Recenti studi sul trattamento della sepsi

Sepsi grave e shock settico sono le cause più frequenti di obitus in pazienti ricoverati in ospedale, comportando una mortalità tra il 20 e il 54%. Una precoce e adeguata terapia antibiotica, i corticosteroidi, l’uso di drotrecogin (una forma ricombinante di proteina C umana attivata), uno stretto controllo glicemico e una strategia di protezione del polmone sono ritenuti utili per ottenere la sopravvivenza dei pazienti e costituiscono gli elementi essenziali delle linee guida della Surviving Sepsis Campaign (SSC) (Dellinger RP, Levy MM, Carlet JM et al. Surviving Sepsis Campaign: international guidelines for management of severe sepsis and septic shock: 2008. Crit Care Med 2008; 36: 296).
La SSC, al fine di migliorare il trattamento della sepsi, consiglia un primo gruppo di provvedimenti di riabilitazione da prendere entro 6 ore e consistente in: misura del livello sierico di lattato, prelievo immediato di sangue per coltura e somministrazione di antibiotici, ed un secondo gruppo, da assumere nelle 24 ore, comprendente uno stretto controllo della glicemia e della pressione arteriosa e la determinazione della necessità di corticosteroidi o di drotrecogin alfa attivata.
Tuttavia, in conseguenza di alcuni risultati negativi di recenti studi clinici, su questi problemi sono sorte alcune controversie.
È stata analizzata l’influenza del trattamento della sepsi sulla mortalità ospedaliera (Ferrer R, Artigas A, Suarez D, et al. Effectiveness of treatments for severe sepsis. A prospective, multicenter, observational study. Am J Respir Crit Care Med 2009; 180: 861).
Gli autori hanno studiato 2796 pazienti accolti per sepsi in 77 Unità di terapia intensiva in Spagna, considerando scopo del trattamento il raggiungimento di: 1) pressione venosa centrale (PVC) di almeno 8 mmHg in condizioni di persistente ipotensione, nonostante terapia risuscitativa con liquidi e/o livello sierico di lattato superiore a 36 mg/dL, 2) saturazione venosa centrale di ossigeno (ScvO2) ≥70% nelle condizioni sopradette, 3) glicemia uguale o superiore al limite inferiore del normale, ma inferiore a 150 mg/dL e 4) plateau di pressione inspiratoria inferiore a 30 cm H2O nei pazienti in ventilazione meccanica. Il trattamento è consistito in: 1) precoce somministrazione di antibiotici a largo spettro, 2) liquidi: almeno 20 mL/kg di cristalloidi o di equivalenti colloidali in condizioni di ipotensione e/o lattacidemia > 36 mg/dL, 3) basse dosi di corticosteroidi in condizioni di ipotensione persistente nonostante terapia risuscitativa con liquidi e/o lattacidemia > 36 mg/dL e 4) drotrecogin alfa attivata in condizioni di insufficienza multiorgano. La mortalità intraospedaliera è stata considerata punto di riferimento primario.
È stato osservato che l’uso di antibiotici a largo spettro e di drotrecogin alfa attivata (due dei trattamenti consigliati dalla SSC) è associato a ridotto rischio di obitus.
Per quanto concerne l’uso precoce di antibiotici a largo spettro, pur avendone rilevato l’effetto positivo sulla mortalità, gli autori osservano di non avere dati sull’adeguatezza di un trattamento antibiotico empirico e ritengono che probabilmente questa terapia avrebbe avuto un effetto più evidente se condotta con criteri di specificità.
Circa l’uso di drotrecogin alfa attivata nei pazienti con insufficienza multiorgano, è stato osservato un effetto positivo sul rischio di mortalità; tuttavia l’indicazione di questo farmaco nella sepsi è oggetto di controversie e non potendo escludersi varie comorbilità nei pazienti studiati, sono possibili errori di valutazione.
Sebbene la somministrazione dei liquidi sia consigliata nella sepsi (Dellinger et al, loc cit), agli autori non è stato possibile osservare un effetto positivo; probabilmente ciò è da mettersi in rapporto con la gravità dei pazienti esaminati, molti dei quali erano in condizioni di shock settico che, come noto, è caratterizzato da scarsa risposta ai liquidi.
In questo studio non è stata rilevata correlazione tra uso di basse dosi di corticosteroidi e shock settico e mortalità, contrariamente a quanto riferito da altri autori (Annane D, Bellissant E, Bollaert PE, et al. Corticosteroids in the treatment of severe sepsis and septic shock in adults: a systematic review. JAMA 2009; 301: 2362).



Gli autori riconoscono che il loro studio ha carattere osservazionale e pertanto non è possibile escludere che i risultati ottenuti siano confusi dalla eterogeneità dei singoli casi; ritengono tuttavia che la tempestiva somministrazione di antibiotici a largo spettro e, nei pazienti più gravi, di drotrecogin alfa attivata possa ridurre la mortalità per sepsi.
In una recente sintesi dei risultati ottenuti della SSC, è stata valutata l’influenza dei vari trattamenti sulla prognosi della sepsi (Levy MM, Dellinger RF, Townsend SR. The Surviving Sepsis Campaign: results of an international guideline-based performance improvemente program targeting severe sepsis. Intensive Care Med 2010; 36: 222).
È stato osservato che il tempestivo uso di antibiotici a largo spettro, preceduto dall’emocoltura, e il mantenimento di un controllo glicemico sono stati associati a riduzione della mortalità ospedaliera. Peraltro il controllo della lattacidemia non ha migliorato il decorso clinico dei pazienti. Per quanto riguarda l’uso di drotrecogin alfa attivata nelle prime 24 ore, questo è stato associato a migliorata sopravvivenza nei pazienti in shock.
Un miglioramento è stato rilevato anche nei pazienti richiedenti ventilazione meccanica, che hanno raggiunto un plateau di pressione. Inoltre è stato segnalato che nei pazienti con shock settico non vi è stata associazione tra mortalità e uso di corticosteroidi a bassa dose e raggiungimento di pressione venosa centrale ≥ 8 mmHg o ScvO2 superiore al 70%.



Viene rilevato che i vari provvedimenti consigliati dalla SSC possono non uniformemente conseguire gli stessi risultati nei pazienti con sepsi, perché essi fanno riferimento a molteplici valori fisiologici limite. Inoltre, l’associazione di queste terapie che hanno diversi bersagli, con diversi aspetti prognostici, non implica necessariamente una relazione causale tra singolo provvedimento ed effetto; infatti l’insuccesso nel raggiungere un determinato obiettivo può essere indice di maggiore gravità. Gli autori ritengono comunque che i risultati della SSC dimostrino che l’uso di molteplici provvedimenti determinano in questi pazienti una significativa riduzione della mortalità ospedaliera per sepsi.