Salute mentale e pandemia nei bambini e adolescenti: quello che si rischia di etichettare come long-covid

Giorgio Cozzi1, Alessandra Iacono2, Angela Troisi2, Federico Marchetti2

1IRCCS Materno-Infantile “Burlo Garofolo”, Trieste; 2UOC di Pediatria e Neonatologia, Ospedale di Ravenna, AUSL della Romagna.

Pervenuto il 7 febbraio 2022. Accettato il 21 febbraio 2022.

Riassunto. Il long-covid è una condizione tipica degli adulti con una storia di infezione da SARS-CoV-2 probabile o confermata nei 3 mesi precedenti e con sintomi di durata superiore a 2 mesi non spiegati da una diagnosi alternativa. In età pediatrica la mancanza di differenze significative rispetto ai sintomi riportati tra sieropositivi e sieronegativi suggerisce che il long-covid potrebbe essere meno comune di quanto si pensasse in precedenza, mettendo in evidenza l’impatto dei sintomi associati alla pandemia sul benessere e sulla salute mentale dei giovani adolescenti. Molti bambini-adolescenti, che abbiano avuto o meno un’infezione da SARS-CoV-2, hanno una richiesta di salute alla quale bisogna rispondere con un approccio professionale volto a una complessa riabilitazione funzionale. Il rischio è che il “long-covid” diventi una “lunga disattenzione” su problemi di salute mentale rilevanti.

Parole chiave. Adolescenza, bambini, long-covid, pandemia, salute mentale.

Mental health and pandemic in children and adolescents: what is likely to label as “long-covid”.

Summary. Long-covid is a typical condition of adults with a history of probable or confirmed SARS-CoV-2 infection in the previous 3 months and with symptoms lasting over 2 months not explained by an alternative diagnosis. In pediatric age the lack of significative differences comparing the reported symptoms between seropositive and seronegative suggests that long-covid might be less common than previously thought, emphasizing the impact of pandemic-associated symptoms regarding the well-being and mental health of young adolescents. Many children-adolescents, who have had SARS-CoV-2 infection or not, have a health request to which we must respond with a professional approach aimed at a complex functional rehabilitation. The risk is that the “long-covid” becomes a “long-inattention” on relevant mental health problems.

Key words. Adolescence, children, long-covid, mental health, pandemic.

L’attenzione mediatica nei riguardi degli effetti della pandemia sui bambini e adolescenti si sta spostando dalla malattia infiammatoria multisistemica (MIS-C) all’opportunità di fare la vaccinazione e ai possibili effetti a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2. A oggi, in letteratura sono presenti quasi mille lavori che trattano dei possibili effetti a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV-2, la maggior parte dei quali su pazienti adulti.

Diverse sono state le sigle coniate per identificare pazienti che continuano a essere sintomatici a distanza dall’infezione acuta: post-covid syndrome, post-acute sequelae of SARS-CoV-2 (PACS), long-covid1. Quella che ha preso più piede e a cui si riferiscono più lavori è long-covid.

Nonostante la grande attenzione che è stata rivolta al problema, le caratteristiche per la diagnosi di long-covid non sono ancora condivise e riconosciute dalle società scientifiche. Con il termine long-covid si intende la persistenza di sintomi molto più a lungo dell’atteso o la persistenza di sintomi nonostante la guarigione dall’infezione acuta.

Non c’è però accordo su quanto a lungo debbano durare i sintomi a distanza dall’infezione acuta per rientrare nella diagnosi, né sul tipo di sintomi considerati come suggestivi. Più di 50 sintomi, alcuni studi dicono fino a 200, sono stati associati a tale condizione2. Recentemente la WHO in una Consensus riporta che «la condizione del long-covid avviene in individui con una storia d’infezione da SARS-CoV-2 probabile o confermata, di solito 3 mesi dall’infezione acuta, con sintomi che durano almeno 2 mesi e non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa. I sintomi comuni includono affaticamento, mancanza di respiro, disfunzione cognitiva ma anche altri che hanno generalmente un impatto sul funzionamento quotidiano. I sintomi possono essere di nuova insorgenza, dopo il recupero iniziale dall’infezione acuta, possono persistere dopo la malattia iniziale, oppure possono essere fluttuanti con ricadute nel tempo»3.

