Esperienze cliniche con encorafenib e cetuximab in pazienti con carcinoma metastatico del colon-retto con mutazione BRAFV600E dopo recidiva precoce alla chemioterapia adiuvante

Vincenzo Formica1, Marco Maria Germani2, Giulia Piacentini3, Elena Traverso3, Chiara Cremolini2

1Oncologia medica, Dipartimento di Medicina dei sistemi, Università di Tor Vergata, Roma; 2UO Oncologia 2, Dipartimento di Ricerca traslazionale e nuove tecnologie in medicina e chirurgia, Università di Pisa; 3SC Oncologia, Azienda ospedaliero-universitaria “SS. Antonio, Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria.

Pervenuto il 12 maggio 2025. Accettato il 23 maggio 2025.

Riassunto. Il carcinoma metastatico del colon-retto (mCRC) è costituito da molteplici sottogruppi caratterizzati da alterazioni molecolari specifiche, per lungo tempo orfane di terapie mirate in grado di inattivare i segnali proliferativi a esse riconducibili, e quindi di modificare il corso della malattia. Questa realtà è cambiata negli ultimi anni, grazie a una migliore conoscenza della biologia molecolare e allo sviluppo di nuovi farmaci e di loro combinazioni, che hanno reso “azionabili” tali alterazioni. La mutazione BRAFV600E è un chiaro esempio di tale sviluppo. Per circa una decade concepita solo come un fattore prognostico negativo e di resistenza ai farmaci anti-EGFR, è oggi anche un fattore predittivo di risposta alla combinazione dell’anti-BRAF encorafenib e dell’anti-EGFR cetuximab, e uno standard of care nei pazienti con diagnosi di mCRC BRAFV600E mutato dopo progressione a una precedente terapia sistemica. In questo lavoro descriviamo tre casi clinici in cui encorafenib e cetuximab sono stati utilizzati in label, nell’ambito della prima linea, alla diagnosi di mCRC, dopo recidiva precoce al termine della chemioterapia adiuvante.

Parole chiave. Carcinoma metastatico del colon-retto, cetuximab, chemioterapia adiuvante, encorafenib, mutazione BRAF.

Clinical experience with encorafenib and cetuximab in patients with BRAFV600E-mutant metastatic colorectal cancer after early relapse following adjuvant chemotherapy.

Summary. Metastatic colorectal cancer (mCRC) is constituted of several biological subgroups characterized by molecular alterations activating specific proliferative pathways. These alterations have, for a long time, lacked targeted therapies capable of inactivating these signalling pathways and eventually modifying the course of the disease. This scenario has rapidly been evolving in recent years, thanks to a better understanding of mCRC biology and advances in drug development, that have turned these alternations into “actionable” targets. BRAFV600E is a landmark example of this process. Conceived for roughly a decade as a negative prognostic factor of outcome and as a predictor of resistance to anti-EGFRs, today it is also a predictor of response to the combination of the anti-BRAF encorafenib and of the anti-EGFR cetuximab, and a standard of care in patients with BRAFV600E-mutated mCRC, after failure of previous systemic therapy. In this work, we report three clinical scenarios where encorafenib and cetuximab are used in label as first-line of treatment, at the diagnosis of mCRC, after early relapse occurring at the end of adjuvant chemotherapy.

Key words. Adjuvant chemotherapy, BRAF mutation, cetuximab, encorafenib, metastatic colorectal cancer.

Introduzione

Il carcinoma metastatico del colon-retto (mCRC) è oggi una patologia frammentata in molteplici distinti sottotipi caratterizzati dalla presenza di alterazioni molecolari divenute più di recente “azionabili”1. La filosofia alla base dell’“azionabilità” delle caratteristiche genetiche o fenotipiche dei tumori, nell’ottica della medicina, e, in particolare, dell’oncologia di precisione, consiste proprio nel trasformare punti di forza delle cellule tumorali – ovvero tratti distintivi molecolari che conferiscono loro un vantaggio evolutivo e di crescita rispetto alle cellule normali – in loro talloni d’Achille. La storia della mutazione BRAFV600E ricapitola in maniera estremamente fedele questo paradigma di sviluppo dei farmaci: dalla scoperta della rilevanza per la cellula tumorale di questa mutazione, capace di rendere i carcinomi colorettali che ne sono portatori estremamente aggressivi e poco responsivi ai trattamenti target, alla sua conseguente identificazione come bersaglio terapeutico potenzialmente utile, allo sviluppo di strategie efficaci per inibire in modo adeguato l’attività della proteina mutata e alla loro affermazione nella pratica clinica.

