di difesa o di sopravvivenza, è dominio e punizione collettiva. È crudeltà calcolata, sistematica. Non si insegna la pace ma l’odio, non si tramanda la giustizia ma il disprezzo.

Primo Levi, di ritorno da Auschwitz, scrisse: «Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore…» e ancora: «L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria»6.

Al contrario, non pare che della memoria della Shoah sia rimasto molto nel mondo ma neppure in Israele, né che quanto rimasto sia di qualche utilità per gli uomini.




L’ala dello schieramento più reazionario dell’ortodossia religiosa che si è alleata con il sionismo7,8 ha una drammatica responsabilità in queste scelteb.

Le tre grandi religioni monoteiste condividono tre aspetti fondamentali: una struttura gerarchica, una fede, un codice di etica individuale.

Proprio questa architettura così complessa, ancora fortemente ancorata a una visione temporale che sembra irrinunciabile per giustificare una convinzione teologica, contribuisce a generare due gravi problemi.

Da un lato essa svia la riflessione dalla grande novità che la Shoah ha posto agli occhi degli uomini riguardo all’esistenza di Dio e a una nuova visione che almeno i credenti dovrebbero avere di Lui; dall’altro indebolisce il nesso tra responsabilità e speranza. Perché solo la speranza apre al futuro e ci obbliga concretamente a pensare alle conseguenze attuali e future delle nostre azioni e a ricercare quello che oggi sembra impossibile.

Se è vero che la responsabilità non dovrebbe mai spegnere in noi la speranza, è anche vero che non dovrebbe annichilirla negli altri. Perché la speranza vive di comunione, che è a sua volta fragile ed esposta alla banalità della vita oltre che del male.

La fede non dovrebbe avere allora la pretesa di incarnare una verità eterna e certa. Ma non dovrebbe neppure ritenere di avere il monopolio del riscatto dalle sofferenze dell’umanità, fondando questi assunti su una visione ancorata al potere temporale e definendo dogmaticamente gli scopi della vita umana.

Ecco, se la fede fosse in grado di denunciare i suoi conflitti di interesse e si acconciasse a fare spazio all’uomo dichiarandosene “compagna” e non “Madre Santa” o “Alleata”, allora gli esseri umani potrebbero forse imparare che nulla nella vita reale è mai veramente al riparo dall’incertezza e comprenderebbero l’importanza del senso della proporzione. Forse non sarebbero più affascinati dalla forza.

Tuttavia, per dirla con Simone Weil: “È dubbio che ciò sia prossimo ad accadere”.

Oggi, con la stessa coscienza che aveva mosso nell’immediato dopoguerra l’intera Europa a un sentimento di profonda commozione e compassione per Auschwitz, non si può restare in silenzio nel vedere chi è stato simbolo di sofferenza trasformarsi, in nome di Dio, in strumento di oppressione.

Non è qui in discussione una condanna degli israeliani, o peggio degli “ebrei”, per antisemitismo, perché il problema non sta nell’etnia o nella religione, ma in una vera e propria hybris della forza bruta a tal punto cieca da cancellare qualsiasi relazione di misura.

Quanto sta accadendo dal 7 ottobre 2023 non può allora passare agli atti della storia come una legittima risposta bensì come l’avvio di uno sterminio programmato.

Infine, l’orrore per quanto Hamas ha fatto e per questo sterminio in risposta (pulizia etnica? genocidio? i fatti spiegano comunque più delle parole)9,10, assieme alla pietà, alla disperazione e alla solidarietà per il popolo palestinese non riescono a tacitare una serie di interrogativi: dopo l’esperienza della Shoah e dopo quanto in ottanta anni si è detto e scritto in merito, con quale faccia ci presenteremo al tribunale della storia, o a quello di Dio, una volta cancellato il popolo palestinese? Come giustificheremo il nostro rimanere muti ora che la consapevolezza di quanto sta accadendo è diventata scandalosa connivenza? Che ne sarà di Israele, del suo grande patrimonio culturale e della storia millenaria dell’ebraismo dopo il suo suicidio, morale prima ancora che politico? Come faremo a imputare a Dio il silenzio se noi per primi tacciamo?

