Coordinatori di ricerca clinica: una risorsa indispensabile

Celeste Cagnazzo1, Sara Testoni2, Agata Suellen Guarrera3, Stefano Stabile4, Cristiana Taverniti5, Irene Federici6, Sara Pirondi7, Manuela Monti2

1SC Oncoematologia Pediatrica, AOU Città della Salute e della Scienza, Presidio Ospedaliero Infantile Regina Margherita, Torino; 2Unità di Biostatistica e Sperimentazioni Cliniche, Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS, Meldola (FC); 3Terapie Cellulari e Medicina Trasfusionale, AOU Careggi, Firenze; 4SC Oncologia Falck, Niguarda Cancer Center, Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano; 5Oncology Department, AOU Città della Salute e della Scienza Presidio Molinette, Torino; 6Clinica di Ematologia, AOU Ospedali Riuniti Umberto I, G.M. Lancisi, G. Salesi, Ancona; 7UOSD Oncologia, AUSL Modena Area Sud, Ospedale di Sassuolo.

Pervenuto su invito il 13 dicembre.

Riassunto. La crescente complessità che caratterizza il mondo delle sperimentazioni cliniche, tanto in termini di procedure quanto di burocrazia, ha reso necessaria la creazione di infrastrutture dedicate, composte da personale esperto e qualificato che lavori costantemente per assicurare alti standard etici e qualitativi. Un ruolo fondamentale all’interno di queste infrastrutture è rivestito dal coordinatore di ricerca clinica, una figura chiave in grado di gestire il flusso di lavoro richiesto, ponendosi come riferimento per il coordinamento delle diverse attività e figure professionali coinvolte. Nonostante la letteratura dimostri ampiamente come la presenza di questa figura professionale rappresenti non solo un valido apporto da un punto di vista documentale e amministrativo, ma anche una risorsa cruciale per quello che riguarda gli indicatori di etica e di qualità della ricerca, a oggi non esiste un suo riconoscimento istituzionale, né tantomeno un contratto dedicato all’interno del Sistema Sanitario Nazionale. Questo mancato riconoscimento sta dando vita a un preoccupante fenomeno di migrazione di personale esperto verso le organizzazioni di ricerca a contratto e le aziende farmaceutiche, creando un vacuum professionale che rischia di mettere in ginocchio la competitività della ricerca clinica italiana, insieme alla possibilità di offrire terapie sperimentali innovative ai pazienti, con conseguenze di natura etica piuttosto gravi.

Clinical research coordinators: a crucial resource.

Summary. The increasing complexity that characterizes the world of clinical trials, both in terms of procedures and bureaucracy, has made it necessary to create dedicated infrastructures composed of experienced and qualified personnel, who constantly work to ensure high ethical and qualitative standards. A key role in these infrastructures is played by the clinical research coordinator, a key figure able to manage the workflow required, placing himself as a reference for the coordination of the various activities and professional figures involved. The literature has widely demonstrated how the presence of this professional figure is a valid contribution both from a documentary and administrative point of view as well as a crucial resource for what concerns the indicators of ethics and quality of research. Despite that, there is no yet an institutional recognition of the professional figure, neither a specific economical agreement within the National Health System. The lack of institutional recognition is causing a worrying phenomenon of migration of qualified personnel towards contract research organizations and pharmaceutical companies. That could be detrimental to the competitiveness of Italian clinical research and hinder the possibility of offering innovative experiments therapies to patients, with serious ethical consequences.

Gli studi clinici, essenziali per l’evoluzione in campo medico e in particolare in ambito onco-ematologico, hanno permesso di ottenere un significativo aumento della sopravvivenza globale e una riduzione dei tassi di mortalità dei pazienti1. Negli ultimi decenni, tuttavia, la ricerca clinica ha subito una profonda trasformazione, e condurla è divenuta una sfida sempre più impegnativa. Le sperimentazioni cliniche hanno dovuto rispondere a requisiti di qualità sempre più stringenti, spesso interpretati in maniera eccessivamente conservativa dagli sponsor e dalle istituzioni1 tanto che ormai la ricerca necessita di infrastrutture complesse, che coinvolgono più figure professionali. Per perseguire tale obiettivo, si sono rese necessarie una profonda consapevolezza e una stretta collaborazione fra tutte le componenti interessate alla promozione e alla gestione della ricerca clinica nel nostro Paese, da sempre carente di fondi dedicati e caratterizzato da una elevata complessità burocratica, caratteristiche assenti in altri Paesi2.