La prevalenza di tale disturbo sembra elevata nei pazienti adulti, fino al 20-40% dei casi, tanto più in quelli che hanno avuto un’infezione paucisintomatica o asintomatica4. Nonostante la formulazione di numerose ipotesi, i meccanismi con i quali tale disturbo si sviluppa non sono ancora chiari4.

In considerazione di tutto ciò, il sistema sanitario si sta organizzando per affrontare questa richiesta di salute con l’apertura di ambulatori dedicati alla cura di tali pazienti su tutto il territorio nazionale.

Il long-covid nel bambino e adolescente

Negli ultimi mesi in letteratura è apparsa una serie di studi mirata a valutare se il problema del long-covid possa riguardare anche bambini e adolescenti, analogamente a quanto avviene negli adulti.

Qualche mese fa veniva pubblicata una piccola case series di adolescenti svedesi che continuavano a presentare sintomi a distanza di settimane e mesi dall’infezione da SARS-CoV-25. Erano caratterizzati dall’essere prevalentemente di genere femminile, dal lamentare sintomi fisici soggettivi, in primis una marcata astenia, ma anche fiato corto, palpitazioni, mal di testa, difficoltà di concentrazione e vertigine. Erano inoltre accomunati da un’importante limitazione nelle svolgere le normali attività quotidiane. Non riuscivano a frequentare la scuola ed erano confinati a casa per la maggior parte del loro tempo. L’Autore concludeva sottolineando che il long-covid era presente anche in età evolutiva e che bisognava quantificare la prevalenza del disturbo e descriverne meglio le caratteristiche5. In seguito, case series olandesi e israeliane hanno riportato risultati simili con adolescenti che rimanevano a lungo sintomatici lamentando le stesse problematiche (astenia, fiato corto, palpitazioni, sensazione di testa vuota, difficoltà di concentrazione, cefalea o dolore addominale)6,7.

I primi studi descrittivi su serie di casi rendevano evidente che la mancanza di un gruppo di controllo poneva delle oggettive difficoltà nel distinguere quanto dei sintomi descritti fosse dovuto alla precedente infezione e quanto alle conseguenze indirette della pandemia. Una revisione narrativa della letteratura8 ha selezionato 14 studi con l’obiettivo di stimare la reale prevalenza di questo fenomeno e le sue caratteristiche. Sono stati condotti in Europa, USA e Australia principalmente tramite questionari online o interviste telefoniche. Sono risultati molto eterogenei per criteri di inclusione e per la distanza della valutazione dall’infezione, da 4 settimane a 5 mesi. Tali studi sono stati giudicati dagli autori per lo più come metodologicamente carenti. Nella maggior parte dei casi risaltava l’assenza di un gruppo di controllo. In totale sono stati studiati 19.426 tra bambini e adolescenti. La prevalenza di casi che continuavano a essere sintomatici a distanza dall’infezione variava molto tra i diversi studi, ben dal 4 al 66%. I sintomi più frequentemente riportati erano in ordine decrescente: cefalea (3-80%), astenia (3-87%), disturbi del sonno (2-63%), difficoltà di concentrazione (2-81%), dolore addominale (1-76%), mialgie-artralgie (1-61%). Sei studi trovavano una correlazione positiva tra tale condizione e il progredire dell’età dei pazienti, con un picco in adolescenza, 3 studi trovavano un’associazione con il genere femminile, 1 studio con la presenza di pregresse malattie organiche o disturbi di salute mentale.

Più recentemente, nella meta-analisi di Benhood et al.9 sono stati selezionati 22 studi (su 3357), provenienti da 12 Paesi, comprendenti bambini e adolescenti di età inferiore o uguale a 19 anni. L’obiettivo della meta-analisi è stato quello di dare una stima della prevalenza dei sintomi conseguenti all’infezione da SARS-CoV-2 rispetto a casi non infetti e di identificare i possibili fattori di rischio per lo sviluppo del long-covid.

Dei 22 lavori selezionati, 9 hanno preso in esame sia una popolazione ospedalizzata sia una non ospedalizzata, 9 solo non ospedalizzata e 4 solo ospedalizzata. La popolazione totale analizzata è stata di 23.141 bambini-adolescenti. Tutti hanno valutato i sintomi dopo 4 settimane dall’infezione acuta, 15 studi li hanno valutati anche dopo 12 settimane. I sintomi riportati in totale sono stati 101, di cui 46 almeno in 2 studi, e 32 in almeno 3 studi.

