Le società scientifiche hanno bisogno delle riviste e viceversa?

Aileen Fyfe1

1Professor of Modern History, University of St Andrews (United Kingdom).

Riassunto. Quando, a partire dalla metà del 1600, alcune società scientifiche iniziarono a fondare nuove riviste, l’obiettivo era culturale: si riteneva importante disseminare le conoscenze elaborate dai fellow, che erano sia gli autori degli articoli, sia i revisori degli stessi, sia i principali lettori. Nella seconda metà del Novecento, invece, le società scientifiche hanno iniziato a considerare la pubblicazione di riviste di proprietà principalmente come una fonte di ricavi, utili al mantenimento di un equilibrio economico delle associazioni. Questo cambiamento – dovuto soprattutto all’interesse delle biblioteche ad acquisire periodici – andava di pari passo con l’aumento degli autori esterni alle società stesse e con la diminuzione del legame tra i soci e le riviste delle associazioni a cui erano iscritti. La connotazione nazionale o regionale di molte società scientifiche le rende inadatte a costituire le strutture migliori per gestire un futuro della comunicazione scientifica che dovrebbe essere aperto, diversificato ed equo, e operare su scala globale.

Do journals need societies, and do societies need journals?

Summary. Starting in the mid-1600s, a number of scientific societies began to establish journals. The aim was to disseminate the knowledge developed by their fellows. The members of the societies were both the authors and reviewers of the articles as well as the main readers. Historically, there has been a tight link between journals, journal publications and a community of scholars working in specific fields of research who contribute to and manage them. In the second half of the 20th century, however, scientific societies began to consider the publication of their own journals primarily as a source of revenue, useful for the economic balance of the societies. The change was mainly due to the interest of libraries in acquiring periodicals to make available to readers. Gradually, the number of authors from outside the societies themselves increased and the link between members and the journals of the associations they belonged to decreased. Today, the national or regional connotations of many scientific societies make them unsuitable for managing a future of scholarly communication that should be open, diverse and fair, and operate on a global scale. As journal publishing has become a global undertaking and moreover, an undertaking that is increasingly mediated through online digital interactions, the author asks, do we need to rethink the structure of the learned societies that underpins them?

È passato quasi un decennio da quando ho iniziato a riflettere sull’editoria accademica e sulle società scientifiche. Con il mio team abbiamo trascorso quattro anni a rovistare tra i verbali, la corrispondenza e i rapporti conservati negli archivi della Royal Society di Londra, e quasi altrettanto tempo a elaborare, analizzare, scrivere e rivedere la storia delle riviste scientifiche1. Inizialmente l’idea era di indagare sulla storia della pubblicazione delle riviste scientifiche, ma, immersi nell’archivio e nella storia della Royal Society, non abbiamo potuto fare a meno di notare il cambiamento del rapporto tra le riviste e le società scientifiche in generale.

Il più delle volte, quando mi viene chiesto di parlare di società scientifiche e riviste, il contesto è quello economico. È facile capire perché, dato che molti tesorieri di società o direttori di riviste sono realmente preoccupati della possibilità che la pubblicazione di riviste sia una fonte di reddito per le società in futuro. Per queste persone, i risultati della nostra ricostruzione storica non sono forse rassicuranti, almeno inizialmente. È chiaro che, per la maggior parte della loro storia, le riviste accademiche non sono state imprese che producevano denaro. Come disse un commentatore nel 1895, le spese di pubblicazione per i documenti di ricerca sono «in molti casi assai onerose», ma «il pubblico che acquista una particolare pubblicazione scientifica è molto limitato» (Lord Rayleigh, segretario della Royal Society, scrive al Ministero del Tesoro2).

Alcune riviste con un approccio alla scienza più vivace hanno trovato un numero di lettori disposti ad abbonarsi sufficiente a coprire le spese, ma le riviste accademiche nel XVIII e nel XIX secolo dipendevano da sovvenzioni di membri di associazioni di eruditi, mecenati di corte, ricchi donatori o, più recentemente, da sponsor industriali e agenzie di finanziamento della ricerca. Solo negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso lo sviluppo di un mercato internazionale di abbonati alle biblioteche ha permesso alle riviste accademiche di trovare un numero di clienti paganti sufficiente a coprire le spese, accantonando l’utile netto. Tuttavia, la capacità dei bilanci delle biblioteche di sostenere il numero crescente di riviste sempre più costose è stata di breve durata, come dimostrano i numeri degli abbonamenti alla Royal Society riportati nella figura 12.




In termini storici, la redditività delle riviste accademiche nel terzo quarto del XX secolo sembra essere stata simile a un lampo. Nel lungo periodo che ha preceduto l’avvio dell’acquisto di abbonamenti da parte delle biblioteche, le riviste si sono sostenute mettendo insieme un portafoglio dovuto a un flusso di un insieme di molteplici piccole entrate per sostenere i costi di pubblicazione. Approcci simili vengono utilizzati nella transizione verso l’editoria open access.

È importante rendersi conto che il vecchio approccio alla sostenibilità delle riviste si basava su una concezione non commerciale della “circolazione”. La circolazione e la diffusione delle riviste di proprietà erano importanti per le società e le accademie del XVIII e XIX secolo, ma non per motivi finanziari. La Royal Society forniva copie gratuite delle sue riviste ai suoi iscritti, alle biblioteche di altre società, alle biblioteche delle università e a una serie di istituzioni culturali in Gran Bretagna, in Europa e (in parte) nel resto del mondo (figura 2)1.