La ricerca clinica in Italia rischia di risultare non competitiva rispetto ad altre nazioni. Affinché il nostro Paese risulti attrattivo per le imprese, in un momento in cui la burocrazia è sempre più penalizzante2,3, diventa necessario ridurre i tempi necessari per l’approvazione da parte dei comitati etici e l’autorizzazione da parte delle direzioni aziendali, garantire una buona performance in termini di capacità di reclutamento dei pazienti e un’efficiente organizzazione della ricerca nei centri sperimentali. La necessità di abbattere i tempi di attesa per l’avvio delle sperimentazioni si rende necessaria tanto per la ricerca no profit4, che dispone di limitati fondi, quanto per la ricerca profit; il ritardo nell’iter autorizzativo, infatti, spesso esclude l’Italia dai Paesi partecipanti, privando i nostri pazienti di importanti opzioni terapeutiche.




La buona performance di un centro richiede funzioni complesse e articolate, che si avvalgono di collaborazioni multidisciplinari e interprofessionali5-7. In particolare, accanto alle classiche figure dello sperimentatore, del farmacologo, dello statistico, dell’infermiere e del tecnico di laboratorio, si è messa in evidenza con sempre maggior forza una figura professionale in grado di gestire il flusso di lavoro richiesto dagli studi clinici, ponendosi come riferimento per il coordinamento delle diverse attività e figure professionali coinvolte. Oggi, per le mansioni che la caratterizzano, tale figura viene identificata con il termine di coordinatore di ricerca clinica (CRC).

Il CRC è sempre stato ampiamente presente nelle realtà dei centri italiani, prevalentemente oncologici, e rappresenta una figura fondamentale per raggiungere elevati standard di qualità della ricerca, tanto che ormai la maggior parte delle oncologie può contare sulla presenza di almeno un professionista con questo profilo di competenze8. La letteratura, inoltre, dimostra ampiamente come la presenza di questa figura professionale rappresenti non solo un valido apporto da un punto di vista documentale e amministrativo, ma anche una risorsa cruciale per quello che riguarda gli indicatori di qualità della ricerca, e non da ultimo l’aspetto etico9-11.

Le competenze del CRC si acquisiscono sul campo dal momento che a oggi non sono presenti nel panorama didattico corsi di laurea specifici né tantomeno inquadramenti ufficiali all’interno delle strutture di ricerca, siano esse a carattere pubblico o privato. Per contro sono attivi già da tempo master universitari scientifici post-laurea per CRC o comunque attivati in ambiti correlati alla ricerca. La mancanza di percorsi formativi e professionali ben definiti è alla base della precarietà dei CRC in Italia, che si stimano essere superiore alle mille unità.

Il Gruppo Italiano Data Manager (GIDM), sin dall’anno della sua fondazione nel 1998, ha cercato di censire i CRC allo scopo di identificare le diverse realtà presenti sul territorio nazionale e unire le forze nella battaglia per il riconoscimento della figura, consapevole dell’elevato numero di professionisti che lavora in questo ambito ma anche dell’eterogeneità della formazione e delle competenze che li caratterizza.

I dati finora raccolti evidenziano un maggiore impiego di questa figura professionale in ambito onco-ematologico, anche se non va trascurata la sua presenza in tutti gli altri ambiti ove si fa ricerca, come ematologia, chirurgia, cardiologia, medicina interna. I CRC, per giunta, non sono coinvolti unicamente negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) ma trovano spazio anche nelle ASL, negli ospedali pubblici e negli istituti universitari, oltre a essere al servizio diretto, in alcuni casi, di alcune società scientifiche12. Risulta a oggi mancante, tuttavia, un censimento ufficiale che permetta di calcolare il numero esatto di CRC operanti sul territorio.

