Verso la revisione del Codice di deontologia medica:
riflessioni di un estremista

Giuseppe R. Gristina1

1Medico anestesista rianimatore.

Pervenuto il 23 dicembre. Accettato il 30 dicembre 2022.

Riassunto. Nel novembre 2022 la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri ha iniziato la revisione del Codice di deontologia medica (Cdm) la cui precedente edizione risale al 2014. I medici italiani devono ancora affrontare le sfide scientifiche, etiche ed economiche che, unite a quelle poste dalla pandemia da Sars-CoV-2 all’intero Sistema sanitario nazionale, sono alla base dell’attuale crisi della professione medica – la cosiddetta “questione medica”. In questo difficile contesto, al medico è richiesto anche di sviluppare nuove competenze tecnologiche, una completa aderenza alla medicina delle evidenze, una nuova visione deontologica di sé in rapporto alle altre professioni sanitarie con le conseguenti, radicali modifiche dell’organizzazione delle prassi cliniche in un’ottica di responsabile gestione delle risorse. In breve, ciò che oggi è richiesto al medico è di ripensare al significato di scienza, etica, economia e sanità pubblica e di operare nuove e più adeguate mediazioni tra le istanze di cui sono portatrici queste diverse discipline. Lo scopo principale del Cdm consiste nel fornire ai medici le norme deontologiche dell’agire clinico al passo con le trasformazioni in corso nella medicina e nella società, ai cittadini e alle istituzioni le necessarie garanzie riguardo alle funzioni di competenza scientifica, di tutela dei diritti fondamentali della persona malata e di presidio della salute pubblica nel rispetto dei principi costituzionali. Tenendo conto di questo assunto e della crisi della professione medica sopra menzionata, almeno le linee generali per una sua soluzione avrebbero dovuto essere tracciate prima di avviare la revisione del Cdm al fine di assicurare la necessaria coerenza tra i contenuti che dovrebbero concorrere a definire la nuova funzione sociale del medico e la sua sistematizzazione codicistica. Tuttavia questo approccio per gradi non è stato considerato. Affinché la revisione del Cdm si potesse sviluppare in una reale prospettiva di progresso della categoria e in modo aderente alla complessità del contesto, sarebbero state necessarie vere e proprie consultazioni preliminari, sistematiche e metodologicamente appropriate per conoscere, valorizzare e bilanciare tutte le diverse posizioni, permettendo ai medici di essere essi stessi responsabili del loro cambiamento. Purtroppo anche questa possibilità non è stata considerata.

Towards the revision of the Italian code of medical ethics: thoughts of an extremist.

Summary. In November 2022 the Italian medical council (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri) started the revision of the Italian Code of medical ethics (Cme) with the first race dating back ten years. Since then, the Italian doctors are dealing with the scientific, ethical and economic challenges together with the more recent ones posed by the Sars-CoV-2 pandemic to the National health system underlying the ongoing crisis of the medical profession. Additionally, this critical context requires the doctors to develop new technological skills, a complete and effective adherence to the Ebm principles, a new view regarding the relationship with the other health care professionals and the related changes of clinical practices fostering a responsible use of resources. In brief, what is required nowadays from doctors is to rethink about the meaning of science, ethics, economics and public health and to make new and more appropriate connections between the instances conveyed by these different disciplines. The Cme main aim consists in providing appropriate rules in step with the current transformations of medicine and society to doctors for ethically acting in clinical practice, assuring the citizens, the institutions and law of the scientific competence, the protection of the fundamental rights of the sick person in compliance with the constitutional principles. Under this assumption and in line with the above mentioned professional crisis, at least the overall guidelines aimed to solve it should have been settled before starting the Cme review also in order to ensure the necessary coherence between the new contents drawing the doctors new social function and its codal systemisation. Unfortunately this stepwise approach was not considered.Lastly, to develop the new Cme looking towards the progress of medical profession, systematic and methodologically appropriate consultations would have been necessary to know, value and balance all the different positions of doctors, allowing them to be responsible for the change of their profession. However, such a decision was not made.