Note:

a Nel dicembre 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt, assieme ad altri intellettuali ebrei, sottoscrissero una lettera aperta pubblicata sul New York Times2 per lanciare un severo allarme: il partito Tnuat Haherut, guidato da Menachem Begin, rappresentava una minaccia per i principi democratici e adottava, secondo gli autori, ideologie e metodi simili a quelli del nazifascismo. Begin, prima della nascita dello Stato di Israele, aveva diretto l’Irgun, una milizia sionista responsabile di sanguinosi attentati, tra cui quello al King David Hotel e di crimini come il massacro di palestinesi al villaggio di Deir Yassin. Negli anni successivi, Begin avrebbe unito le forze con altri leader della destra israeliana, dando vita nel 1973 al Likud, partito destinato a esercitare un’influenza duratura sulla politica del Paese, fino a diventare il principale polo di governo con figure come Benjamin Netanyahu.

b Giosuè 1, 1-6. «Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè: “Mosè mio servo è morto; orsù, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso il paese che io dò loro, agli Israeliti. Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. Dal deserto e dal Libano fino al fiume grande, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittiti, fino al Mar Mediterraneo, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini. Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; non ti lascerò né ti abbandonerò. Sii coraggioso e forte, poiché tu dovrai mettere questo popolo in possesso della terra che ho giurato ai loro padri di dare loro”».

Bibliografia

1. Jonas H. Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica. Genova: Il Melangolo, 1989.

2. New Palestine Party. Visit of Menachem Begin and aims of political movement discussed. A letter to The New York Times. Saturday December 4, 1948 by Albert Einstein, Hannah Arendt, Sidney Hook, et al. Disponibile su: https://n9.cl/uzzqc1 [ultimo accesso 25 settembre 2025].

3. Basic-Law: Israel – The Nation State of the Jewish People (Originally Adopted In 5778-2018). Disponibile su: https://n9.cl/9wv1y [ultimo accesso 25 settembre 2025].

4. Levy G. La legge che dice la verità su Israele. Costituente Terra 2023; 25 ottobre. Disponibile su: https://n9.cl/08j35f [ultimo accesso 25 settembre 2025].

5. Lis J, Landau N. Israel passes controversial Jewish Nation-state bill after stormy debate. Haaretz 2018; 19 luglio. Disponibile su: https://n9.cl/vxry8v [ultimo accesso 25 settembre 2025].

6. Rugieri M. Auschwitz 75 anni dopo. Un viaggio tra Storia e Filosofia. Questione Civile 2020; 27 gennaio. Disponibile su: https://n9.cl/gvmvb [ultimo accesso 25 settembre 2025].

7. Trom D. Intervista a Yehudah Mirsky: Storia e attualità politica del sionismo religioso. K la Revue 2025; 10 luglio. Disponibile su: https://n9.cl/ngls41 [ultimo accesso 25 settembre 2025].

8. Segre VD. Le metamorfosi di Israele. Torino: Utet, 2008.

9. European Union – European Migration Network (EMN) – Punto di Contatto Nazionale per l’Italia, Dipartimento per le Libertà Civili e l’immigrazione – Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo del Ministero dell’Interno. Glossario. Disponibile su: https://n9.cl/lso6y [ultimo accesso 25 settembre 2025].

10. United Nation Office. Office of the Special Representative of the Secretary-General. Legal analysis of the conduct of Israel in Gaza pursuant to the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide: Human Rights Council Sixtieth session. A/HRC/60/CRP.3. 2025; 16 settembre. Disponibile su: https://n9.cl/husa4 [ultimo accesso 25 settembre 2025].