A oggi risulta difficile anche l’identificazione di una job description univoca e applicabile a tutti i centri sperimentali dal momento che la figura del CRC deve adattarsi moltissimo alle necessità del centro sperimentale in cui opera, piuttosto che seguire un mansionario vero e proprio. Di conseguenza, anche se il data entry rimane sicuramente una delle attività maggiormente richieste al CRC (sebbene non svolta dal 100% di essi), il resto delle attività risulta profondamente variegata e va dalla compilazione dei questionari di fattibilità all’organizzazione diretta dei piani formativi per il personale addetto alla ricerca, passando per la revisione dei contratti, il processamento dei campioni biologici, la stesura di procedure operative standard e la supervisione delle procedure di fatturazione. Questa eterogeneità va poi ad aumentare nell’ambito della ricerca no profit, che in alcuni istituti addirittura non prevede il coinvolgimento del CRC13.

Eppure i CRC non sono solo spettatori della ricerca clinica promossa dalla aziende, ma sono essi stessi promotori di attività di ricerca in ambito metodologico e regolatorio, con risultati presentati su prestigiose riviste, divenendo così interlocutori affidabili e riconosciuti da moltissime società, soprattutto alla luce della sempre maggiore complessità richiesta dalle recenti normative in materia di ricerca clinica14,15.

A ottobre 2015, con il supporto dell’onorevole Lenzi che si è fatta portavoce della tematica in questione, è stata depositata la proposta di legge per il riconoscimento professionale della figura del CRC16, con l’intento di trovare finalmente una posizione ufficiale all’interno delle piante organiche dei vari enti. Tale proposta trova la sua naturale collocazione nell’ambito del concomitante riordino delle professioni sanitarie, già da tempo pianificato dal Governo. In aggiunta, la determina riguardante i requisiti minimi per poter condurre sperimentazioni di fase 1 ha formalizzato la necessità della presenza di “figure di raccordo” assimilabili al CRC15, anche se, paradossalmente, non esistenti a livello istituzionale. Tale figura, tra l’altro, diventa necessaria visti gli standard altissimi che, a partire da fine 2018, dovranno mantenere gli istituti che intendono fare ricerca spontanea14.

La proposta non ha avuto seguito e, nonostante la legge voluta in seguito dall’onorevole Lorenzin obblighi di fatto gli istituti che vogliano fare ricerca ad avvalersi di professionalità specifiche nel campo della gestione dei dati e del coordinamento della ricerca17, a oggi non esiste una collocazione della figura professionale del CRC all’interno dei Sistema Sanitario Nazionale, né nei contratti collettivi della Sanità privata.

Un’indagine condotta a cavallo tra il 2016 e il 2017 ha sottolineato come solo una ridottissima quota (13,8%) dei CRC potesse contare su un contratto a tempo indeterminato, mentre la stragrande maggioranza di essi lavorasse grazie a contratti atipici, senza garanzie di rinnovo costante e quindi di continuità. Un altro dato preoccupante evidenziato riguardava il tipo di inquadramento che viene scelto per questi professionisti: benché siano pochi i CRC senza una formazione universitaria e addirittura molti vantino importanti percorsi post-universitari8, i datori di lavoro preferiscono (o in qualche caso sono obbligati) quasi sempre optare per la qualifica di assistenti amministrativi senza una specifica mansione sanitaria. Molto preoccupante, e poco gratificante, anche l’evidenza che una grossa quota (68,2%) di istituti privati, maggiormente slegati dalle imposizioni della sanità pubblica, scelga di seguire tale trend18.

Oggi la situazione appare in lento miglioramento (quota di assunti pari al 20%), ma non sufficiente per fermare un fenomeno preoccupante, iniziato già da qualche anno, di migrazione di personale esperto verso le organizzazioni di ricerca a contratto (CRO) e le aziende farmaceutiche19.