«C’è qualcosa di bello e di selvaggio in queste architetture impossibili. Forse perché ci rendiamo conto che sono esseri in agonia. Le loro luci si stanno spegnendo, i loro corpi si stanno sgretolando [...] anche se molte di queste sentinelle portano ancora avanti la missione di illuminare le acque».

Josè Luis Gonzales Macias. Breve atlante dei fari in capo al mondo. Torino: Einaudi, 2020.

Introduzione

Nel novembre 2022 la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (FNOMCeO) ha iniziato, assieme a un panel multidisciplinare di esperti, i lavori di revisione del Codice di deontologia medica (Cdm) la cui ultima edizione risale al 20141. Intanto, in questi anni, i medici italiani hanno visto giungere al pettine i nodi che affliggono da più di un decennio il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e che oggi ne mettono a rischio la sopravvivenza2.

D’altra parte, la moderna professione medica, sempre più dinamica e interconnessa su scala globale, richiede a coloro che la praticano di affrontare sfide senza precedenti. Queste riguardano la crescente complessità degli aspetti scientifici, la incalzante problematicità delle questioni etiche inerenti la pratica della relazione di cura, la necessità di misurarsi con le forti pressioni esercitate dall’economia.

La pandemia da Sars-CoV-2 ha reso poi evidente che il nostro Ssn è organizzato come “industria” produttrice di prestazioni esclusivamente ricomprese nell’ambito delle attività di diagnosi e cura, e non come un modello di assistenza sanitaria attento ai bisogni di salute, cioè mirato non solo a individuare e trattare il problema clinico, ma anche a intervenire in modo sistematico nel contesto delle variabili che fungono da determinanti sociali, ambientali, economici e culturali della salute, e che fanno riferimento più in generale alla qualità della vita3,4.

In altre parole, mentre ai medici non è ancora chiara la nuova fisionomia che la professione dovrebbe assumere, è a loro chiarissimo che la sua interpretazione nei termini tradizionali non è più sostenibile.

Ciascuna di queste quattro grandi questioni – scientifica, etica, economica e post-pandemica che si proverà di seguito a delineare brevemente tramite alcune esemplificazioni – richiederebbe oggi un’approfondita rilettura critica della figura del medico, in termini di funzione (guarire/stabilizzare le malattie), ruolo (modelli di comportamento professionale) e, conseguentemente, di status (l’immagine che del medico ha la società), finalizzata prima a delineare un nuovo modello di professionista da proporre, solo dopo, come base per la elaborazione di un nuovo Cdm.

La tesi che si proverà dunque a sostenere in questo articolo è che, pur essendo giustificata la necessità di rivedere il Cdm, solo osservando questa specifica sequenza si sarebbe garantita la necessaria coerenza tra i nuovi contenuti che dovrebbero concorrere a ridefinire la funzione e il ruolo del medico e la loro sistematizzazione codicistica al fine di renderla affidabile per i suoi naturali intelocutori: i medici stessi, i cittadini, le istituzioni, il diritto.

I quattro poli della crisi della professione medica

La questione scientifica

Il progresso scientifico e tecnologico svolge un ruolo di primaria importanza nella medicina moderna. Esso rispecchia sia la rapidità con cui la scienza cambia i modi e i mezzi con cui studia i fenomeni, sia l’attenzione che pone alla necessità di usare nuove logiche per decifrare la complessità dei sistemi biologici. Ne è un esempio lo sviluppo, già avviato, della medicina di precisione, basata sulla capacità dell’intelligenza artificiale di elaborare algoritmi decisionali a partire da enormi volumi di informazioni su singoli malati (big data)5 e definita come un processo mirato a conseguire un adattamento delle terapie alle caratteristiche biologiche e genetiche di ogni singolo malato che differisce dagli altri nella sua suscettibilità a una particolare malattia o nella sua risposta a un trattamento specifico6.

Per conferire poi il maggior livello possibile di efficienza/efficacia alla pratica clinica e gestire adeguatamente l’incertezza che ne è parte integrante7, è urgente – la pandemia l’ha dimostrato – che i medici completino il processo culturale finalizzato a sostituire definitivamente la concezione della medicina basata sulle opinioni con quella fondata su un approccio scientifico probabilistico, coscienzioso ed esplicito, basato sulle prove di efficacia (evidence-based medicine) e sull’esperienza, filtrate alla luce della scala valoriale della persona malata e della visione che questa ha maturato di sé e della sua malattia8.

