I Liberati’s principles dieci anni dopo

Antonio Addis1, Luca De Fiore2

1Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio, ASL Roma 1; 2Il Pensiero Scientifico Editore, Roma.

Pervenuto il 16 dicembre 2021.

Riassunto. A dieci anni dalla morte di Alessandro Liberati gli autori si chiedono se e quanto siano ancora importanti i principii che hanno guidato l’azione del medico e ricercatore, fondatore del centro italiano della Cochrane Collaboration. La stella polare del pensiero di Liberati può essere considerata la ricerca utile, intendendo con questo termine la ricerca indirizzata a risolvere problemi rilevanti per i pazienti e per i loro familiari. In linea col pensiero di altri ricercatori, come Sir Iain Chalmers e Paul Glasziou – che negli ultimi anni hanno promosso le principali riflessioni su questi temi –, Alessandro Liberati ha lavorato intensamente per garantire ai cittadini, ai decisori e ai professionisti sanitari una ricerca aperta, trasparente e accessibile. Purtroppo, il suo invito finale a disegnare una nuova governance della ricerca è rimasto inevaso. La ricerca è ancora troppo concentrata sui singoli interventi terapeutici invece che sulle strategie complessive di cura. Gli studi sono ancora troppo spesso non pubblicati o pubblicati solo parzialmente. La ricerca è ancora troppo condizionata da conflitti di interesse e la peer review – dei lavori proposti alle riviste e dei candidati a posizioni accademiche – è influenzata da bias e condizionamenti. Rimane ancora molto lavoro da fare per una ricerca finanziata con fondi pubblici nell’interesse reale dei cittadini e dei pazienti.

The Liberati’s principles ten years later.

Summary. Ten years after the death of Alessandro Liberati, the authors wonder how much the principles that guided the action of the founder of the Italian Cochrane Centre are still relevant. The guiding star of Liberati’s professional life was the fight for useful research aimed at solving problems relevant to patients and their families. Consistently with the work of other researchers such as Sir Iain Chalmers and Paul Glasziou – they have recently offered important contribution on these issues – Alessandro Liberati worked hard to guarantee open, accessible, and transparent research to citizens, health decision makers and health professionals. Unfortunately, his final call to design a new research governance remained unanswered. Research is still too focused on individual therapeutic interventions rather than on overall care strategies. Studies are still too often unpublished or only partially published. Research is still influenced by conflicts of interest and peer review is often biased. Much work remains to be done, to ensure that publicly funded research is guided by the real needs of citizens and patients.

Sintetizzare i principii ai quali il lavoro – e forse più in generale la vita – di Alessandro Liberati si è mantenuto fedele è un’idea nata in un incontro della Cochrane svolto a Parigi nella primavera del 2012. Erano trascorsi pochi mesi dalla morte di Alessandro ed era apparso chiaro sin da subito che la sua assenza si sarebbe potuta tradurre in un danno importante per la sanità italiana. E non solo. Riproposta ai primi di ottobre dello stesso anno durante il ventesimo Cochrane Colloquium tenutosi ad Auckland in Nuova Zelanda, la prospettiva dei Liberati’s principles si è scontrata con le difficoltà di tradurre il desiderio di confermare e rilanciare il pensiero di Alessandro in un lavoro collettivo capace di proseguire il percorso da lui iniziato.

Inoltre: quali contenuti avrebbero dovuto informare la definizione di questi principii? L’attenzione verso progetti capaci di costruire una sorta di osservatorio delle esperienze di ricerca condivisa con i pazienti. Oppure il pubblico riconoscimento agli studi pubblicati su banche dati accessibili gratuitamente non solo dalle istituzioni e dai professionisti, ma anche dai cittadini. O ancora un’attività di advocacy per supportare gli studi clinici capaci di rispondere a domande rilevanti per il servizio sanitario nazionale e per i malati e i loro familiari. Insieme all’Associazione Liberati fu promossa una survey tra i ricercatori che avevano collaborato con Alessandro per ascoltare il loro punto di vista e costruire insieme una sorta di priority setting tra le principali istanze portate avanti nei decenni precedenti, e quel breve elenco di questioni aperte può servire da traccia per fare il punto a distanza di dieci anni (tabella 1).