Su 8 studi con gruppo di controllo solo 5 hanno fornito dati sufficienti per la meta-analisi che è stata effettuata per 14 sintomi. Una differenza significativa nei bambini-adolescenti con infezione da SARS-CoV-2, rispetto al gruppo di controllo, è stata riscontrata per: difficoltà cognitive (3%), cefalea (5%), perdita dell’olfatto (8%), faringodinia (2%) e dolore oculare (2%). Nessuna differenza invece per quanto riguarda dolore addominale, tosse, astenia e mialgie, insonnia, diarrea, febbre, vertigini e dispnea.

L’età adolescenziale e il genere femminile sarebbero associati a un maggiore rischio di sviluppare sintomatologia a lungo termine.

Pur tenendo in considerazione l’eterogeneità degli studi per criteri di inclusione, durata del follow-up, metodo di rilevazione e definizione dei sintomi, la meta-analisi dimostra che la prevalenza stimata dei sintomi è nettamente più bassa negli studi controllati, ridimensionando il fenomeno del long-covid.

Una successiva larga esperienza di coorte nazionale è stata condotta in Danimarca su 37.522 bambini-adolescenti di età compresa tra 0 e 17 anni con l’infezione da SARS-CoV-2 (tasso di risposta a un questionario del 44,9%) rispetto a un gruppo di controllo di 78.037 casi (tasso di risposta del 21,3%)10.

I sintomi di durata >4 settimane erano comuni sia tra i casi SARS-CoV-2 positivi che tra i controlli. Quelli con infezione da SARS-CoV-2 di età compresa tra 6 e 17 anni hanno riportato più frequentemente la persistenza di sintomi rispetto al gruppo di controllo, ma con una differenza percentuale che è risultata bassa (0,8%). Tra i bambini con infezione da SARS-CoV-2 i sintomi più comunemente riportati in quelli in età prescolare sono stati la sensazione di fatica, la perdita dell’olfatto e del gusto e la debolezza muscolare. Nei casi in età scolare i sintomi più significativi erano sempre la perdita dell’olfatto e del gusto, i problemi respiratori le vertigini, la debolezza muscolare e il dolore toracico. I bambini e gli adolescenti nel gruppo di controllo presentavano molte più difficoltà di concentrazione, mal di testa, dolori muscolari e articolari, tosse, nausea, diarrea e febbre rispetto a quelli che avevano avuto l’infezione. Nella maggior parte dei casi i sintomi del long-covid si sono risolti entro 1-5 mesi. Si tratta di risultati complessivamente rassicuranti che a guardare bene sono in parte in contrapposizione con quelli riportati nella meta-analisi9; per esempio, per i problemi di cefalea e difficoltà di concentrazione non riusciamo a capire se sono più comuni, nella loro persistenza, in chi ha avuto l’infezione o nei casi senza infezione (i controlli).

Chi si sta “etichettando” come affetto da long-covid?

Nonostante il limitato numero di studi relativi all’età pediatrica di adeguata qualità metodologica sull’argomento e la non congruenza nei risultati degli studi, dai dati a disposizione possiamo trarre alcune informazioni utili per cercare di capire le caratteristiche dei soggetti che vengono etichettati come affetti da long-covid:

la prevalenza varia molto tra le casistiche. Probabilmente è condizionata dalla diversa metodologia degli studi, ma è anche possibile che altri fattori rispetto all’infezione acuta in sé abbiano un ruolo considerevole nello sviluppo del disturbo;

la maggior parte dei casi è diventata sintomatica dopo una malattia acuta comprovata da SARS-CoV-2;

i pazienti in età evolutiva che sono stati individuati come affetti da long-covid sono per lo più adolescenti, con una preponderanza del genere femminile;

presentano prevalentemente sintomi soggettivi che, se diamo credito ai risultati della meta-analisi, riguardano le difficoltà nella sfera cognitiva e la cefalea (oltre che la perdita dell’olfatto e del gusto di breve durata);

i sintomi tendono a essere plurimi e a durare a lungo, anche mesi;

i casi affetti hanno molte limitazioni nelle attività quotidiane, spesso non riescono a frequentare la scuola e tendono all’isolamento sociale;

i disturbi possono impattare significativamente sulla qualità di vita11.