La connettività Internet e i media elettronici hanno inoltre rivoluzionato l’informazione biomedica contribuendo alla diffusione di una mole impressionante di dati permettendo così ai medici di raggiungere livelli di conoscenza finora impensabili. Tuttavia, selezionare tra tutte le informazioni quelle scientificamente più rilevanti e incisive richiede tempo e qualificate competenze – non da tutti i medici possedute o padroneggiate – per leggere criticamente i risultati degli studi9, comprendere la complessità dei sistemi sanitari e la realtà sanitaria in cui si opera10, nonché il modello di sanità futura cui si tende11. Inoltre, quando il flusso dei dati supera la capacità dei medici di interpretarli e gestirli, il rischio che si corre, come è accaduto nel corso della pandemia, è che informazioni non adeguatamente controllate possano influenzare la pratica clinica12-16 e, ancor peggio, l’opinione pubblica, favorendo la circolazione di notizie false e la proliferazione di teorie del complotto17-19. Proprio quest’ultimo aspetto sottolinea la responsabilità deontologica che i medici hanno con il loro comportamento nei confronti della comunità e delle istituzioni20,21.

Tutte le istituzioni mediche dovrebbero adattarsi rapidamente al ritmo, all’entità e ai contenuti che questi cambiamenti impongono alla medicina. In questo senso, il paradigma riduzionista, fondamento del successivo sviluppo delle specializzazioni, della tecnicizzazione della cura e della medicina d’organo, andrebbe sostituito da un approccio epistemologico adeguato a cogliere da un lato la multidimensionalità dei sistemi biologici e della salute umana, dall’altro il rapido evolvere della scienza medica, dei suoi fini e dei mezzi con cui indaga la realtà della malattia.

Questi rinnovati contenuti scientifici dovrebbero considerarsi imprescindibili se si volesse concepire un Cdm davvero in grado di offrire ai medici orientamenti certi, e a tutti gli altri interlocutori istituzionali un’adeguata e affidabile garanzia di qualità riguardante sia le competenze scientifiche possedute dai professionisti sia la loro funzione di presidio della salute pubblica. È dubbio che questi contenuti siano già così capillarmente diffusi nella cultura medica.

La questione etica

La rivoluzione biomedica, sostenuta dalla tecnologia, permette all’uomo di intervenire sulla propria natura. Questo processo evolutivo produce grandi opportunità, ma genera dilemmi morali senza precedenti nella storia della medicina22. Nella società moderna, compaiono nuovi diritti, cresce il valore giuridico della capacità decisionale della persona, l’agire medico non è più legittimato per sé ma è funzione del consenso. La relazione di cura diviene sempre più l’ambito nel quale la persona malata afferma la sua individuale esperienza di malattia per decidere assieme al medico gli scopi e i percorsi della cura e, in alcuni casi, l’inizio o la fine della vita. Il diritto ha già recepito questi cambiamenti23-25. Nasce la medicina narrativa26, che permette al medico di coniugare le pratiche basate sulle prove di efficacia con il racconto del personale vissuto di malattia che emerge nell’incontro clinico e dialogico tra medico e persona malata. Questa forte domanda di personalizzazione della relazione di cura, cui ancora oggi il medico moderno è impreparato a rispondere27, dovrebbe trovare nelle scuole di medicina una risposta formativa centrata oltre che sulla guarigione dell’organo malato anche su quella della cura globale della persona, sostenuta dall’educazione alla comunicazione e all’etica clinica. Coerentemente con questa prospettiva una nuova formulazione del Cdm dovrebbe essere in grado di coniugare la sua funzione di guida con la flessibilità necessaria a includere nell’approccio clinico oltre alla biologia anche la biografia della persona malata. Questa sintesi, lungi dal condurre la norma codicistica a dissolversi nel relativismo, dovrebbe trasformarla in uno strumento utile al medico per realizzare con le persone malate, con i suoi colleghi e con gli altri professionisti sanitari un dialogo etico adeguato a una società plurale svolgendo un ruolo attivo, credibile, di intermediazione tra la professione medica e tutti i suoi interlocutori di riferimento. In un diverso contesto, ma pur sempre in una prospettiva di intermediazione, sulla scorta dell’esperienza pandemica, la deontologia dovrebbe introdurre il concetto di “collettività” a fronte di una dimensione sempre duale (medico/paziente) dell’intero Cdm, per esplicitare che, in determinate condizioni (per es., disproporzione tra domanda di assistenza e risorse disponibili; obbligo vaccinale) l’interesse del singolo deve essere salvaguardato al pari di quello dell’intera comunità, bilanciando di volta in volta i diversi interessi in gioco.