Alle prime evidenze sulla breve sopravvivenza dei pazienti i cui tumori presentavano la mutazione BRAFV600E, e quindi sulla possibile rilevanza terapeutica di questo target nel carcinoma colorettale2, hanno fatto seguito risultati preliminari sull’utilizzo dei BRAF inibitori decisamente poco entusiasmanti, se paragonati a quanto osservato in altre patologie e, in primis, nel melanoma avanzato. È stato pertanto necessario un ritorno dalla clinica al laboratorio per comprendere più nel dettaglio le ragioni biologiche e molecolari di tale fallimento che complessivamente metteva peraltro in discussione la filosofia dell’efficacia agnostica delle targeted therapy indipendentemente dalla sede di origine del tumore primitivo. In effetti, il venire meno del feedback inibitorio generato dall’attività di BRAF e delle chinasi a valle a livello del recettore EGFR si associava a un’iperattivazione del recettore stesso e quindi delle vie di signalling a valle, indipendenti da BRAF. Questo si traduceva nella mancanza di efficacia dell’inibizione di BRAF da sola e indicava come possibile soluzione la combinazione con un farmaco capace di bloccare EGFR3.

La dimostrazione definitiva dell’efficacia di tale approccio è arrivata dallo studio BEACON, il primo dedicato a una popolazione molecolarmente selezionata di pazienti affetti da mCRC con mutazione BRAFV600E che ha sancito l’efficacia della targeted therapy con BRAF inibitore (encorafenib) e anti-EGFR (cetuximab) in pazienti pre-trattati rispetto al precedente standard-of-care4,5. Lo stesso studio ha evidenziato come il valore aggiunto del MEK inibitore (binimetinib) sia trascurabile in termini di efficacia, pur associandosi a un maggiore tasso di risposte obiettive, rendendo di fatto encorafenib e cetuximab il miglior standard terapeutico per questi pazienti. Elemento sicuramente importante per la gestione clinica quotidiana è il profilo di tollerabilità della combinazione, la cui tossicità prevalente risiede nelle manifestazioni cutanee legate sia al rash acneiforme da anti-EGFR sia alle lesioni cutanee squamocellulari tipicamente legate al BRAF inibitore, e che il MEK inibitore avrebbe potuto, viceversa, attenuare.

Molteplici casistiche real-world hanno in seguito confermato i risultati di efficacia e safety riportati nello studio BEACON in popolazioni molto meno selezionate rispetto a quella inclusa nel trial clinico, fornendo un messaggio senza dubbio rassicurante per chi si trova quotidianamente a gestire la patologia colorettale e aiutando anche a rispondere a domande specifiche6,7. Per esempio, dati real-world hanno suggerito come anche nella popolazione BRAF mutata e con deficit del sistema del mismatch repair (dMMR), oggi candidata a ricevere l’immunoterapia come trattamento di prima linea, l’utilizzo della targeted therapy consenta di ottenere risultati simili a quelli della popolazione BRAF mutata ma con sistema del mismatch repair proficient (pMMR), rinforzando quindi l’utilizzo di encorafenib e cetuximab in questo sottogruppo8.

I casi clinici qui descritti riassumono alcuni aspetti di rilievo nella gestione del mCRC con mutazione BRAFV600E e nell’utilizzo della strategia a bersaglio molecolare in modo efficace.

Caso clinico 1

Una donna di 64 anni in apparente buona salute e asintomatica (in anamnesi, diagnosi di diabete mellito di tipo II nel 2014 in buon controllo glicemico con terapia specifica, non altre patologie concomitanti) eseguiva una TC addome di controllo per patologia benigna dell’utero nell’ottobre 2017.

La TC mostrava a livello della flessura epatica un ispessimento di 5 cm disomogeneo con contrast-enhancement e diffusa imbibizione edematosa periviscerale suggestivo per tumore primitivo del colon, in assenza di localizzazioni secondarie di malattia.

Una colonscopia di completamento confermava la presenza di neoformazione della flessura epatica, il cui esame istologico deponeva per adenocarcinoma moderatamente differenziato.

La paziente veniva sottoposta in data 19/10/2017 a emicolectomia destra allargata: l’esame istologico definitivo mostrava adenocarcinoma moderatamente differenziato G2 con aspetti di tipo mucinoso, infiltrante la parete colica fino al grasso pericolico pT3 N2a. Analisi mutazionale: mutazione BRAFV600E esone 15, MSS.

Una TC ripetuta dopo la chirurgia a novembre 2017 confermava la negatività per localizzazioni secondarie. La paziente veniva avviata a terapia standard adiuvante secondo regime FOLFOX4 di cui completava 12 cicli nel giugno 2018 in assenza di tossicità di rilievo (eccetto che per neutropenia G2, neuropatia G2 e diarrea G1 negli ultimi 4 cicli di trattamento).

A giugno 2018 la paziente veniva avviata a un regolare programma di controlli clinico-strumentali.