Il fatto che molti sintomi riportati negli studi siano somatici o della sfera emotiva (come mal di testa e fatica/astenia) pone il dubbio che non si tratti di sintomi specifici dovuti all’infezione da SARS-CoV-2 e che molti di essi siano in realtà dovuti alle conseguenze della pandemia di per sé e che si renderebbero evidenti in un bambino-adolescente che sa di avere avuto l’infezione virale.

Un lavoro statunitense realizzato in una clinica specificamente creata per la cura di casi pediatrici affetti da long-covid mostra come un approccio multidisciplinare riabilitativo mirato alla ripresa del funzionamento, con l’aiuto di un team composto da pediatra, neurofisiologo, psicologo, psichiatra, fisioterapista, porti a un rilevante miglioramento dei sintomi e del loro carico emotivo12.

Negli anni che precedevano la pandemia, abbiamo imparato che c’è una considerevole fetta di adolescenti valutati nei nostri ambulatori e in pronto soccorso che lamenta sintomi fisici di lunga durata; in alcuni casi insorgono dopo una malattia organica acuta e a volte si caratterizzano per avere un disturbo di salute mentale. In molti di questi casi può essere posta, in accordo con gli attuali criteri diagnostici del DSM-5, una diagnosi di disturbo da sintomo somatico o da conversione13,14. In altre parole i dati della letteratura sugli adolescenti che sono etichettati come affetti da long-covid ricalcano le caratteristiche dei pazienti che rientrano in una diagnosi di disturbo che eravamo abituati a chiamare come “funzionale”: età adolescenziale, sintomi fisici di lunga durata, spesso plurimi, dolore cronico, astenia marcata, assenteismo scolastico, tendenza all’isolamento sociale con compromissione della qualità di vita15.

L’esperienza sul campo e i dati della letteratura ci dicono che spesso i pazienti affetti da disturbo da sintomo somatico o da conversione ricevono diverse “etichette” a seconda dei sintomi preponderanti e degli ambulatori a cui afferiscono: fibromialgia, sindrome da stanchezza cronica, POTS, Lyme cronico sono soltanto alcuni esempi. Sappiamo inoltre che sono a rischio di subire un’incongrua medicalizzazione, fatta di ripetuti test diagnostici, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri con possibili terapie inappropriate.

Long-covid o “lunga disattenzione” verso i problemi di salute mentale?

Se la pandemia da SARS-CoV-2 continua a essere molto più benevola con i bambini e gli adolescenti rispetto agli adulti per quanto riguarda la gravità dell’infezione acuta, è ormai dimostrato che sta avendo un notevole impatto sul loro complessivo benessere. L’infanzia e l’adolescenza sono periodi molto delicati, in cui l’estrema vulnerabilità può far sì che i sintomi del long-covid possano accentuarne in maniera esponenziale le difficoltà fisiche e psichiche, potendo danneggiare lo sviluppo cognitivo e la salute mentale nel medio e lungo periodo. Diversi studi hanno evidenziato che la pandemia ha portato a un peggioramento dei sintomi ansiosi, del tono dell’umore, dei sintomi da stress post-traumatico nei bambini e negli adolescenti, e questo senza differenze chiaramente significative tra chi aveva avuto la covid e chi no16-19. Le cause sono riferibili all’isolamento, a un aumento di casi di difficoltà familiare (sia finanziaria che sociale), alla preoccupazione per la salute di parenti e amici, ai lutti, alla perdita di strutture di supporto e, soprattutto, alla perdita della frequenza scolastica.

In Italia, così come in altre Nazioni, dall’inizio della pandemia stiamo assistendo a un considerevole incremento degli accessi di pronto soccorso pediatrico per disturbi neuropsichiatrici20,21. Restrizioni, incertezza, lockdown, chiusura delle scuole hanno contribuito a un incremento di ansia, depressione, ideazione suicidaria, disturbi della condotta alimentare22-24 e hanno messo in evidenza la difficoltà di gestione di questi disturbi per carenza di servizi adeguati, con la conseguente richiesta di interventi comunitari da parte dei servizi e delle istituzioni25. In questo senso, non c’è ragione di pensare che non siano aumentati anche i bambini e gli adolescenti che presentano sintomi somatoformi, caratterizzati, nei casi più gravi, da sintomi fisici di lunga durata associati a una limitazione sproporzionata delle attività quotidiane e che questi corrano il rischio di essere erroneamente etichettati come affetti da long-covid18.