La questione economica

Nei due decenni trascorsi, si è assistito a una costante restrizione della spesa sanitaria pubblica pari a un de-finanziamento del Ssn di 37 mld di euro con una spesa sanitaria pro-capite inferiore alla media Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico)28. Il Ssn è stato trasformato in un insieme di apparati regionali assai diversi tra loro in termini di efficienza29 ma tutti caratterizzati dall’aver sostituito il loro principale obiettivo istituzionale – riconoscimento, intercettazione e soddisfacimento dei bisogni di salute – con l’erogazione di prestazioni remunerate ad un prezzo conveniente per il produttore ma selettivo per la platea dei compratori30. Si sono così generate ampie aree di penalizzazione dei bisogni nella geografia del nostro Paese e il diritto alla salute ha smesso di essere garantito in uguale misura a tutti i cittadini31. La pandemia ha dimostrato i drammatici limiti di questa interpretazione del concetto di sanità pubblica. Peraltro, non è certo che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) apporti correttivi32 poiché il rilancio del finanziamento pubblico (da 113.810 mld di euro a 124.960 mld) imposto dall’emergenza sanitaria è stato già eroso2. Il Documento di economia e finanza (Def) 2022 prevede poi, per il triennio 2023-2025, una riduzione media della spesa sanitaria dell’1,13% annuo e, per il 2025, una riduzione del 6,1% del rapporto spesa sanitaria/Pil, portando il parametro al di sotto del dato pre-pandemico33. In questa prospettiva, l’urgenza di affrontare la complessa situazione economica, unita alla carenza di personale medico (entro il 2024 previsti 40.000 medici in meno nel Ssn)34 richiederebbe nuovi approcci – il tema del task-shifting ne è un esempio – che massimizzino in modo sostenibile efficienza ed efficacia, costituendo un ulteriore fattore di spinta verso l’adozione di nuovi modelli assistenziali non privi di rilevanti ricadute sull’identità di ruolo del medico. Questa difficile congiuntura richiede di sviluppare nuove competenze tecniche, radicali modifiche dell’organizzazione delle prassi cliniche ma anche della visione deontologica che il medico ha di sé stesso in rapporto alle altre professioni sanitarie35. È questionabile che la cultura medica prevalente sia pronta per questa evoluzione e che di conseguenza il nuovo Cdm ne rechi traccia.

D’altra parte, se il compito fondamentale della politica è ancora quello di promuovere il progresso della comunità, non solo nel senso di una crescita economica ma anche in quello della valorizzazione della libertà e del benessere psico-fisico degli esseri umani, allora la politica dovrebbe investire adeguatamente nella sanità. Perché questo obiettivo possa realizzarsi, gli investimenti per la sanità non dovrebbero essere limitati solo a tale ambito, ma dovrebbero tenere conto anche dei determinanti culturali, sociali, ambientali ed economici della salute. Sarebbe quindi necessario che le istituzioni mediche affermassero con chiarezza che la sostenibilità di un sistema sanitario è innanzitutto un problema di scelte politiche, ovvero che la sanità è tanto più sostenibile quanto più si vuole che lo sia.

Una simile presa di posizione presupporrebbe tuttavia che quelle stesse istituzioni assumessero una responsabilità ferma e definitiva nei confronti della politica, che a oggi non è immaginabile36-38, nonostante che l’ultima legge di bilancio e il progetto sull’autonomia differenziata delle regioni mettano a rischio la sopravvivenza stessa del Ssn39,40. Non si comprende quindi come e perché dovrebbe farlo la deontologia che di quelle istituzioni è necessariamente espressione.