L’expertise garantita dai CRC, unita a una riduzione del personale medico in forza agli istituti sia pubblici che privati e a un aumento esponenziale delle attività non prettamente cliniche che i medici sono costretti a espletare, rende impensabile che la ricerca venga portata avanti in seguito a questo immenso vuoto professionale che si andrà a creare. Verrà a mancare un numero così alto di personale qualificato da non poter più garantire non solo la gestione documentale, ma tutta l’attività di data entry prevista da una sperimentazione. Questo, oltre a far perdere ulteriormente attrattività verso il nostro Paese, ci porrà dinanzi a problemi con la Unione Europea, dal momento che il nuovo regolamento sulle sperimentazioni cliniche prevede la possibilità di sanzionare le nazioni insolventi14.

Inoltre, se da un lato questo vacuum potrà, per ciò che concerne gli studi sponsorizzati dalle aziende, essere tamponato dalle risorse economiche e non delle case farmaceutiche, andrà a penalizzare ulteriormente gli studi accademici italiani, già ampiamente provati dalla carenza di investimenti pubblici nella ricerca.

Le ricadute negative andranno a colpire, oltre che la competitività della ricerca clinica italiana, la possibilità di poter offrire terapie sperimentali innovative ai pazienti, con conseguenze di natura etica piuttosto gravi.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Vose JM, Levit LA, Hurley P, et al. Addressing administrative and regulatory burden in cancer clinical trials: summary of a stakeholder survey and workshop hosted by the American Society of Clinical Oncology and the Association of American Cancer Institutes. J Clin Oncol 2016; 34: 3796-802.

2. Gehring M, Jommi C, Tarricone R, Cirenei M, Ambrosio G. Towards a more competitive Italy in clinical research: the survey of attitudes towards trial sites in Europe (The SAT-EU Study). Epidemiology Biostatistics and Public Health 2015; 12: 1-9.

3. Gehring M, Taylor RS, Mellody M, et al. Factors influencing clinical trial site selection in Europe: the survey of attitudes towards trial sites in Europe (the SAT-EU Study). BMJ Open 2013; 3: e002957.

4. De Feo G, Frontini L, Rota S, et al. Time required to start multicentre clinical trials within the Italian Medicine Agency programme of support for independent research. J Med Ethics 2015; 41: 799-803.

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9. Davis AM, Hull SC, Grady C, Wilfond BS, Henderson GE. The invisible hand in clinical research: the study coordinator’s critical role in human subjects protection. J Law Med Ethics 2002; 30: 411-9.

10. Rico-Villademoros F, Hernando T, Sanz JL, et al. The role of the clinical research coordinator--data manager--in oncology clinical trials. BMC Med Res Methodol 2004; 4: 6.

11. Marchetti F, Gori S, Di Maio M, et al. Relevance of the Clinical Research Coordinator (CRC) in conducting observational studies. Abstract and Poster, XX AIOM National Congress 2018.

12. Gruppo Italiano Data Manager. Primo censimento Italiano dei Coordinatori di Ricerca Clinica. 2018.

13. Cagnazzo C, Campora S, Taverniti C, et al. Oncology clinical research management. To each his own. Abstract and Poster, XX AIOM Annual Congress 2018.

14. Regulation (EU) No 536/2014 of the European Parliament and of the Council of 16 April 2014 on clinical trials on medicinal products for human use, and repealing Directive 2001/20/EC, (2014).

15. Determina n. 809/2015 (“Determina inerente i requisiti minimi necessari per le strutture sanitarie, che eseguono sperimentazioni di fase I di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 2001, n. 439 e di cui all’articolo 31, comma 3 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 200”), Gazzetta Ufficiale n. 158 del 10 luglio 2015.

16. Lenzi D, Ghizzoni M. Proposta di Legge. Istituzione della figura professionale di coordinatore di ricerca clinica. 2015.

17. Legge 11 gennaio 2018, n. 3: Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute (2018).

18. Cagnazzo C, Campora S, Pirondi S, et al. Academic Clinical Research: enough players to get out there? Ann Oncol 2017; 28 (suppl 5): v511-v520; 2018.

19. Gruppo Italiano Data Manager. Seconda indagine sulla situazione contrattuale dei Coordinatori di Ricerca Clinica. 2018.