Dalla letteratura

Esposizione al particolato e patologie cardiovascolari

Il particolato con diametro aerodinamico ≤2,5 µm (PM2,5) è uno dei principali componenti dell’inquinamento atmosferico. Sono particelle abbastanza piccole da essere inalate profondamente nei polmoni e possono entrare nel flusso sanguigno, causando una serie di problemi di salute come infiammazione sistemica, vasocostrizione, disturbi del ritmo cardiaco e coagulopatie, tutti fattori che possono contribuire allo sviluppo di malattie cardiovascolari, con un aumento collegato di rischio di ricovero e mortalità. Le esposizioni croniche al PM2,5 della durata di un anno o più costituiscono un rischio molto maggiore per la salute cardiovascolare rispetto alle esposizioni di breve durata.

Uno studio pubblicato sul BMJ ha stimato le associazioni esposizione-risposta tra l’esposizione media di tre anni al PM2,5 e il rischio di un primo ricovero ospedaliero per sette principali sottotipi di malattia cardiovascolare: cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia, cardiopatia valvolare e aneurisma dell’aorta toracica e addominale. È stato inoltre valutato il rischio di primo ricovero in ospedale per il composito di questi sottotipi di patologie cardiache. Sono state previste nel protocollo anche analisi di sottogruppo in base a fattori individuali e di zona di residenza per identificare i gruppi suscettibili, in particolare i quartieri socioeconomicamente svantaggiati.

Quali risultati? L’esposizione media di tre anni al PM2,5 è associata a un aumento del rischio relativo di un primo ricovero ospedaliero per cardiopatia ischemica, malattia cerebrovascolare, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia e aneurismi dell’aorta toracica e addominale. Per l’esito composito di diverse patologie cardiache, la curva esposizione-risposta suggerisce che non esiste una soglia sicura per la salute cardiovascolare complessiva. In sostanza, i rischi di cardiopatia ischemica, malattie cerebrovascolari, scompenso cardiaco e aritmia in associazione al PM2,5 sono considerevoli, sottolineando la necessità di interventi mirati per mitigare le conseguenze negative dell’esposizione. Gli effetti cardiovascolari persistono per almeno tre anni dopo l’esposizione al PM2,5. La suscettibilità varia in base all’età, al livello di istruzione, all’accesso ai servizi sanitari e al livello di deprivazione generale del quartiere.




Bibliografia

1. Wei Y, Feng Y, Danesh Yazdi M, et al. Exposure-response associations between chronic exposure to fine particulate matter and risks of hospital admission for major cardiovascular diseases: population based cohort study. BMJ 2024; 384: e076939.

Rischio cardiovascolare e micro e nanoplastiche

In tutto il mondo, l’ambiente è sempre più minacciato dall’inquinamento da plastiche derivanti da processi industriali. La plastica si degrada nel tempo in particelle più piccole note come microplastiche (con dimensioni inferiori a 5 mm) e nanoplastiche (inferiori a 1.000 nm), che possono penetrare nel corpo umano attraverso l’ingestione, l’inalazione e il contatto diretto con la pelle. Studi hanno dimostrato la presenza di queste particelle anche nella placenta, nei polmoni, nel fegato e in altri tessuti umani.

Le microplastiche e le nanoplastiche (Mnp) stanno emergendo come possibili fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, come indicato da studi preclinici. Tuttavia, al momento mancano prove dirette che confermino questo rischio nell’uomo. Un interessante studio osservazionale condotto da clinici e ricercatori dell’università di Napoli ha evidenziato che minuscole particelle di plastica provenienti dall’ambiente si infiltrano nelle lesioni vascolari delle persone, preannunciando potenzialmente lo sviluppo di malattie cardiovascolari future nei pazienti sottoposti a endoarterectomia carotidea1.

Lo studio ha coinvolto pazienti con malattia carotidea asintomatica sottoposti a endoarterectomia carotidea. I campioni di placca carotidea rimossi sono stati analizzati per la presenza di Mnp utilizzando varie tecniche. Sono stati valutati anche i biomarcatori infiammatori. L’endpoint primario dello studio composito: infarto miocardico, ictus o morte per qualsiasi causa nei pazienti che presentavano evidenza di Mnp nella placca rispetto a quelli in cui non erano presenti.

I risultati dello studio hanno evidenziato che i pazienti con presenza di Mnp all’interno dell’ateroma avevano un rischio significativamente maggiore di soffrire un evento cardiovascolare rispetto a quelli senza Mnp.