Non è difficile vedere come diversi di questi punti siano strettamente collegati tra loro. Un primo macro-problema è legato alla qualità della ricerca. La lettera al Lancet di Alessandro Liberati pubblicata nel novembre 20111 segnalava il disallineamento tra ciò che fanno i ricercatori e ciò di cui hanno bisogno i malati e di fatto riprendeva i contenuti di un intervento di Sir Iain Chalmers e Paul Glasziou sul Lancet nel 20092. Un sistema di ricerca efficiente avrebbe dovuto misurarsi con i problemi di salute davvero importanti per la popolazione, decidendo di valutare gli interventi e gli esiti delle cure considerati rilevanti dai pazienti e dai medici. Invece, i soldi destinati alla ricerca sono correlati solo marginalmente con il “peso” delle malattie. A ciò si aggiunge la cronica disattenzione verso la ricerca sui processi e le pratiche associate alla cura. Ciò è sostenuto da chi in medicina erroneamente interpreta come attività di ricerca vera solo tutto ciò che ha a che fare con la scoperta di una nuova terapia o meccanismo fisiopatologico. In questo modo si pone in secondo piano la necessità di sperimentare l’efficacia di pratiche cliniche e di organizzazioni sanitarie che invece hanno bisogno di prove prima di essere considerate valide.

Non deve stupire che l’articolo di Chalmers e Glasziou si aprisse richiamando proprio un articolo del 20043 in cui Alessandro rifletteva sulle cure possibili per la malattia di cui soffriva, scrivendo che «i risultati della ricerca dovrebbero essere facilmente accessibili alle persone che hanno bisogno di prendere decisioni sulla propria salute. […] Perché sono stato costretto a prendere la mia decisione sapendo che le informazioni erano da qualche parte ma non disponibili? Il ritardo è stato dovuto al fatto che i risultati sono stati meno entusiasmanti del previsto? O perché nel campo in continua evoluzione della ricerca sul mieloma ci sono ora nuove eccitanti ipotesi (o farmaci) da osservare? Fino a che punto possiamo tollerare il comportamento dei ricercatori che come farfalle passano al fiore successivo ben prima che il precedente sia stato pienamente sfruttato?».

A distanza di cinque anni – nel gennaio del 2014 – una serie di contributi pubblicati di nuovo sul Lancet riportava all’attenzione della comunità scientifica internazionale quello che sembrava ormai essere un problema complesso, radicato e non risolto. «La scienza non è fatta da modelli di virtù, ma da individui che sono inclini all’interesse personale come chiunque altro»4, scriveva un gruppo di autori tra i quali erano presenti sia Chalmers sia Glasziou. Per problemi collegati ai conflitti d’interesse oppure per questioni di carriera e di rivalità professionale, è facile cadere nella tentazione di abbandonare un progetto di ricerca dai risultati poco promettenti per passare a qualcosa di meno difficile da realizzare o più gratificante per sé, anche se non per i malati. «Quando i finanziamenti continuano ad arrivare e gli articoli vengono pubblicati, perché cambiare le cose?» chiedevano gli autori, soffermandosi a considerare l’imperfezione dei meccanismi di promozione accademica basati sulla quantità dei lavori pubblicati e non sulla qualità e sul rigore metodologico degli studi: «Il mondo accademico non è riuscito a stabilire meccanismi credibili per affrontare il problema della cattiva condotta della ricerca».

