La banalità del male al tempo dei migranti

Giuseppe R. Gristina1

1Medico anestesista rianimatore.

Pervenuto il 18 novembre 2022. Non sottoposto a revisione critica esterna alla direzione della rivista.

Riassunto. Recentemente il governo italiano, dopo avere impedito per alcuni giorni a due navi ONG con 751 migranti a bordo l’attracco nel porto di Catania, ha deciso di concedere lo sbarco solo a coloro che erano in condizioni di salute precarie, rifiutandolo però a tutti gli altri e intimando poi alle navi di allontanarsi dalle acque territoriali italiane. Questo episodio, ultimo di una serie di altri già verificatisi tra il 2018 e il 2019 nel nostro Paese durante un precedente governo di destra, si inscrive in una cornice ideale e politica di matrice sovranista mentre nel Paese sono emerse da tempo forti pulsioni razziste. L’evento cui ci si riferisce e il clima sociale e politico in cui è maturato, ripropongono il tema di quella che Hannah Arendt e Primo Levi definirono la banalità del male in base all’esperienza da loro vissuta rispettivamente durante il processo di Norimberga e nel campo di sterminio di Auschwitz. L’articolo offre una riflessione in merito e propone una possibile risposta all’interrogativo se oggi sia ancora possibile parlare della banalità del male e, se sì, in quali forme, con quali significati e con quali responsabilità rispetto a quelli che gli diedero in origine i due autori.

The banality of evil in the migrants era.

Summary. In early November the Italian government, after having prevented two NGO ships with 751 migrants on board from docking in the port of Catania, allowed disembarkation only to migrants in critical health conditions, refusing it to others and ordering then to the ships to set sail. This episode, the latest in a series started in Italy between 2018 and 2019 during the previous right-wing government, is part of a sovereignist ideal and political framework, while the racist tendencies are clearly growing up in the country long ago. The event referred to and the social and political climate in which it took place evokes the theme of banality of evil about which Hannah Arendt and Primo Levi have written after the experience personally lived during the Nuremberg trial by the first author and in the Auschwitz killing field by the second one. The article offers a reflection on this matter and provides an answer to the question whether today it is still possible to speak in regard of the banality of evil and, if so, in what forms and meanings and with what responsibilities compared to those originally given from the two authors to the saying.

“O’mare va truvann’ ‘e forte”

Giovanni Block,
dall’album “SPOT (Senza Perdere ‘O Tiempo)” – 2016


Un tempo, non lontanissimo, nelle nostre valli prealpine e alpine era molto frequente il riscontro di una patologia tiroidea caratterizzata da un’ipofunzione grave della ghiandola legata all’endemica carenza di iodio in quei territori.

Si manifestava con due segni cardinali: il gozzo e la ridotta performance intellettiva. Quest’ultima era definita “cretinismo endemico”1. Non era un insulto. Era una constatazione epidemiologico-clinica.

In tempi come i nostri, caratterizzati da un rigurgito d’ignoranza e comportamenti tribali, potremmo far valere la proporzione secondo la quale la mancanza di iodio sta al cretinismo endemico come la mancanza di cultura sta al “cretinismo morale”.

Anche il cretinismo morale è una constatazione, in questo caso epidemiologico-etica, non un insulto. L’Italia sembra esserne afflitta, ma si tratta solo di questo?

Il governo italiano, dopo avere impedito l’attracco nel porto di Catania per alcuni giorni a due navi ONG con 751 migranti a bordo, ha deciso di concedere lo sbarco solo a quelli in condizioni di salute peggiori, rifiutando il permesso al “carico residuale” (i migranti in condizioni apparentemente meno compromesse) e intimando poi alle navi di riprendere il largo2.