Passando dallo sguardo sullo studio all’osservazione più generale, è preoccupante notare che la produzione annuale di plastica, stimata attualmente intorno a 400 milioni di tonnellate, è destinata a raddoppiare entro il 2040 e triplicare entro il 2060. Questo aumento è attribuibile al passaggio dei produttori di combustibili fossili dalla vendita di energia alla produzione di plastica. Philip Landrigan del Boston College e del Centre




Scientifique de Monaco ha sottolineato in un Editoriale di commento allo studio l’urgenza di un’azione internazionale, evidenziando l’importanza del coinvolgimento delle Nazioni Unite nello sviluppo di un trattato globale sulla plastica2. Ha anche invitato gli operatori sanitari a sostenere questo accordo, enfatizzando la necessità di fissare un tetto globale obbligatorio alla produzione di plastica, stabilire obiettivi e scadenze, limitare l’uso di plastica monouso e regolamentare le sostanze chimiche presenti nelle plastiche.

In conclusione, sia dalla prospettiva della ricerca medica sia da quella delle politiche ambientali, è essenziale affrontare urgentemente il problema dell’inquinamento da plastica e adottare misure concrete per mitigare i suoi effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente.




Bibliografia

1. Marfella R, Prattichizzo F, Sardu C, et al. Microplastics and nanoplastics in atheromas and cardiovascular events. N Engl J Med 2024; 390: 900-10.

2. Landrigan PJ. Plastics, fossil carbon, and the heart. N Engl J Med 2024; 390: 948-50.

La diagnosi precoce del cancro fa paura

Su Sensible medicine è stato pubblicato un post molto interessante di Adam Cifu (medico internista e docente all’università di Chicago) centrato sulla diagnosi precoce del cancro. «Con la tecnologia attuale – scrive Cifu – la diagnosi precoce del cancro – espressione che uso in modo intercambiabile con quella di screening oncologico – troppo spesso non riesce a migliorare la mortalità complessiva. Al contrario, riesce a produrre una sovradiagnosi e un sovratrattamento». Il secondo dei cinque punti elencati da Cifu riguarda un nuovo test molto pubblicizzato soprattutto negli Stati Uniti: «Se lo screening oncologico che attualmente accettiamo come standard di cura mi spaventa, allora i nuovi test di screening – come il test Galleri o la risonanza magnetica total body – mi terrorizzano. Noi (pazienti, medici, sviluppatori di software, imprenditori) non abbiamo la pazienza necessaria per raccogliere i dati necessari a dimostrare che questi test riducono la mortalità».

Cifu passa poi a considerare gli aspetti economici: «Mi spaventa il costo di questo tipo di screening oncologico. Coloro che hanno la disponibilità economica per spendere 1.000 dollari per un test di screening di cui non disponiamo di prove di efficacia finiscono per sottrarre risorse per l’assistenza sanitaria a coloro che hanno bisogno di denaro per pagare interventi di comprovata efficacia come le vaccinazioni infantili e il trattamento di malattie sintomatiche che peggiorano la qualità della vita delle persone».

Le considerazioni finali riguardano aspetti più generali: «Ho anche paura di come questo tipo di screening influenzerà la medicina. Anche se non mi piace, ritengo che una parte necessaria della pratica della medicina sia rendere consapevoli le persone dell’inevitabilità del nostro declino e della nostra morte. Come tutti noi, mi piacerebbe avere a disposizione trattamenti per un numero maggiore di malattie che rendono più breve la nostra vita. Ma i test e i trattamenti che promettono di proteggerci dall’inevitabile, da quelle malattie che mi sembrano parte integrante della condizione umana, mi preoccupano. Ecco perché la speranza di una diagnosi precoce e di una cura per il cancro o per la demenza senile mi sembra poggino sul nulla. Chiamatemi disfattista, pessimista o vecchio medico che non riesce a sognare un futuro migliore per la medicina. Preferisco pensare che sono realista, sia come medico che come uomo».

E l’ultimo passaggio, ancora più personale: «Ho paura di questo tipo di screening del cancro perché ho paura del cancro. […] Temo di essere tentato da test pubblicizzati come protettivi da questo destino».




Bibliografia

1. Cifu A. I’m afraid of early cancer detection. Sensible Medicine 2024; 22 febbraio.

Farmaci oncologici: troppo costosi per il loro valore

La quota di spesa per le cure oncologiche destinata ai farmaci oncologici è in costante aumento, soprattutto a causa dei crescenti volumi di farmaci innovativi che arrivano sul mercato e dei prezzi elevati associati a questi trattamenti. Di conseguenza, si stima che la spesa globale per i farmaci oncologici aumenterà da 167 miliardi di dollari (155 miliardi di euro) nel 2020 a 269 miliardi di dollari nel 2025. I prezzi elevati dei farmaci oncologici sono spesso giustificati dalla necessità di recuperare le spese di ricerca e sviluppo (R&S) e dal valore che questi farmaci intendono fornire ai pazienti.

