Sincope: problemi attuali

La sincope (S) è definita come manifestazione clinica di una temporanea interruzione della perfusione globale cerebrale, che dà luogo a improvvisa e transitoria perdita di coscienza e di tono posturale, cui fa seguito una spontanea regressione (Maggi R, Corallo S, Brignole M. Prospettive di trattamento delle sindromi sincopali. Recenti Prog Med 2006; 97: 369).
La S presenta molti problemi di diagnosi e di trattamento, manifestandosi con un ampio spettro di possibili cause, da condizioni benigne a gravi e mortali ed è a motivo di questa ampia variabilità di cause che di fronte a un paziente con S sono eseguite numerose indagini diagnostiche, che tuttavia non sempre chiariscono l’etiologia.



Nella valutazione di una S sono stati proposti vari schemi, con vari algoritmi, che, pur consentendo di accrescere la percentuale di identificazione dell’etiologia, non hanno ridotto il ricorso a prove spesso di scarso rendimento. In genere, gli studi su questi problemi hanno esaminato l’utilità di alcuni esami, come misura degli enzimi cardiaci, elettroencefalografia (EEG), tomografia computerizzata (TC) del cranio, ecografia carotidea, elettrocardiografia (ECG), ecocardiografia, risonanza magnetica nucleare, radiografia del torace, etc. Al momento attuale non è definitivamente stabilita l’efficacia di queste prove.
Uno studio clinico è stato recentemente condotto per determinare la frequenza delle prove eseguite per valutare pazienti anziani con S e per stabilire se queste prove sono state utili per la diagnosi, la prognosi e il trattamento (Mendu ML, Mc Avay G, Lampert R, et al. Yield of diagnostic tests in evaluating syncopal episodes in older patients. Arch Intern Med 2009; 169: 1299).
Gli autori si sono avvalsi di un diffuso sistema di punteggio (San Francisco Syncope Rule: SFSR) basato sulle caratteristiche cliniche dei pazienti con S (Quinn J. Mc Dermott D, Stiel I, et al. Prospective validation of the San Francisco Syncope Rule to predict patients with serious outcome. Ann Emerg Med 2006; 47: 448).
Sono stati studiati 1920 pazienti di età superiore a 65 anni, per complessivi 2106 ricoveri ospedalieri per un episodio sincopale.
Gli autori hanno considerato che, per soddisfare i criteri SFSR, i pazienti debbono aver presentato, al momento del ricovero, un’anamnesi di insufficienza cardiaca congestizia, un valore ematocrito <30%, anomalie dell’ECG, difficoltà respiratoria o pressione sistolica <90 mmHg.
Gli autori hanno osservato che gli esami cardiologici e neurologici sono quelli più frequentemente eseguiti nella valutazione di anziani con S, nonostante, sottolineano, il “minimo” effetto sulla diagnosi e sul trattamento. Nei pochi casi in cui gli esami neurologici si sono dimostrati utili, le condizioni neurologiche dei pazienti erano già sospettate in base all’anamnesi e all’esame obiettivo; altrettanto è stato rilevato nei confronti degli esami cardiologici. Per contro, le registrazioni delle variazioni posturali della pressione arteriosa hanno mostrato la maggiore utilità, ma sono state eseguite soltanto in circa un terzo dei casi. A questo proposito gli autori ricordano che gli episodi vasovagali e l’ipotensione ortostatica sono le etiologie più frequentemente riscontrate nei pazienti con S. In queste situazioni l’applicazione dei criteri SFSR ha, nell’esperienza degli autori, notevolmente accresciuto l’utilità delle prove diagnostiche, senza compromettere l’identificazione dei pazienti particolarmente gravi.
Per quanto riguarda EEG, TC e misura degli enzimi cardiaci, gli autori hanno rilevato che questi esami hanno dimostrato minore utilità, come del resto segnalato da altri autori. In definitiva gli autori ritengono che l’etiologia di un episodio sincopale possa essere stabilita, nella maggioranza dei casi, in base ai dati clinici e che la valutazione clinica di una S debba basarsi sulla registrazione delle variazioni posturali della pressione arteriosa, sull’anamnesi, sull’esame obiettivo e sull’ECG.