Alla violenza del respingimento si è dunque aggiunta quella di una selezione basata sul grado di precarietà delle condizioni di salute tra persone tutte duramente provate e dunque gravate da un’estrema fragilità psico-fisica. Una selezione palesemente contraria ai principi di universalità, uguaglianza ed equità propri del nostro sistema sanitario nazionale3, dell’agire medico4 e del diritto del mare5, il cui significato non può non ricollegarsi ad altre esperienze di una storia non molto lontana.

Questo comportamento del cattolicissimo governo italiano rimanda alle due cruciali questioni, una economica e l’altra culturale, che da più di due secoli determinano il modo con cui gli Stati europei si rapportano all’Africa.

La prima, che consiste nel più completo disinteresse per l’ipotesi di contrastare i fenomeni migratori di massa tramite la soluzione dei problemi che li generano, affonda le sue radici nello sfruttamento delle risorse naturali del continente africano che le potenze economiche europee e di altri continenti continuano a praticare in modo intensivo in una nuova forma di colonialismo.

La seconda, più concreta e immediata, riguarda l’assoluta mancanza di qualsiasi preoccupazione circa la salvaguardia delle vite dei migranti. Un tale disinteresse per gli esseri umani può spiegarsi solo alla luce della concezione razzista che ha sempre caratterizzato l’approccio culturale usato dagli occidentali nei confronti delle popolazioni africane.

Così, la politica adottata dall’attuale governo italiano per affrontare il tema delle grandi migrazioni ha finito per allinearsi a quella dei Paesi sovranisti, nel contesto di una ripresa dell’ondata xenofoba più o meno diffusa in gran parte dell’Europa.

E allora, le risposte preferite sono quelle più semplici e più brutali: fare blocchi navali6, alzare muri7, radere al suolo8.

Queste parole vengono da lontano.

Nel 1914 fu “rasa al suolo” la comunità armena residente nell’impero ottomano, il Medz Yeghern, operazione che alla fine contò 2 milioni di morti. Appena 30 anni dopo, nel 1943, fu “raso al suolo” il ghetto di Varsavia. Nei campi di sterminio furono “rase al suolo” le comunità Sinti e Rom, il Porajmos, che causò circa 500 mila vittime. Il genocidio delle comunità di lingua yiddish, gli ebrei dell’Europa centrale, contò circa 6 milioni di morti, la Shoah. A Roma il 16 ottobre del 1943, non per un caso un sabato, alle cinque del mattino le SS invasero le strade del quartiere ebraico del Portico d’Ottavia rastrellando circa 1260 ebrei, tra cui oltre duecento bambini. Due giorni dopo, alle quattordici, diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina e dopo sei giorni arrivarono ad Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna ritornarono. Nessuno dei duecento bambini è mai tornato. La comunità ebraica di Roma fu “rasa al suolo”.

Ecco allora che le posizioni espresse insieme da alcuni Paesi europei e dal governo italiano rispetto ai fenomeni migratori non sono identificabili tout court in una semplice forma di cretinismo morale; potremmo definirle invece come una forma involutiva di quest’ultimo. Potremmo definirle “la banalità del male”9, come fecero Hannah Arendt e Primo Levi, una parte oscura della natura umana che rischia, “in occasioni opportune”, di riemergere e trionfare.

Ne “I sommersi e i salvati”10 Primo Levi dice: «I carnefici erano infatti della nostra stessa stoffa […], erano esseri umani medi […], non erano mostri […], avevano un viso come il nostro». Chi compie il male non è un mostro, una persona assolutamente diversa da chi lo subisce; è un essere umano come gli altri e, proprio in ciò sta la banalità del male: chiunque altro avrebbe potuto compierlo.

Ancora, in “Se questo è un uomo”11, lo stesso autore chiese a un altro deportato: «Warum?» (Perché?). La risposta fu: «Hier ist kein Warum!» (Qui non c’è alcun perché!).

La notte del 10 maggio 1933, nella Germania nazionalsocialista, iniziò la campagna a favore dei Bücherverbrennungen (roghi di libri) propagandata dall’ufficio stampa dell’Associazione studentesca della Germania che proclamò una «azione nazionale contro lo spirito non tedesco», durante la quale si doveva effettuare una “pulizia” della cultura tedesca usando il fuoco. La propaganda fu diffusa anche via radio12.