Se i prezzi siano veramente giustificati dai guadagni richiesti e dal valore – o beneficio aggiunto – che questi farmaci forniscono ai pazienti è stato oggetto di un ampio dibattito. Sempre più spesso, i farmaci oncologici vengono approvati sulla base di prove incomplete, come quelle ottenute da studi non randomizzati o a braccio singolo, o sulla base di endpoint surrogati che non rappresentano direttamente un beneficio clinico, ma che tutt’al più potrebbero prevederlo. Di fronte a prezzi terribilmente elevati, all’aumento del ricorso a percorsi di approvazione accelerati e alle conseguenti difficoltà di valutazione dei benefici aggiunti, cresce la preoccupazione che gli incentivi all’interno del mercato farmaceutico non siano in linea con gli interessi dei pazienti, vale a dire un accesso rapido e sostenibile ai farmaci che però siano in grado di garantire benefici clinici.

Gli obiettivi di uno studio pubblicato sul BMJ1 erano quelli di analizzare i benefici aggiunti dei farmaci oncologici approvati dalla European medicines agency (Ema) tra il 1995 e il 2020; valutare i corrispondenti ricavi cumulativi rispetto ai costi stimati di R&S ed esplorare l’associazione tra benefici aggiunti e ricavi. Inoltre, gli autori hanno cercato di esaminare se esistano discrepanze nei benefici aggiunti o nei ricavi tra i vari percorsi di approvazione dell’Ema: autorizzazione all’immissione in commercio standard (Sma), autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (Cma) e autorizzazione in circostanze eccezionali (Aec).

Lo studio ha dimostrato che i farmaci oncologici approvati dall’Ema tra il 1995 e il 2020 si sono rivelati spesso poco o per nulla vantaggiosi. I risultati hanno mostrato che il tempo mediano per compensare i costi mediani stimati di R&S, pari a 684 milioni di dollari, è stato di tre anni, e 50 dei 55 farmaci inclusi (91%) hanno recuperato tali costi entro otto anni. Abbiamo riscontrato che valutazioni più elevate dei benefici aggiunti erano generalmente accompagnate da maggiori ricavi. Inoltre, le valutazioni negative dei benefici aggiunti erano più comuni per i farmaci inizialmente approvati tramite Cma e Aec rispetto alla Sma, e i ricavi cumulativi dei farmaci sono risultati nettamente inferiori per le Cma rispetto alle Sma. Di conseguenza, le Cma iniziali hanno richiesto più tempo per compensare la spesa mediana stimata per la R&S rispetto alle Sma (quattro anni contro tre).

In conclusione, nonostante l’industria farmaceutica sostenga che i prezzi elevati dei farmaci sono necessari per sostenere i costi di R&S, questo studio non ha trovato alcuna correlazione tra i prezzi dei farmaci e le spese di R&S. In una “linked opinion” sempre pubblicata dal BMJ, gli autori sollecitano i politici a rivalutare costantemente le iniziative in corso e quelle nuove, volte a garantire un accesso equo, economico e sostenibile dei pazienti ai farmaci innovativi e costosi. Inoltre, sottolineano l’importanza di studiare e promuovere l’uso razionale dei farmaci oncologici nella pratica clinica. Serve lavorare per un futuro in cui lo sviluppo dei farmaci e le risorse limitate si allineino maggiormente ai benefici reali per i pazienti2.




Bibliografia

1. Brinkhuis F, Goettsch WG, Mantel-Teeuwisse AK, Bloem LT. Added benefit and revenues of oncology drugs approved by the European Medicines Agency between 1995 and 2020: retrospective cohort study. BMJ 2024; 384: e077391.

2. Brinkhuis F, Goettsch WG, Mantel-Teeuwisse AK, Bloem LT. High cost oncology drugs without proof of added benefit are burdening health systems BMJ 2024; 384: q511.

Revocata l’approvazione di un farmaco oncoematologico

La Food and drug administration (Fda) statunitense ha annunciato la decisione finale di ritirare l’approvazione di Pepaxto (melfalan flufenamide), approvato per l’uso in combinazione con desametasone per il trattamento di alcuni pazienti affetti da mieloma multiplo. L’agenzia regolatoria americana ha basato la propria decisione su due ragioni che determinano necessariamente la revoca: primo, lo studio condotto come condizione per l’approvazione accelerata non ha confermato il beneficio clinico di Pepaxto e, secondo, le prove disponibili dimostrano che Pepaxto non è sicuro o efficace nelle condizioni di utilizzo.

La decisione finale con effetto immediato è stata emessa dal direttore del Center for biologics evaluation and research della Fda, Peter Marks, in qualità di incaricato del Commissario. È la prima volta che la Fda utilizza le procedure seguite per la revoca dell’approvazione accelerata, promulgate nel 2023 nell’ambito del Food and drug omnibus report act del 2022. In conformità con le nuove procedure, la Fda ha fornito preliminarmente all’azienda produttrice un avviso di proposta di revoca dell’approvazione, una spiegazione della revoca e l’opportunità di un incontro e di un appello scritto al Commissario. L’azienda ha presentato un ricorso scritto e si è incontrata con l’incaricato del Commissario. Infine, la Fda ha confermato la propria decisione.

Bibliografia

1. FDA issues final decision to withdraw approval of Pepaxto (melphalan flufenamide). FDA 2024; 23 febbraio.