“La medicina d’emergenza nelle grandi aree metropolitane”

a cura di Stefano Cagliano




«La mancanza di casa è un problema più complesso della semplice mancanza di un posto dove vivere. Le persone senza fissa dimora spesso soffrono di cattiva salute e muoiono prematuramente a causa del loro limitato accesso all’assistenza sanitaria, e sono anche private dei diritti umani e sociali fondamentali»1. E il fatto è confermato l’anno successivo, il 2023, da un editoriale di eClinicalMedicine che premetteva che «salute e senzatetto sono indissolubilmente legati» e proseguiva spiegando che «le persone senza fissa dimora corrono un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche»2.

Gli homelessness sono solo un esempio degli “altri”, delle persone innumerevoli, spesso dalla vita difficile, che transitano in Pronto soccorso o in Emergenza lasciando poi questi luoghi come se non ci fossero mai state. Anche in Italia da qualche anno, in particolare nelle grandi città, urbanizzare ha significato mettere in qualche modo in relazione le “altre” persone con gli italiani. Questo è un piccolo-grande problema, anche in un’emergenza dove si osserva quel che gli altri non vedono perché non li riguarda.

Sintesi tragicamente felice di quanto è necessario, La medicina d’emergenza nelle grandi aree metropolitane propone una prassi emergenziale inedita, con l’orecchio attento a malati che parlano di problemi nuovi e l’occhio meticoloso nel seguire i tanti che non parlano ma bisognosi di una soluzione. Dal libro emerge una prassi diversa della medicina. I curatori (Mark Curato, Kaushal Shah, Christopher Reisig) si rivolgono agli operatori dell’emergenza con un nuovo modo d’intendere le cose del mondo, comprensivo di tante novità con cui occorre fare i conti senza dimenticare il resto.

Per confezionare libri del genere occorrono idee chiare. «Si possono trovare numerose “patologie” legate ad aspetti sociali oltre che fisiologici in grado di determinare particolari minacce sul piano della salute e che possono diffondersi rapidamente» scrivono i curatori nella Prefazione. «Il ruolo del personale sanitario di medicina di emergenza-urgenza – aggiungono – è sviluppare e aggiornare le proprie competenze relative alla diagnosi e al trattamento della fase acuta di questo gruppo di patologie». Ma per far bene, precisano, occorre aggiornarsi di continuo sulle malattie più frequenti come pure informare le proprie competenze sulle malattie rare.

Il volume, di 324 pagine, ha tre curatori, 37 autori originali ed è articolato in 15 capitoli (Assistenza e cura alle persone senza [fissa] dimora, Disturbo comportamentale acuto, Trauma penetrante, Consumo di sostanze, Tratta di esseri umani, Viaggiatori e migranti, HIV, Aids e tubercolosi, Asma, Comunicazioni interculturale, Assistenza alle persone con LGBTQIA+, Maltrattamento su minori, Anziani e fragili, Eventi di ordine pubblico: assistenza sanitaria…, Terrorismo e maxi-emergenze, Overcrowding, triage e limitazioni delle cure). Ecco perché assume un significato diverso, quasi macabro, la frase: «La verità, banale ma innegabile, è che il medico di emergenza dev’essere pronto a tutto», cosa che nei vari reparti non è preparato a fare.

I tre curatori lavorano alla Weill Cornell Medicine di New York, in qualche modo legata all’istituzione-madre Cornell University e affiliata alla Houston Methodist. Sotto la regia editoriale di Bianca Maria Sagone, all’edizione italiana, curata da Luca Carenzo con il supporto di Cesare Mercalli, hanno collaborato 18 persone. Nel testo, scrive Carenzo, «oltre alla traduzione dei testi originali, è stato effettuato un grandissimo lavoro di adattamento per aggiungere ai riferimenti alla realtà americana anche quelli epidemiologici, sociali, culturali, clinici, normativi e legali strettamente inerenti alla realtà nazionale». Ma, al di là della traduzione, oltre all’impianto e alla scelta dei temi, mi ha colpito la chiarezza espositiva, asciutta ma mai umanamente distante.

Il volume – scrive ancora Carenzo – «si fonda sulla consapevolezza che, nelle realtà urbane, la medicina d’urgenza funziona spesso come “porta d’ingresso” per una molteplicità di pazienti che per ragioni diverse, non riescono o non desiderano accedere ad altre strutture sanitarie». E tutto questo in Italia, aggiunge, «fa del medico d’urgenza un osservatore privilegiato di processi sociali e clinici che, senza una preparazione adeguata, rischierebbero di passare inosservati».

Da mesi la dottoressa Solange Fugger, ormai famosa, parla di casi clinici in emergenza-urgenza sul profilo Tik Tok a milioni di follower. Chissà se avrebbe la stessa popolarità se parlasse di homelessness bisognosi, di minori maltrattati, di persone LGBTQIA+ che faticano quotidianamente a essere prese in carico, insomma di persone non gradite ai più. In altre parole, se affrontasse i problemi dell’emergenza-urgenza allo stesso modo del libro di cui stiamo parlando. Scelte diverse che riflettono un diverso stile, culturale naturalmente.

Sintesi tragicamente felice di quanto necessario, La medicina d’emergenza nelle grandi aree metropolitane oggi propone per un futuro diverso una prassi emergenziale non selettiva, gestita da persone attente a un cambiamento culturale.

Bibliografia

1. Bedmar MA, Bennasar-Veny M, Artigas-Lelong B, et al. Health and access to healthcare in homeless people. Protocol for a mixed-methods study. Medicine 2022; 101: e28816.

2. Schiffler T, Carmichael C, Smith L, et al. Access to cancer preventive care and program considerations for people experiencing homelessness across four European countries: an exploratory qualitative study. EClinicalMedicine 2023; 62: 102095.