Quella notte gli studenti bruciarono più di 25 mila volumi.

I rettori, i professori e le famiglie degli studenti furono radunati alla presenza delle autorità del partito per assistere ai falò al suono di orchestrine in un’atmosfera di gioia.

Nei roghi furono bruciati i libri di Bertolt Brecht e August Bebel, di Karl Marx, Arthur Schnitzler, Ernest Hemingway, Jack London, Helen Keller, Herbert George Wells, oltre ai libri di autori ebrei quali Franz Werfel, Max Brod, Stefan Zweig.

Vale la pena ricordare che durante una manifestazione a Savona nel 2013, i “Forconi”, fieri sostenitori della destra, gridarono davanti a una libreria: «Bruciamo i libri! Chiudiamo tutte le librerie!»13.

Insomma, siamo abituati a collegare la banalità del male alle violenze dei pogrom, ai vagoni dei deportati, alle loro facce scheletrite, ai falò, perché istintivamente alle parole leghiamo immagini del passato; ma è un errore.

Infatti, è del tutto evidente che i propugnatori europei del sovranismo non si possano neppure minimamente paragonare agli ideologi e alle gerarchie del nazionalsocialismo.

Così, non vedendo oggi intorno a noi rappresentazioni fisicamente concrete della realtà di settant’anni orsono, siamo indotti a credere che parlare di banalità del male sia un’esagerazione, un’iperbole di chi a furia di tentare di comprendere, è ormai vittima della presunzione di spiegare tutto il presente attraverso il passato.

Ma allora, è ancora possibile parlare oggi della banalità del male? Oppure, se quella del nostro governo non è la banalità del male cui si riferirono nel secolo scorso Arendt e Levi, di cosa si tratta? Come potremmo definirla?

Forse, una nuova forma della banalità del male, cui anche noi ci stiamo abituando, c’è.

Si tratta, per dirla con Roberta de Monticelli, «di un fenomeno identificabile con l’appiattimento del dover essere sull’essere, del valore sul fatto, della norma sulla pratica comune, anche se abnorme, e, in definitiva, del diritto sul potere»14. E potremmo aggiungere, della cultura sulla tecnica.

I Rom rubano? Se questo è un “fatto” allora è inutile discutere del valore morale della convivenza, è “normale” la risposta tecnica di radere al suolo i campi. I migranti che arrivano sui barconi sono troppi? Se questo è un “fatto” allora è inutile discutere del diritto d’asilo, dell’accoglienza e della cooperazione, è “normale” la risposta tecnica di ributtarli in mano ai mercanti di uomini in nome del potere che abbiamo di farlo. Così, delle tre dimensioni di un sano mondo morale – conservazione del sé, riconoscimento dell’altro, rispetto della giustizia – che costituiscono il nesso che lega il significato della parola “norma” a quello della parola “normalità”, non è rimasto nulla.

Forse è proprio questo il nuovo significato da dare alla banalità del male: la rifondazione del significato delle parole “norma” e “normalità”; non più la regola di responsabilizzazione che l’uomo riceve da una fonte morale esterna (la religione, la legge, la Costituzione), o interna (la propria coscienza) volta a orientare la sua intenzionalità e ciò che nella norma rientra, cioè il suo comportamento, ma semplicemente il primato dei fatti sui valori, della pratica comune sulla legge, del potere sul diritto.

Se però il senso della banalità del male è cambiato, quella che resta uguale, oggi come allora, è la nostra responsabilità. Evitare il coinvolgimento, non vedere, non sentire e, se possibile, guadagnarci anche qualcosa15. Da questa responsabilità non sono esenti i cittadini ma soprattutto non lo è la classe politica che di essi è l’espressione.