Si trattava di un modo pratico per garantire che le sue riviste raggiungessero i ricercatori e le comunità degli studiosi più interessati. Alcune organizzazioni ricambiavano la cortesia, inviando le proprie riviste alla biblioteca della Royal Society. Ma non si trattava di una soluzione indolore dal punto di vista dei costi. Una revisione interna del 1954 rivelò che la Società spendeva ogni anno circa 3.300 sterline per la produzione e la spedizione di queste copie, ricevendo in cambio solo circa 900 sterline di riviste per la propria biblioteca.

Questo approccio alla circolazione si è rivelato economicamente insostenibile con l’aumento della produzione della ricerca scientifica nel XX secolo e con l’internazionalizzazione della scienza nel dopoguerra, che ha aumentato il numero di istituzioni accademiche che necessitano di accesso. Una soluzione tecnologica è stata sognata fin dagli anni Cinquanta, ma è solo di recente che la distribuzione elettronica potrebbe rendere nuovamente praticabile per alcune società scientifiche un approccio non commerciale e finalizzato all’obiettivo della circolazione del sapere.

Ma il denaro – sia come sovvenzione sia come reddito – non è l’unico elemento che collega le società scientifiche e le riviste. Entrambe sono legate a comunità di studiosi: i membri delle società e gli autori, i lettori e i revisori delle riviste. La sovrapposizione tra queste comunità spiega perché molte società gestiscano riviste e perché alcuni gruppi di studiosi che animavano riviste abbiano finito per fondare delle associazioni per sostenerle. Meno comunemente si nota, tuttavia, come la relazione tra un gruppo di lavoro costituito intorno a una rivista e la comunità di chi è iscritto a una società scientifica non sia unica o fissa.

Quando furono fondate nel 1665 le Philosophical Transactions, i soci della Royal Society non erano inizialmente importanti ai fini della redazione o dei processi di revisione; tuttavia, in un’epoca in cui il numero di studiosi di lingua inglese interessati alle scienze era esiguo, essi costituivano il nucleo dei lettori. Nel corso del Settecento e dell’Ottocento, la rivista fu strettamente associata alla Royal Society e i fellow della società divennero la principale fonte di contenuti (sia come autori, sia trasmettendo articoli dalle loro reti di influenza). Man mano che i processi editoriali e di revisione diventavano più complessi, il coinvolgimento dei soci in questi processi (e il loro controllo) sottolineava un’altra strada per cui le Transactions erano diventate una rivista della Royal Society, piuttosto che pensata per la Società. Il pubblico di lettori a cui era destinata si estendeva ormai ben oltre la cerchia dei soci della Società.

Nel corso del XX secolo, il cambiamento delle dimensioni e della natura dell’impresa scientifica ha spostato il rapporto tra i soci della Società e le comunità associate alla rivista. I soci sono diventati solo una piccola parte degli autori e dei lettori delle riviste e, negli anni ’90, hanno smesso di essere l’unica fonte capace di apportare competenze editoriali e di revisione. Nel 1995, una survey ha coinvolto gli iscritti alla Società e ha rivelato una scarsa disponibilità a “pubblicare [sulla rivista dell’associazione] i propri articoli (o quelli dei colleghi più giovani)”, né i soci hanno ammesso di leggere le riviste se non “occasionalmente”. I fellow della Società potrebbero ancora aver espresso “buona volontà” nei confronti delle riviste, ma la discrepanza tra la “comunità interna alla Società” (piccola e britannica) e la “comunità che si riconosce nelle riviste” (grande e internazionale) ha fatto sì che ai soci mancasse il senso di “appartenenza” nei confronti delle riviste che avevano un tempo. Per alcuni dei fellow e del personale negli anni ’90, la funzione principale delle riviste per la Società sembrava essere quella di generare reddito.

Ci sono indubbiamente ancora riviste accademiche, probabilmente in piccoli settori specifici, che rimangono strettamente associate a una specifica società, i cui membri comprendono la maggior parte degli autori, dei revisori e dei lettori della rivista. Ma ci sono anche molte riviste che si collocano a metà strada tra questo modello e quello esemplificato dalle grandi società scientifiche moderne.

Comincio a chiedermi se le associazioni scientifiche di oggi siano in realtà le strutture organizzative migliori per sostenere in futuro la comunicazione accademica. Molte delle funzioni delle società scientifiche e professionali (dai meeting finalizzati alla ricerca alle attività politiche ed educative) mi sembra che funzionino meglio a livello nazionale o regionale e quando gli iscritti condividono valori intellettuali e sociali sostanziali. Ma le società con una precisa identità locale o nazionale potrebbero non essere le strutture migliori per gestire un futuro della comunicazione scientifica che dovrebbe essere aperto, diversificato ed equo, e operare su scala globale. Continuo a credere che (come sosteneva la Royal Society nel 1963)3 le riviste accademiche abbiano bisogno del sostegno e della supervisione delle comunità di ricercatori, ma la riflessione sul cambiamento del rapporto tra le Transactions e la fellowship della Royal Society mi porta a suggerire che dovremmo prestare maggiore attenzione al modo in cui le comunità associate alle riviste e alle società traggano beneficio da questo rapporto, e che dovremmo porci questa domanda in termini più ampi di quelli strettamente legati agli aspetti della redditività economica.

Ringraziamenti: questo contributo di Aileen Fyfe [licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License] è stato pubblicato in lingua inglese il giorno 11 gennaio 2023 su Impact blog della London School of Economics and Political Sciences.

Conflitto di interessi: l’autrice dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Bibliografia

1. Fyfe A, Moxham N, McDougall-Waters J, Mørk Røstvik C. A history of scientific journals. London: UCL Press, 2022.

2. Fyfe A. From philanthropy to business: the economics of Royal Society journal publishing in the twentieth century. Notes and Records 2022; August 3.

3. Fyfe A. Ownership and control of scientific journals: the view from 1963. https://arts.st-andrews.ac.uk/