Negli ultimi anni un crescente interesse è stato riservato agli episodi di sincope che si verificano in alcuni soggetti mentre guidano l’auto e che ovviamente implicano problemi di sicurezza. In un recente studio controllato sono stati esaminati, dal 1 gennaio 1996 al 31 dicembre 1998, 3877 pazienti con sincope allo scopo di: 1) identificare le caratteristiche cliniche dei soggetti che hanno avuto un episodio sincopale mentre erano alla guida di un auto e le cause di questi episodi, 2) confrontare queste caratteristiche con quelle dei pazienti con sincope non verificatasi durante la guida e rintracciare gli eventuali fattori predittivi della sincope occorsa durante la guida, 3) studiare il decorso di questi episodi, con particolare riguardo alle ricorrenze e 4) trarre da queste osservazioni informazioni utili a migliorare la sicurezza sia dei pazienti sia del pubblico ( Sorajja D, Nesbitt GC, Hodge DO, et al. Syncope while driving. Clinical characteristics, causes and prognosis. Circulation 2009; 120: 928).
Su 3877 pazienti, gli autori hanno osservato 381 episodi sincopali verificatosi alla guida dell’auto (9,8%); di questi, 72 (18,9%) hanno avuto una ricorrenza entro 3,85 anni in media; il rischio di ricorrenze a 6 mesi dal primo episodio è stato del 12,1%, a 12 mesi del 14,1%, ed è stato simile a quello dei soggetti con sincope non alla guida. Gli autori rilevano che il basso rischio di ricorrenze di sincope durante la guida entro 6 mesi dall’episodio iniziale sembrerebbe in contrasto con quanto segnalato in recenti linee guida che consigliano di non riprendere la guida se non dopo 6 mesi dal primo episodio.
Gli autori riferiscono che nei pazienti studiati la causa più frequente di sincope durante la guida è stata neurogena (vasovagale), seguita da cause cardiache (aritmie ventricolari e sopraventricolari); un’intolleranza ortostatica è stata causa di sincope soltanto nel 4,7% dei casi. Nel 23% casi non è stato possibile identificare la causa della sincope; inoltre, gli episodi definiti dagli autori “syncope mimic”, perché provocati da perdita della coscienza non dovuta a ipoperfusione cerebrale (convulsioni, traumi, disturbi metabolici, alcol o farmaci), sono stati più frequenti nei pazienti che non erano alla guida di un’auto, mentre per le altre cause non vi sono differenze tra i due gruppi. L’elevata prevalenza di sincope neurogena verificatasi alla guida, cioè in posizione seduta, induce ad approfondire lo studio di questi meccanismi. Si potrebbe pensare che la posizione seduta, in assenza di tensione muscolare, specialmente in condizioni di disidratazione o di deplezione vascolare e congestione venosa possa predisporre a sincope vasovagale. L’ambiente surriscaldato all’interno dell’auto può causare una vasodilatazione cutanea predisponendo alla sincope, con l’eventuale aggravante di una stimolazione emotiva; alcuni fattori sono favorenti: sesso maschile, malattie cardiovascolari, ictus ed età più giovane; la presenza di quest’ultimo fattore, in contrasto con la frequenza negli anziani della sindrome non in corso di guida, può spiegarsi, secondo gli autori, con la più giovane età della popolazione generale dei guidatori.
Nel concludere, gli AA. ritengono che le caratteristiche cliniche degli episodi sincopali e le relative ricorrenze siano simili tra i due gruppi di pazienti, e che la sola occorrenza durante la guida non debba modificare la diagnosi e il trattamento di un episodio sincopale.




Nel commentare questi risultati, Curtis ed Epstein (Curtis AB, Epstein AE. Syncope while driving. How safe is safe? Circulation 2009; 120: 921) si domandano se una generale proibizione di guidare dopo un “serio” episodio sincopale sia corretta e rispondono che, almeno inizialmente, quando una diagnosi è posta e il trattamento non è ancora iniziato, è prudente la proibizione della guida. Tuttavia gli autori riconoscono che le attuali raccomandazioni di non guidare per 6 mesi dall’evento appaiono arbitrarie, sebbene sia stata dimostrata la più elevata possibilità percentuale di ricorrenze di una sincope nei primi 3 mesi dopo l’episodio e concludono che probabilmente l’attuale consiglio di non guidare per 6 mesi rappresenti il migliore compromesso in una società che dipende in così larga misura dal trasporto privato.