Dopo la pandemia

Nel mondo occidentale la pandemia da Sars-CoV-2 ha evidenziato limiti e debolezze di un sistema sanitario organizzato sulla domanda e sull’offerta di prestazioni. Così, se è vero che già mentre si combatteva contro la covid-19 da più parti si andava affermando che dopo nulla sarebbe stato più come prima, oggi, di fatto, nessuna modifica radicale di questo sistema si è ancora evidenziata nel mondo post-pandemico e anzi i decisori tornano a riproporre vecchi schemi40 mentre una grande incertezza sulle sorti del Ssn disorienta malati e professionisti sanitari, come ha sottolineato il Presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno42.

Sarebbe oggi necessario un coraggioso ripensamento della sanità pubblica: una radicale rilettura dei suoi principi – uguaglianza, equità, universalismo – alla luce di una valorizzazione del concetto di bisogno di salute che di quest’ultima considera non solo gli aspetti clinici ma anche gli altri suoi determinanti. Una salute intesa dunque non solamente nel senso di un’assenza di malattia o disabilità, ma come completo benessere fisico, mentale e sociale42 in una dimensione di costante bilanciamento tra gli interessi dei singoli e quelli della comunità, nel rispetto del principio di equa distribuzione delle risorse. In questa prospettiva la promozione della salute è anche promozione della dignità di ogni essere umano, vale a dire libertà di compiere scelte che attengono alla qualità desiderata della propria vita, secondo un progetto di realizzazione individuale, in un’ottica di integrazione tra biologia e biografia per offrire ai cittadini la concreta opportunità di porre in essere la vita che essi desiderano.

A fronte di questa prospettiva innovatrice, l’assistenza sanitaria pre-covid, costruita sulle leggi del mercato, ha evidenziato tre debolezze strutturali ormai incontestabili.

La prima consiste nell’incapacità del sistema di prendersi cura delle persone malate oltre che curarle. L’efficientismo scollegato dalla multidimensionalità dei bisogni delle persone malate ci ha fatto credere che la sola sanità che funziona sia quella dove l’atto tecnico assume l’unica importanza. Così, la produzione in serie di atti tecnici, finalizzata sia nella sanità pubblica sia in quella privata al costante incremento del profitto anche a discapito dell’appropriatezza43, ha finito per essere l’unico reale parametro di valutazione degli operatori, delle unità operative, degli ospedali, degli ambulatori. L’esito è che spesso i malati sono trasformati in meri apparati biologici mentre gli operatori sanitari sono sfiniti e moralmente esauriti da modalità di lavoro più simili a una catena di montaggio taylorista44,45 che a una comunità di esseri umani. Per quanto il sistema possa essere efficiente in termini di risultati sul piano clinico, prima o poi verrà comunque percepito da malati, medici e infermieri come disumanizzante e, in conclusione, crudele, finendo per alimentare l’insoddisfazione e la frustrazione degli uni e degli altri46.

Il secondo punto debole riguarda l’impossibilità di un sistema sanitario “liberista” di distribuire quantità eque di salute. Proprio in ragione della logica commerciale ed economica, quindi concorrenziale, cui obbedisce, questo sistema deve necessariamente ammettere, giovandosene nei fatti, che il livello stesso dell’efficienza e dell’efficacia possa variare al suo interno. Pertanto, come sostenuto da Cosentino e Saitto31, se la salute è un diritto costituzionalmente garantito e il metro per valutare l’efficacia di un sistema sanitario universalista è l’equità nella produzione e nella distribuzione della salute, allora questo sistema non è equo. Questa “verità indicibile” era d’altronde già stata messa in evidenza nei primi anni ’7047 (figura 1) ed è tuttora confermata dalle differenze di mortalità legate alla geografia, alla cultura, al reddito e allo stato socio-economico che ancor oggi caratterizzano le diverse città31 e regioni italiane48.