Conflitti d’interesse: quanti progressi sono stati fatti negli ultimi dieci anni? Non molti, in realtà. Alcune nazioni hanno istituito degli archivi online dove è possibile verificare se e in quale misura un professionista sanitario abbia percepito compensi da parte di industrie: ma l’impatto reale di queste banche dati per l’indipendenza della ricerca e dell’attività clinica non sembra essere determinante. D’altra parte, l’irresistibile attrazione tra pubblico e privato ha suggerito addirittura l’adozione dell’espressione “convergenza d’interessi”5 tra istituzioni (desiderose di ricevere finanziamenti) e imprese (impazienti di poter stabilire sinergie e di sfruttare il lavoro di università e centri di ricerca). Da una serie di articoli usciti sul New England Journal of Medicine sembrava poter nascere una discussione aperta e finalmente approfondita, ma a una replica probabilmente opportuna di importanti personalità della medicina internazionale6 è seguita una sorta di conclusione che ha ridotto il confronto a una resa dei conti tra riviste rivali7. Una serie di contributi usciti sul JAMA non è riuscita a rilanciare il dibattito8. È difficile pensare a una regolamentazione più severa dei rapporti tra professionisti sanitari e industrie in un contesto che non solo non scoraggia ma addirittura incentiva la collaborazione tra pubblico e privato.

Lo stesso si può dire a proposito della peer review, sia quando utilizzata per la revisione dei contributi scientifici proposti alle riviste, sia quando si ricorre a essa per la valutazione di titoli a fini concorsuali. Da anni se ne sottolineano i limiti9, finendo col concludere che in fin dei conti non è stato ancora messo a punto un metodo che sia meno imperfetto e più convincente.

Altro punto a suo tempo proposto come uno dei Liberati’s principles è la necessità che i dati della ricerca siano pubblicamente accessibili. È stato fatto qualche passo avanti negli ultimi anni? Il mondo editoriale scientifico è tra i più dinamici, soprattutto per la spinta dei ricercatori, che rivendicano il diritto a pubblicare senza oneri (o a costi ragionevoli), e delle istituzioni, che hanno progressivamente iniziato a condizionare l’erogazione dei finanziamenti alla sua pubblicazione in modalità open access. Un’iniziativa importante è quella che ha fatto sì che le riviste scientifiche debbano rendere pubblici i costi di pubblicazione degli articoli affinché questi possano essere sostenuti dalle istituzioni aderenti a una sorta di coalizione che da tempo lavora per l’accesso aperto. Le regole entreranno in vigore nel luglio 2022 e questo risultato è stato ottenuto da un gruppo di 22 organizzazioni internazionali, agenzie di ricerca europee e fondazioni (cOAlition S). Agli editori è richiesto di fornire il dettaglio dei costi, da quelli inerenti al lavoro redazionale, alla peer review, fino alla pubblicazione10.

Un ambito su cui Alessandro si è molto speso è quello della governance della ricerca, sia a livello nazionale che regionale. In effetti anche solo l’impostazione dei bandi con cui il Paese riesce a motivare e selezionare e seguire i propri investimenti dice molto riguardo lo stato di maturità del sistema ricerca. Purtroppo, se possibile, sono stati fatti dei passi indietro lasciando spazio solo a una inutile burocratizzazione dei processi, incapace di valorizzare le forze più giovani (chi si ricorda più del bando giovani ricercatori della Regione Emilia-Romagna Alessandro Liberati?) e di procedere per priorità e quesiti specifici derivanti da bisogni di conoscenza documentatamente validi. Con le pur ridotte risorse messe a disposizione dal SSN si continuano a produrre dati che faticano a tornare alla pratica clinica non essendoci un reale vincolo di pubblicazione del dato, anche di quello negativo. Inoltre, si fatica a trovare traccia di investimenti da parte del finanziatore pubblico riguardo alle strutture manageriali della ricerca, lasciando sole le singole istituzioni o addirittura il ricercatore nel compito di sfruttare i diritti di autore, di governare il ritorno dell’investimento e di pubblicare il dato.

