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La giustizia e la salute

Amartya Sen è una risorsa per l’umanità e il suo ultimo libro viene a confermarcelo (The idea of justice. Pag. 468. Allen Lane; sterline 25). Nobel dell’economia nel 1998 per i suoi studi sulla fame nel mondo, così sintetizza l’idea-portante: «Una democrazia realizzata, cioè una nazione con libere elezioni ed altrettanto libera dialettica politica, un paese in cui sia assicurata a ciascuno libertà di pensiero, di espressione e di parola non avrà mai a soffrire carestie e disumane ineguaglianze, anche se in condizioni economiche non primarie...». È l’affermazione di una suprema idea di giustizia, sintesi di una visione alta della politica; corollario di un protagonismo intellettuale parimenti tributario del sapere scientifico (l’economia) e degli affetti del cuore (la filosofia). Sen ha dedicato una vita a sfidare la pervasiva, diffusa, presenza planetaria dell’ingiustizia e questo recente scritto si presenta come una sintesi del suo impegno. Comincia con una rassegna critica delle teorie sulla giustizia attualmente accreditate (prima fra tutte quella che – secondo John Rawls – assimila equità e giustizia); Sen vi si accosta con rispetto prudente: con occhio realistico, desideroso piuttosto di denunciare concrete situazioni di ingiustizia invece che definire in astratto, a rischio di utopismo, orizzonti di perfetto equilibrio. Ben istruttiva – del resto – salta agli occhi la diversità del titolo dei due saggi: “Teoria delle giustizia” quello di Rawls, “Idea di giustizia” quello di Sen. A quest’ultimo sta a cuore non soltanto la dottrina, bensì l’inveramento del rapporto di giustizia nella continuità quotidiana: tra le persone “in carne ed ossa”. Così lo spiega al lettore: «The importance of human lives, experiences and realizations cannot be supplanted by information about institutions that exist and the rules that operate. Institutions and rules are, of course, very important in influencing what happens, and they are part and parcel of the actual world as well, but the realized actuality goes well beyond the organizational picture, and includes the lives that people manage – or do not manage – to live». Ove risuona l’eco della ultramillenaria sentenza di Ulpiano: « Justitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuiuque tribuendi».
Fondamento di tale pragmatica sfida è la fiducia nel confronto; convinzione che, a sua volta, presuppone il rifiuto del pensiero unico (o unificante) e, al contrario, accredita la virtù intrinseca del libero dibattito, della concertazione che non si esaurisce nel diritto del singolo, bensì si amplia in una dimensione di possibilità.



“The idea of justice” è anche un tributo di Sen ad Adam Smith. Autore spesso impropriamente citato – scrive il nostro – anche a causa di quella extrapolazione tanto frequente quanto fuorviante della sua celebre affermazione: «Non è alla benevolenza del macellaio, del fornaio o del birraio che si deve la nostra sopravvivenza quotidiana, bensì al loro interesse» (“The wealth of nations”). Ove è stato evidente ed ancora persiste – egli afferma – lo strumentale travisamento utilitaristico di una visione liberatrice della mutualità macroeconomica. E Sen fa seguire, a conferma, una icastica citazione dello stesso Adam Smith: «In solitude, we are apt to feel too strongly whatever relates to ourselves... The conversation of a friend brings us to a better, that of a stranger to a still better temper».
A questo punto, il lettore non può non identificarsi con lo stesso Sen quale “perfetto modello dell’altro” («the stranger»), capace di valorizzare, incarnandola, una salvifica sintesi culturale tra le grandi civiltà del nostro mondo.
L’importanza del libro per un lettore medico sta nel corollario – ancora una volta documentato concretamente – secondo cui l’impegno per una reale giustizia nelle nostre società è determinante motore di sanità pubblica. Una conferma, se mai ce ne fosse bisogno, è nelle Conclusioni del Rapporto WHO 2008 sullo stato della salute nel mondo: «Primary Health Care: now more than ever», conclusioni che denunciano la diseguaglianza e la discriminazione delle risorse quali cause ingravescenti di malessere e patologie. Denuncia confermata nello studio di Sanders et al. (J Epidemiol & Community H, doi: 10.1136/jech. 2009. 095 125) in cui viene documentato come, nell’ultimo ventennio, uno degli ostacoli più significativi all’implementazione dello stato di salute del globo sia riconducibile al diffondersi delle politiche ultra-liberistiche del mercato. Lapidaria la conclusione di Sen: «It does make a difference whether we look merely at means of living rather than directly at the lives people manage to have». Sono parole che vanno assai al di là di una sfida dottrinale economica e che investono, piuttosto, al più alto livello, la coscienza di ciascun uomo giusto.

Caterina Roghi