Una nuova classificazione della S nei pazienti ricoverati nei dipartimenti di emergenza ospedalieri è stata proposta sulla base dello studio di una casistica di 550 soggetti (Reed MJ, Newby DE, Coull AJ et al. The ROSE (Risk stratification of syncope in the emergency department) study. J Am Coll Cardiol 2010; 55: 713).
Questa classificazione è basata su 7 variabili facilmente ottenibili all’ingresso del paziente in ospedale: 1) livello di peptide natriuretico cerebrale (BNP) ≥300 pg/mL, 2) bradicardia ≤50 (sia nel dipartimento di emergenza che prima del ricovero), 3) esame rettale mostrante sangue occulto nelle feci (qualora sia sospettata un’emorragia gastrointestinale), 4) anemia (emoglobina ≤9 gL), 5) dolore toracico associato alla manifestazione sincopale, 6) elettrocardiogramma (ECG) che mostra un onda Q non in 3 a derivazione e 7) saturazione di ossigeno ≤94% in aria ambiente.
Secondo gli autori, il rilievo di qualcuna di queste variabili consente di sospettare e classificare una sincope. Nella loro esperienza questo metodo consente di evitare 149 (sic!) ricoveri non necessari a spese di “perdere” 4 pazienti con quadro clinico grave per ogni 1000 pazienti che si presentano con quadro sincopale, senza contare il notevole risparmio di costi. Gli autori, tuttavia, riconoscono che questi loro dati debbono essere confermati da ulteriori studi.
Nell’interpretare il risultati ottenuti gli autori rilevano che la S rappresenta un importante problema prevalentemente cardiologico, essendo stato confermato che le cause cardiache della S sono le più gravi e sono associate a più gravi esiti. Senonché ricordano che, al momento attuale, non è chiaro se un paziente con S debba essere ricoverato in dipartimento di emergenza o in reparto cardiologico.
Gli autori rendono noto di aver fatto uso, nella classificazione della S, della misura del livello sierico di BNP, quale biomarcatore predittivo, in quanto recenti studi hanno confermato la sua utilità quale marcatore di rischio in diverse condizioni cardiovascolari (Doust JA, Pietrzak E, Dobson A, et al. How well does B-type natriuretic peptide predict death and cardiac events in patients with heart failure: systematic review. BMJ 2005; 330: 625). Una limitazione dell’uso del BNP nella classificazione della S può essere costituita dalla possibilità di identificare pazienti di età più avanzata e che hanno presentato manifestazioni di patologie strutturali cardiache. Comunque ritengono che la misura del livello di BNP sia un marcatore più specifico della storia clinica e dell’esame obiettivo.

Nel commentare questo nuovo criterio classificativo, Benditt e Can ritengono che il metodo ROSE possa rendere più semplice la valutazione del rischio nei pazienti con S e che si presentano al dipartimento di emergenza (Benditt DG, Can I. Initial evaluation of “syncope and collapse”. The need for a risk stratification consensus. Am J Coll Cardiol 2010; 55: 722). Sottolineano che in questo metodo sono valutati, come marcatori di rischio, il livello sierico di BNP, l’esame rettale per l’identificazione di sangue nelle feci, la saturazione di ossigeno e la concentrazione di emoglobina. Nonostante ciò, secondo gli autori, il metodo ROSE non tiene conto della consapevolezza del paziente di trovarsi a rischio e della possibilità di farvi fronte con il ricovero in ospedale. Questi elementi della valutazione del rischio sono utili, secondo gli autori, perché la S, sebbene sia spesso una condizione relativamente benigna dal punto di vista della prospettiva di obitus, è tuttavia un’importante causa di danno dovuto alla perdita del tono posturale e questi elementi debbono far parte della valutazione del paziente nel dipartimento di emergenza. Gli autori ritengono che, dato il notevole numero di metodi recentemente proposti per la valutazione del rischio nei pazienti con S, sia ormai maturo il tempo per giungere a un “consenso” sul metodo da seguire, consenso derivato da ampi studi multicentrici su questo problema, al fine soprattutto di distinguere chiaramente i soggetti che richiedono immediato ricovero in ospedale da quelli con transitoria perdita di coscienza che possono essere efficacemente assistiti in centri sanitari extra-ospedalieri.
Benditt e Can concludono il loro commento proponendo i punti essenziali che dovrebbero costituire le linee guida della valutazione dei pazienti con sincope.
1) Un’accurata anamnesi, comprendente la testimonianza del paziente, e un esame obiettivo che comprenda il massaggio del seno carotideo negli anziani (>55 anni) eseguito a paziente supino e in posizione eretta, allo scopo di evidenziare sottostanti alterazioni cardiovascolari, precedente infarto o ischemia e/o insufficienza cardiaca.
2) Valutazione delle variazioni posturali della pressione.
3) ECG con 12 derivazioni, monitorandolo durante il periodo di assistenza nel dipartimento di emergenza, al fine di identificare eventuali alterazioni del sistema di conduzione o dei canali ionici.
4) Ecocardiogramma, se anamnesi ed esame obiettivo indicano alterazioni cardiache strutturali di sospettata gravità o in caso di sospetta ipertensione polmonare.
5) “Possibilmente” aggiungere gli esami di laboratorio proposti nel metodo ROSE (loc cit).