Aderenza alla politerapia cronica
nella prevenzione secondaria dell’infarto: limiti e prospettive

Mirko Di Martino1, Adele Lallo1, Marina Davoli1, Danilo Fusco1

1Dipartimento di Epidemiologia del SSR - Regione Lazio, ASL Roma 1.

Pervenuto il 19 novembre 2018.

Riassunto. L’infarto miocardico acuto aumenta notevolmente il rischio di morbilità e mortalità. Le linee-guida raccomandano il trattamento combinato e continuativo con quattro farmaci evidence-based: antiaggreganti, betabloccanti, ACE-inibitori/sartani e statine. Queste raccomandazioni sono supportate da solide evidenze scientifiche. Tuttavia, studi osservazionali hanno documentato una ridotta aderenza alla politerapia cronica. In questo studio, condotto in tre regioni italiane, Lazio, Toscana e Sicilia, sono stati analizzati circa 52.000 pazienti al primo episodio di infarto. L’aderenza alla politerapia cronica variava dal 63% nella regione Lazio al 27% nella regione Sicilia. Più del 75% dei pazienti presentava almeno una patologia cronica concomitante. La presenza di patologie croniche rappresentava una delle principali barriere all’aderenza al trattamento. I pazienti multicronici con pregresso infarto presentano un’elevata complessità assistenziale. Tuttavia, ricevono ancora un’assistenza frammentata, fornita da molteplici provider che non interagiscono tra loro. Quando il paziente viene “de-strutturato” nelle singole patologie da cui è affetto, aumenta il rischio che venga esposto a un numero eccessivo di trattamenti farmacologici. Questo fenomeno, da un lato, riduce l’aderenza ai trattamenti e, dall’altro, può generare interazioni nocive tra i diversi farmaci. Sarebbe auspicabile istituire sul territorio una rete di team multidisciplinari, volti alla valutazione globale del paziente e alla sua continuità assistenziale.

Adherence to chronic polytherapy in secondary prevention of myocardial infarction: limits and perspectives.

Summary. Patients who have had an acute myocardial infarction (MI) are at increased risk of mortality and morbidity. International guidelines agree on the use of combination of the following drugs: platelet antiplatelets, β-blockers, ACEI⁄ARBs and statins. The benefits of chronic polytherapy in reducing cardiovascular disease have been clearly shown. However, observational studies reported poor adherence to chronic polytherapy. We identified about 52,000 patients discharged from hospital with a first MI diagnosis from three Italian regions: Lazio, Toscana and Sicilia. Adherence to chronic poly-therapy in the two years after hospital discharge ranged from 63% in the Lazio region to 27% in the Sicilia region. More than 75 percent of MI patients had chronic concomitant diseases. Chronic diseases played a major role among barriers to adherence. MI patients with multimorbidity have complex health needs but, due to the current traditional disease-oriented approach, they face a highly fragmented form of care that leads to incomplete, inefficient, ineffective and possibly harmful clinical interventions, and are likely to receive complex drug regimens, which increase the risk of inappropriate prescribing, drug-drug interactions, and poor adherence. In order to address patient-specific needs, a network of multidisciplinary teams should be implemented, avoiding fragmentation and ensuring continuity of care.

In Italia, l’infarto miocardico acuto (IMA) costituisce la principale causa di morbilità e mortalità. Con l’invecchiamento della popolazione, i soggetti interessati da questa patologia sono destinati ad aumentare. Le linee-guida nazionali e internazionali per la prevenzione secondaria dell’IMA raccomandano il trattamento combinato e continuativo con quattro farmaci evidence-based: antiaggreganti, betabloccanti, ACE-inibitori/sartani e statine1-3. Queste raccomandazioni sono supportate da solide evidenze scientifiche, molte delle quali derivano da studi condotti nella reale pratica clinica. Tra questi, uno studio condotto in Italia ha dimostrato che l’assunzione contemporanea e cronica dei quattro farmaci evidence-based riduce il rischio di mortalità del 65% e il rischio di successivi infarti del 77%4. I risultati sono in linea con una vasta letteratura internazionale. Tuttavia, numerosi studi osservazionali hanno documentato una ridotta aderenza alla politerapia cronica5,6. Questo fenomeno è stato approfondito in una recente ricerca condotta in tre regioni italiane: Lazio, Toscana e Sicilia. Complessivamente, sono stati analizzati 51.745 pazienti al primo episodio di infarto. I risultati hanno evidenziato che, nella regione Lazio, solo il 63% dei pazienti risultava aderente alla politerapia cronica nei due anni successivi alla dimissione ospedaliera. In Toscana la stessa proporzione non raggiungeva il 59% mentre in Sicilia la percentuale era notevolmente inferiore, attestandosi intorno al 27%. Questo dato è ancora più allarmante se si considera che i ricercatori hanno considerato “aderenti” alla politerapia anche i pazienti che assumevano correttamente soltanto tre dei quattro farmaci raccomandati. Tra le quattro terapie evidence-based, i farmaci più problematici in termini di aderenza al trattamento erano i betabloccanti.