In questa prospettiva, le “occasioni opportune” di cui parlavano Hannah Arendt e Primo Levi altro non sono, nel nostro tempo, se non gli spazi vuoti lasciati all’ignoranza e alla violenza dalla politica.

Morto Aldo Moro, la politica scelse scelleratamente di abdicare al suo ruolo di mediazione e di tutela delle libertà individuali nell’ambito della comunità, di cerniera tra mondo morale e mondo reale, e, in ultima analisi, tra identità nazionale e cultura. Questa politica, riconoscendo il primato del puro economicismo, non solo ne legittima le forze “animali” che lo caratterizzano, ma ammette che esse non debbano più venire a patti con nessuno e che governino davvero il mondo.

In sintesi, come Pasolini preconizzò negli “Scritti Corsari”16, il primato dello sviluppo sul progresso.

Ancora Pasolini scrisse nel 1975 nelle “Lettere Luterane”17: «L’Italia di oggi è distrutta esattamente come l’Italia nel 1945. Anzi, certamente la distruzione è ancora più grave, perché non ci troviamo tra macerie, pur strazianti, di case e monumenti, ma tra macerie di valori: valori umanistici, e, quel che più importa, popolari». E poi: «Il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini, trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori di feticci». 

Chissà che non sia stato proprio questo svuotamento morale che Primo Levi vide ripresentarsi pian piano nel nostro Paese in tutto il tempo tra il suo ritorno da Auschwitz e quell’undici aprile del 1987 e che ha finito per rappresentare la risposta alla sua domanda: “warum?”.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Aghini-Lombardi F, Antonangeli L, Vitti P. Epidemiologia del gozzo endemico in Italia. Ann Ist Super Sanità 1998; 34: 311-4.

2. Scavo N. Parole e politiche senza umanità. Un carico residuale? Avvenire 2022; 8 novembre.

3. Ministero della Salute. I princìpi del Servizio sanitario nazionale. Disponibile su: https://bit.ly/3En5ZIB [ultimo accesso 15 novembre 2022].

4. Elia F, Segre E, Vergano M, Gristina GR. Porte aperte, porti chiusi: la medicina può suggerire qualcosa alla società? Recenti Prog Med 2019; 110: 395-6.

5. Vassallo Paleologo F. Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nell’ordinamento interno. Questione Giustizia 2018; (8): 215-24.

6. tg24.Sky.it. Sbarchi immigrati, cos’è il blocco navale proposto da Giorgia Meloni. 30.08.2022. Disponibile su: https://bit.ly/3GsdArJ [ultimo accesso 15 novembre 2022].

7. Rai News. “Blindare l’Unione europea”, 12 Paesi vogliono muri anti-migranti. Bruxelles: “non con i soldi nostri”. Rai News 2021; 8 ottobre.

8. La Stampa. Salvini: “I campi rom? Da radere al suolo”. La Stampa 2015; 9 aprile. https://bit.ly/3GDVfrI [ultimo accesso 15 novembre 2022].

9. Arendt H. La banalità del male. Milano: Feltrinelli, 2019.

10. Levi P. I sommersi e i salvati. Torino: Einaudi, 2014.

11. Levi P. Se questo è un uomo. Torino: Einaudi, 2005.

12. Enciclopedia dell’Olocausto. Libri al rogo. Disponibile su: https://bit.ly/3E89Mt3 [ultimo accesso 15 novembre 2022].

13. Preve M. Savona, i forconi al libraio: “Chiudete, bruciamo i libri”. La Repubblica 2013; 11 dicembre.

14. De Monticelli R. Al di qua del bene e del male. Torino: Einaudi, 2015.

15. Zancan N. Mafia Capitale e Cosa Nostra dietro il business degli immigrati. La Stampa 2015; 13 marzo.

16. Pasolini PP. Scritti corsari. Milano: Garzanti, 2001.

17. Pasolini PP. Lettere luterane. Milano: Garzanti, 2015.