Al contrario, un sistema sanitario in grado di riconoscere, intercettare e soddisfare i diversi bisogni di salute promuovendo una sanità più equa, valorizza l’appropriatezza clinica permettendo ai medici di usarla come risorsa professionale, ai decisori di comprendere che migliorarla non significa ridurre i costi ma ottimizzare le risorse, a entrambi di eliminare interventi inutili sovrautilizzati e offrire interventi di provata efficacia sottoutilizzati. L’ottimizzazione delle risorse, resa possibile dalla diversa concezione di sanità pubblica, permetterebbe di valorizzare, rilanciare e rafforzare il capitale umano costituito da tutti i professionisti della salute49. In questo modo le istituzioni potrebbero informare sia le persone sane sia quelle malate sull’efficacia e sulla sicurezza degli interventi sanitari realmente utili, al fine di arginare le aspettative irrealistiche nei confronti di una sanità infallibile educando al contenimento dei desideri50,51.

Il terzo e ultimo elemento di debolezza fa riferimento alla necessità di riconsiderare il tema dell’allocazione delle risorse sanitarie alla luce della sfida politica, economica, culturale lanciata dall’emergenza pandemica. L’esigenza di razionare le risorse ricorrendo a criteri di triage sperimentata nei periodi più crudi della pandemia52 ha dimostrato che queste non sono illimitate come l’industria sanitaria, per sua convenienza, si è compiaciuta di far sempre credere, e pur essendo la vita e la salute riconosciute come diritti fondamentali, in alcune situazioni può non essere sufficiente soddisfare i criteri della non rivalità nel consumo dei beni comuni e della non escludibilità di ogni essere umano. Quando infatti diventa impossibile soddisfare i bisogni di tutti, la rivalità diviene inevitabile, finendo per equivalere all’esclusione53. I dilemmi etici non si risolvono con l’abbondanza come oggi siamo tornati a credere nonostante la dura lezione impartita dalla pandemia; essi nascono paradossalmente dal sistema universalista, che essendo per sé stesso un sistema di diritti, crea immediatamente una tensione tra quelli del singolo a essere curato e quelli della comunità a essere tutelata54. In ogni momento, infatti, a prescindere dalla loro entità, le risorse disponibili sono finite e, in ogni momento, saranno ripartite secondo criteri che soddisferanno in modo differente bisogni diversi, ma non tutti, come nel caso non solo dei primi trattamenti dialitici o dei trapianti d’organo o dei farmaci per la cura dell’epatite C, ma anche di una semplice lista di attesa per un intervento chirurgico elettivo30. Esplicitare questi criteri inoltre li renderebbe valutabili anche dai cittadini permettendo loro di compiere scelte consapevoli e responsabili.

È legittimo chiedersi come la deontologia medica possa restituire la criticità e l’ampiezza dei temi che la pandemia ha portato prepotentemente all’attenzione di tutti senza che le istituzioni mediche abbiano peraltro preso ufficialmente una posizione chiara in merito.

Discussione

È in relazione all’area di incertezza correlata a queste quattro grandi questioni tuttora irrisolte che nasce la “questione medica”, o più esplicitamente, la crisi della professione.

Quello di cui ci sarebbe bisogno oggi nella società, così come si è andata strutturando, è un modello di professionista in grado di rileggere i significati di scienza, etica, economia e sanità pubblica e di operare nuove e più adeguate mediazioni fra tutte queste istanze. Per farlo però la medicina dovrebbe aprirsi alla complessità del mondo.

La deontologia, in quanto prodotto della cultura medica, non può risolvere autonomamente i problemi che si è provato a delineare qui in modo sia pure sommario, e che costituiscono solo alcune delle diverse facce della crisi della professione. Se la medicina risolverà la sua crisi scegliendo di essere “preventiva, sociale, collettiva e umana”55 riuscirà anche ad aprirsi alla complessità della società moderna e ad avviare un dialogo efficace con tutti i suoi interlocutori. In quanto espressione di questo nuovo modello di medicina, la deontologia potrà rappresentare più facilmente un sistema di riferimento costruito, più che su un semplice elenco di regole, su contenuti condivisi, trasparenti, fruibili perché sufficientemente duttili da garantire risposte utili alla variabilità dei casi concreti, ai rapidi e incessanti cambiamenti scientifici, sociali, economici e culturali che caratterizzano questo tempo, alla necessità di promuovere l’autonomia e la responsabilità dei professionisti. In sintesi, non una deontologia debole e incapace di disciplinare, ma anzi finalizzata a disciplinare in modo efficace e compatibile, evitando così la sua stessa delegittimazione. Proprio grazie a questa nuova capacità di rappresentare la realtà della medicina moderna in modo credibile perché coerente con la sua complessità, la deontologia saprà allora anche reagire alla crescente attenzione che nei suoi confronti pone il diritto56, fornendo a quest’ultimo un utile strumento interpretativo di quella complessità e una solida giustificazione per aprirsi finalmente a una concezione “mite” della norma57. In questa nuova veste essa potrà rappresentare anche l’asse lungo il quale si articoleranno le nuove garanzie che la professione medica dovrà fornire alla popolazione e alle istituzioni soprattutto riguardo alle funzioni di una rinnovata competenza scientifica, di tutela dei diritti fondamentali della persona malata, di presidio della salute pubblica nel rispetto dei principi costituzionali.