Lo studio ha mostrato in maniera molto chiara quanto sia difficile mantenere il paziente in trattamento. Infatti, nella fase immediatamente successiva all’evento acuto, i pazienti assumevano i farmaci con modalità perfettamente conformi alla prescrizione medica. Tuttavia, allontanandosi dalla dimissione ospedaliera, i pazienti evolvevano verso regimi terapeutici di saltuarietà, ciclicità e occasionalità, sino a interrompere definitivamente la terapia. Dopo aver ricostruito il profilo cronologico, clinico e assistenziale di ciascuno dei soggetti in studio, i ricercatori hanno tentato di tracciare l’identikit del paziente aderente. I soggetti che assumevano correttamente la politerapia cronica erano di genere maschile, di età compresa tra i 55 e i 69 anni, con una diagnosi di infarto STEMI, sottoposti a procedura di rivascolarizzazione (PTCA) durante il ricovero, dimessi da reparti specialistici (cardiologia) e senza patologie concomitanti. L’età del paziente merita un’attenzione particolare. I soggetti molto anziani presentavano una probabilità estremamente bassa di essere aderenti al trattamento. In questi casi è strettamente necessario tenere conto della situazione socio-ambientale del paziente, inclusa la presenza di relazioni familiari o di caregiver di riferimento, elementi che, per le persone molto anziane, possono concorrere alla scelta di un’assistenza di tipo domiciliare o residenziale7. Per quel che riguarda la diagnosi di infarto STEMI e la PTCA, probabilmente i due fenomeni vanno nella medesima direzione. Nei casi in cui l’episodio di infarto sia particolarmente grave (infarto STEMI) o richieda una procedura di cardiologia interventistica, il paziente percepisce più chiaramente di trovarsi in una situazione ad alto rischio. Questo accresce la motivazione del paziente e la consapevolezza dei benefici di lungo periodo di un trattamento farmacologico cronico. Decisamente interessante è la relazione tra specialità alla dimissione e aderenza al trattamento. Questo risultato è di natura profondamente diversa rispetto ai precedenti. Infatti, non fa diretto riferimento al paziente ma alla qualità del percorso intraospedaliero durante il trattamento della fase acuta dell’infarto. La dimissione da reparti specialistici aumenta notevolmente la probabilità che il paziente, una volta tornato sul territorio, risulti aderente al trattamento. In tal senso, un fattore certamente dirimente è la possibilità di programmare al momento della dimissione le visite successive per il monitoraggio della malattia, soprattutto se effettuate presso la stessa struttura che ha dimesso il paziente.

Infine, un peso determinante risiede nella presenza di patologie croniche concomitanti8. Nella coorte di pazienti analizzati, oltre il 75% presentava almeno una patologia cronica. Tra le più diffuse, l’ipertensione, i disordini del metabolismo lipidico, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e il diabete. La presenza simultanea di più patologie croniche, soprattutto in presenza di un danno d’organo rilevante come quello determinato dall’infarto, si associa a numerosi esiti negativi, come elevata mortalità, disabilità, ridotta qualità di vita e un rilevante consumo di risorse. Per questi pazienti, clinicamente complessi e multicronici, il percorso assistenziale dovrebbe essere basato sull’integrazione tra diverse figure professionali e diverse competenze in ambito socio-sanitario7. Tuttavia, a causa dell’attuale approccio, ancora orientato alla cura della singola patologia, questi pazienti ricevono un’assistenza frammentata, fornita da molteplici provider che non interagiscono tra loro. Pertanto, il meccanismo di presa in carico potrebbe rivelarsi incompleto, con interventi poco efficaci e, in alcuni casi, dannosi per il paziente stesso. Quando il paziente viene “de-strutturato” nelle singole patologie da cui è affetto aumenta il rischio che venga esposto a un numero eccessivo di trattamenti farmacologici. Questo fenomeno, da un lato, riduce l’aderenza ai trattamenti e, dall’altro, può generare interazioni nocive tra i diversi farmaci. Pertanto, per un corretto “sistema di presa in carico” del paziente con pregresso infarto, nei frequenti casi in cui il soggetto presenti patologie croniche concomitanti, è necessario istituire sul territorio una rete di team multidisciplinari e coordinati, volti alla valutazione globale del paziente e alla sua continuità assistenziale9.

Dichiarazioni: lo studio è stato parzialmente finanziato dal Ministero della Salute; Ricerca Finalizzata, Bando 2011-2012 (codice: GR-2011-02350559).

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

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3. Lenzi J, Rucci P, Castaldini I, et al. Does age modify the relationship between adherence to secondary prevention medications and mortality after acute myocardial infarction? A nested case-control study. Eur J Clin Pharmacol 2015; 71: 243-50.

4. Kirchmayer U, Di Martino M, Agabiti N, et al. Effect of evidence-based drug therapy on long-term outcomes in patients discharged after myocardial infarction: a nested case-control study in Italy. Pharmacoepidemiol Drug Saf 2013; 22: 649-57.

5. Gislason GH, Rasmussen JN, Abildstrøm SZ, et al. Long-term compliance with beta-blockers, angiotensin-converting enzyme inhibitors, and statins after acute myocardial infarction. Eur Heart J 2006; 27: 1153-8.

6. Kirchmayer U, Agabiti N, Belleudi V, et al. Socio-demographic differences in adherence to evidence-based drug therapy after hospital discharge from acute myocardial infarction: a population-based cohort study in Rome, Italy. J Clin Pharm Ther 2012; 37: 37-44.

7. Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, Ministero della Salute. Piano Nazionale della Cronicità. Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano del 15 settembre 2016. Disponibile su: https://bit.ly/2z8q1Ii .

8. Forti P, Fabbri E, Zoli M. Comorbidity in the elderly. J Gerontol Geriatr 2014; 62: 74-7.

9. Palmer K, Marengoni A, Forjaz MJ, et al.; Joint Action on Chronic Diseases and Promoting Healthy Ageing Across the Life Cycle (JA-CHRODIS). Multimorbidity care model: recommendations from the consensus meeting of the Joint Action on Chronic Diseases and Promoting Healthy Ageing across the Life Cycle (JA-CHRODIS). Health Policy 2018; 122: 4-11.