Tra le buone notizie del passato decennio, c’è l’istituzione nel 2016 dell’Evidence-Based Research Network, un passo importante verso l’obiettivo previsto nei principii intitolati ad Alessandro secondo il quale tutte le proposte di nuovi studi dovrebbero essere supportate da riferimenti a revisioni sistematiche già disponibili sullo stesso argomento. Altra iniziativa importante è la nascita dell’Ensuring Value In Research (EVIR) Funders’ Forum, istituito dal National Institute for Health Research in Inghilterra, ZonMw nei Paesi Bassi e dal Patient-Centred Outcomes Research Institute negli Stati Uniti. Molti promotori ma esiti modesti, se a oggi – dicembre 2021 – tra gli output del lavoro del forum è segnalato solo un documento redatto in esito a un incontro svolto nel 201711.

Insomma, lo spreco della ricerca è ancora scandaloso12 e non potrebbe essere altrimenti dal momento che non sembra siano stati fatti passi decisivi per arrivare all’obiettivo forse più importante: la necessità di un nuovo e diverso governo della ricerca. Quest’ultima continua ad avere scarso interesse nell’agenda politica, per quanto l’emergenza pandemica prima e il bisogno di una programmazione a lungo termine imposto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) poi, mettono oggi in evidenza la necessità di recuperare un dibattito congelato nel tempo.

“Caro Ale ti scriviamo, e siccome sei molto lontano …” Le riflessioni sopra riportate nascono da un dialogo mai interrotto con un amico che ci ha lasciati troppo presto ma ci ha insegnato molto. Spesso negli ultimi anni ci siamo divertiti a parafrasare le parole della canzone di Dalla sullo stato della ricerca in sanità nel nostro Paese, fingendo di dover informare un Alessandro troppo distante delle “grandi novità”. Tentando di usare la sua stessa ironia e i Liberati’s principles come indicatori concreti di un possibile miglioramento del sistema, appare chiaro come non vada proprio tutto bene. Rimane ancora molto lavoro da fare per una ricerca pensata, almeno quella finanziata con fondi pubblici, nell’interesse reale dei cittadini e dei pazienti e non dalle carriere accademiche o dalle mode imposte dal mercato.

Se uno volesse appellarsi a dei principii su cui poter trovare nuovo stimolo per i nuovi finanziamenti del PNRR sulla ricerca in sanità utile al rinnovamento del SSN, troverebbe a nostro avviso nelle tracce lasciate da Alessandro ancora un riferimento solido: “… ed è questa la novità”.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Liberati A. Need to realign patient-oriented and commercial and academic research. Lancet 2011; 378: 1777-8.

2. Chalmers I, Glasziou P. Avoidable waste in the production and reporting of research evidence. Lancet 2009; 374: 86-9.

3. Liberati A. An unfinished trip through uncertainties. BMJ 2004; 328: 531.

4. Macleod MR, Michie S, Roberts I, et al. Biomedical research: increasing value, reducing waste. Lancet 2014; 383: 101-4.

5. Rosenbaum L. Reconnecting the dots - reinterpreting industry - physician relations. N Engl J Med 2015; 372: 1860-4.

6. Steinbrook R, Kassirer JP, Angell M. Justifying conflicts of interest in medical journals: a very bad idea. BMJ 2015; 2: 350.

7. Horton R. Offline: the BMJ vs NEJM - lessons for us all. Lancet 2015; 385: 2238.

8. Fontanarosa P, Bauchner H. Conflict of interest and medical journals. JAMA 2017; 317: 1768-71.

9. Smith R. Peer review: a flawed process at the heart of science and journals. J Royal Soc Medicine 2006; 99: 178-82.

10. Wallace N. Open-access science funders announce price transparency rules for publishers. Science 2020; 18 maggio.

12. Glasziou P, Chalmers I. Research waste is still a scandal - an essay by Paul Glasziou and Iain Chalmers. BMJ 2018; 12: 363.