Viceversa, una medicina autoreferenziale e chiusa nel suo corporativismo produrrà sicuramente una deontologia costituita ancora una volta da una collezione di regole rigide, difensivistiche, astrattamente concepite, talvolta ambigue, per la pretesa di normare una materia troppo complicata, altre volte di struttura fin troppo minuziosa e perciò di problematica gestione.

In ultimo, affinché i lavori di revisione del Cdm citati in esordio si potessero sviluppare in una prospettiva di progresso della categoria, ma anche di realistica aderenza alla complessità del momento, condizione preliminare e ineludibile sarebbe stata avviare vere e proprie consultazioni condotte in modo sistematico attraverso appropriate metodologie di indagine, per conoscere, valorizzare e bilanciare tutte le diverse posizioni, permettendo ai medici di essere essi stessi responsabili del loro cambiamento, posto che cambiare sia davvero di loro interesse. Una simile decisione non è stata però considerata58, malgrado gli “Stati Generali della medicina”59, passati pressoché inosservati, abbiano dimostrato che qualsiasi iniziativa calata dall’alto è destinata a fallire.

Così, indipendentemente dal risultato che la revisione del Cdm produrrà, non potremo mai sapere se esso rispecchierà realmente la visione che i medici hanno del mondo, della professione che in esso agisce e della deontologia stessa.

Conclusioni (auspicabilmente non conclusive)

La soluzione della crisi della professione medica richiederebbe non solo che se ne identificassero e se ne analizzassero i singoli aspetti, ma soprattutto che i medici per primi, come categoria professionale, ne possedessero una visione complessiva, organica e coerente utile a fornire finalmente soluzioni univoche e concrete. In merito a tutto questo però il loro pensiero rimane ancora in gran parte inesplorato.

Da qui la difficoltà, in questa sede, di affrontare esaustivamente un tema così complesso. D’altra parte, scopo dell’articolo non era quello di proporre una visione esaustiva, in termini di analisi e prospettive, della “questione medica”. Piuttosto, quello che si è cercato di dimostrare, utilizzando alcuni degli aspetti della crisi della professione medica, è che, se si accetta il presupposto secondo il quale la deontologia dovrebbe essere espressione di una medicina aderente alla realtà moderna, sarebbe stato necessario che i medici prima di tutto avessero almeno avviato il percorso di rinnovamento necessario a rispondere alla domanda di fondo: per essere all’altezza delle sfide scientifiche, etiche, economiche e post-pandemiche che la modernità lancia alla professione medica, come deve cambiare la figura del medico, in termini di ruolo, funzione e status?

In questa prospettiva sarebbe stato possibile, come tappa successiva, indicare, anche solo per linee generali, le direttrici lungo le quali sviluppare i nuovi contenuti da infondere nel processo di elaborazione del nuovo Cdm e quindi di elaborarne una nuova forma.

È dubbio, dunque, che la revisione del Cdm di per sé possa essere davvero utile, ancorché migliorativa rispetto alla precedente edizione, se si lasciano poi aperti i problemi che costituiscono essi stessi la ragione prima della necessità di una sua revisione.

Ringraziamenti: si ringrazia la dott.ssa Elisabetta Pulice (PhD, Laboratorio dei diritti fondamentali, Torino; Gruppo BioDiritto, Università di Trento) per il confronto sul ruolo della deontologia.

Conflitto di interessi: l’autore dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

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