Uscire dallo stigma di “malattia organica”

Non vogliamo ovviamente affermare che tutti i bambini e in particolare gli adolescenti che rimangono sintomatici a lungo dopo infezione da SARS-CoV-2 abbiano un disturbo da sintomo somatico e nemmeno dedurre che tutti abbiano un disturbo di salute mentale. Dobbiamo tenere conto però del fatto che il carico di sofferenza emotiva legato a questa pandemia, anche per l’amplificazione mediatica e le ricadute sulla vita quotidiana dei bambini e dei ragazzi, è rilevante. Fornendo un’etichetta di malattia post-infettiva corriamo il rischio di far perpetuare i sintomi e involontariamente di contribuire a strutturare un vero e proprio disturbo. In questo senso, l’esigenza dei medici e dei ricercatori di conoscere, descrivere, incasellare i bambini-adolescenti con disagio in una nuova entità diagnostica non può essere considerata scevra da rischi. D’altro canto se questi bambini-adolescenti riportano una richiesta di salute alla quale dobbiamo rispondere e si vogliono organizzare ambulatori dedicati, si rende imprescindibile un’organizzazione multidisciplinare che preveda un approccio diagnostico e terapeutico mirato alla riabilitazione funzionale, che comprenda una valutazione psico-relazionale del paziente e che indaghi la presenza di una comorbilità psichiatrica12. I National Institutes of Health statunitensi investiranno 1 miliardo di dollari in studi sul long-covid mirati a descrivere meglio e capire questa nuova entità nosologica26. Nel frattempo, i dati a nostra disposizione suggeriscono che davanti a bambini e adolescenti che continuano a lamentare sintomi fisici a distanza dall’infezione acuta da SARS-CoV-2 dobbiamo mantenere la mente aperta, resistere ad apporre una facile etichetta di malattia post-infettiva e che forse non faremmo danno occupandoci di loro dando il giusto peso alla componente psico-relazionale, mirando a una ripresa il più precoce possibile del funzionamento. L’approccio deve essere rispondente alle evidenze che prevedono interventi basati sulla terapia cognitivo-comportamentale. Devono essere incoraggiati a trovare strategie di compenso che consentano di migliorare le proprie performance e i propri risultati nei diversi contesti ambientali (tra cui prioritario è quello scolastico). Il lavoro dovrebbe essere finalizzato a consentire di apprendere e consolidare nuove competenze che implicano la gestione dell’emotività e dell’impulsività attraverso tecniche sia comportamentali sia di ristrutturazione cognitiva e relazionale.

Conclusioni

L’alterazione dell’olfatto, del gusto, la faringodinia sembrano essere i sintomi “organici” a lungo termine più frequentemente riscontrati nei bambini che hanno avuto una infezione da SARS-CoV-2. Contestualmente, cefalea (come sintomo “tensivo”), difficoltà di concentrazione e attenzione, problemi di memoria, insonnia, disturbi d’ansia e depressione sono nettamente aumentati in tutta la popolazione pediatrica a causa della pandemia, e non solo in chi ha contratto l’infezione.

Gli adolescenti sono la fascia più delicata e complessa che risente di questo periodo storico e che probabilmente non trova rassicurazione e mantiene una visione negativa sul futuro. La scuola, i pediatri, i servizi sociali, coadiuvati in alcuni casi dai Servizi di Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza (territoriali e non) dovrebbero trovare del tempo qualificato e organizzato per l’ascolto dei ragazzi affinché siano supportati e incoraggiati. Occorre già da subito una nuova visione olistica di quello che può essere il progetto socio-assistenziale in merito al disagio emotivo-relazionale. Questo vorrebbe dire ridurre gli effetti negativi sul lungo periodo che potremmo riassumere per facilità nel termine long-covid, includendo in questa dizione gli effetti sia dell’infezione da SARS-CoV-2, sia soprattutto quelli indiretti della pandemia.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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