“Breve storia della antropologia forense”

a cura di Domenico Ribatti




L’antropologia forense è la branca della medicina legale e dell’antropologia fisica che applica le conoscenze dell’antropologia all’identificazione di resti umani e all’accertamento delle circostanze e cause di morte, soprattutto in ambito giudiziario.

Nel 1247, in Cina compare il primo testo di scienze forensi finora conosciuto redatto da un avvocato e investigatore di nome Sung Tzuh ed è intitolato “Hsi Yuan Chi Lu”, traducibile in “lo spazzare via i torti, le ingiustizie”. Questo testo presenta elementi di modernità, in particolar modo nella casistica riportata, in molti casi assimilabile a quella attuale; nel 1302, a Bologna viene eseguita la prima autopsia giudiziaria, espressamente richiesta dal podestà per chiarire un caso di sospetto avvelenamento. Nel 1776, fu effettuato uno dei primi confronti odontologici a fini identificativi.

La storia dell’antropologia forense è una disciplina recente, con radici nel XIX secolo, che si sviluppa con lo studio dei resti umani per identificare persone e determinare cause di morte in ambito giudiziario. Figure come P. Broca, che nel 1860 fondò la prima società antropologica, J.F. Blumenbach e W. King hanno fornito le basi per la comprensione della struttura delle ossa e la loro identificazione. L’antropologia forense moderna è nata negli Stati Uniti e si è diffusa a livello internazionale, sviluppando i metodi di analisi scientifica dei resti scheletrici. La disciplina affonda le sue radici nello studio dei resti umani scheletrici, con importanti sviluppi storici legati all’archeologia e alla medicina legale, concentrandosi sull’antropologia scheletrica e sulla bioarcheologia.

La storia dell’antropologia forense è segnata dall’evoluzione di tecniche per interpretare i segni sulle ossa che rivelano informazioni sulla vita e sulla morte degli individui, fornendo elementi chiave per casi di cronaca e per il recupero di identità perdute. Gli antropologi forensi sfruttano i principi biologici alla base della crescita, dello sviluppo, della degenerazione e della diversità scheletrica per ricavare numerose informazioni come ad esempio sesso, età alla morte. Queste componenti vanno a definire il cosiddetto profilo biologico dell’individuo.

Gli antropologi forensi partecipano al recupero dei resti umani e all’identificazione delle caratteristiche peculiari della persona a cui appartiene lo scheletro come la razza, il sesso, la statura e l’età, applicando le tecniche scientifiche standard dell’antropologia fisica. Essi lavorano spesso in collaborazione con anatomopatologi, medici legali, investigatori e criminologi forensi, al fine d’identificare la vittima, trovare nuovi elementi comprovanti la partecipazione di terzi, determinare l’epoca della morte anche attraverso l’ausilio di altre discipline forensi come la botanica forense.

A differenza del medico legale, l’antropologo forense studia e si focalizza su corpi ormai in avanzato stadio di decomposizione e dunque molto difficili da identificare. Il suo contributo non è importante soltanto per l’identificazione ma anche per comprendere le cause del decesso e risolvere casi giudiziari difficili.

Il lavoro dell’antropologo forense è suddiviso in varie fasi, partendo dall’analisi dei resti sul campo fino a giungere a quella che è l’analisi in laboratorio. Questa fase è quella più importante, in quanto è proprio in laboratorio che l’antropologo interviene direttamente sui resti ossei del soggetto occupandosi prima della pulitura di questi, del riassemblaggio del materiale rinvenuto e infine di uno studio più approfondito dei resti e di ricavare informazioni utili a ricostruire la scena del delitto. In laboratorio l’antropologo si concentra sullo studio dei capelli e del materiale pilifero, nonché sulla analisi di insetti, piante e impronte ricavate sul luogo del ritrovamento, cercando così di quantificare il tempo trascorso dalla morte.

Lo studio sui resti umani può rivelare moltissime informazioni. I segni su un corpo sono spesso in grado di spiegare le ragioni di un decesso, possono restituire un’identità, ma possono rivelare molto anche sulle condizioni di vita di un essere umano (se vittima di maltrattamenti, torture, sopraffazioni).

Gli autori descrivono anche casi antropologico-forensi relativi a personaggi storici, come Mitridate VI del Ponto, Giulio Cesare, Lollia Paolina, Carlo il Temerario, Maria Antonietta, Napoleone IV e Adolf Hitler.