Nel novembre 2018 veniva ripetuta una TC di controllo che mostrava comparsa di tre lesioni peritoneali a livello della parete addominale di destra riferibili a carcinosi peritoneale.

Nel mese di dicembre 2018, la paziente avviava quindi trattamento con schema encorafenib+cetuximab all’interno del protocollo BEACON, doublet arm.

Il trattamento risultava essere ben tollerato in assenza di effetti collaterali di rilievo.

La prima TC di rivalutazione effettuata il 28 gennaio 2019 mostrava in ambito addominale, ridotte per dimensioni, le formazioni nodulari precedentemente evidenziate in sede mesenteriale anteriore, in sede mesogastrica (dtm attuale di 11 × 7 mm vs 13 × 12 mm) e in ipocondrio destro paracolica (11 × 6 mm vs 22 × 13 mm). Meno evidente altresì la formazione nodulare lungo il margine anteriore del IV segmento epatico.

La paziente proseguiva quindi trattamento con encorafenib e cetuximab.

Una nuova TC di rivalutazione del 22 marzo 2019 mostrava ulteriore riduzione delle dimensioni delle multiple formazioni nodulari precedentemente evidenziate in sede mesenteriale anteriore. Non più apprezzabile la formazione nodulare lungo il margine anteriore del IV segmento epatico.

Il trattamento veniva proseguito nei mesi successivi con ulteriore stabilizzazione delle sedi di malattia e buona tolleranza farmacologica fino a una TC del settembre 2019 che mostrava progressione peritoneale di malattia.

Nel settembre 2019 veniva quindi intrapresa terapia di seconda linea con schema FOLFIRI-bevacizumab con stabilizzazione di malattia, fino a una TC del febbraio 2020 quando si riscontrava una nuova progressione di malattia.

Nel marzo 2020 veniva avviato trattamento di terza linea con regorafenib; si assisteva tuttavia a una rapida progressione clinica fino all’exitus avvenuto nel maggio 2020.

Caso clinico 2

A settembre 2020, un paziente di 62 anni viene sottoposto a un intervento di emicolectomia destra per un adenocarcinoma di alto grado con aspetti mucinosi del cieco pT3N2b, in assenza di secondarismi agli esami di stadiazione, pre- e post-chirurgia. Le indagini molecolari mostrano un sistema del mismatch repair conservato in immunoistochimica, compatibile con stabilità dei microsatelliti (pMMR/MSS), geni KRAS e NRAS wild-type e mutazione BRAFV600E. Considerati stadio (III ad alto rischio), età e buone condizioni generali (ECOG-PS=0), il paziente riceve, fra novembre 2020 e aprile 2021, 6 mesi di chemioterapia adiuvante sperimentale con tripletta a base di 5-fluoruracile, oxaliplatino e irinotecano (FOLFIRINOX) nello studio di fase III randomizzato IROCAS9, a fronte di un regime standard, che invece prevederebbe 6 mesi con una doppietta a base di fluoropirimidina e oxaliplatino (FOLFOX/CAPOX).

A ottobre 2021, a meno di 6 mesi dal termine del trattamento adiuvante, viene diagnosticata una recidiva peritoneale con molteplici noduli di carcinosi, il maggiore di 20 mm di diametro (figura 1A), con marcatore tumorale CEA di 315 mg/ml. Considerato il breve intervallo dal termine dell’adiuvante con tutti i citotossici approvati nel trattamento di prima linea del mCRC, suggestivo per aggressività biologica e scarsa responsività alla chemioterapia, viene deciso di iniziare immediatamente una terapia target con l’anti-BRAF encorafenib e l’anti-EGFR cetuximab, sulla base dei risultati dello studio di fase III randomizzato BEACON, dove encorafenib e cetuximab ± l’anti-MEK binimetinib sono stati confrontati con cetuximab associato a irinotecano/5 fluoruracile (FOLFIRI) o a irinotecano dopo progressione a una o due precedenti linee di trattamento4,5.

Con una sopravvivenza globale mediana (mOS) di 9,3 mesi in entrambi i bracci con terapia target contro 5,9 mesi ottenuti nel braccio di chemioterapia, la doppietta con encorafenib e cetuximab è stata approvata per il trattamento del mCRC BRAFV600E-mutato dopo precedente terapia sistemica, viste la pari efficacia e la migliore tollerabilità rispetto alla tripletta con binimetinib (tossicità di grado 3/4 50% contro 58%), che resta comunque un’opzione nelle linee guida ESMO Asia, che invece pongono l’accento sul maggiore tasso di risposte obiettive della tripletta rispetto alla doppietta (27% contro 20%; a fronte di 2% con la chemioterapia)10-12. Si noti che, diversamente dai casi di melanoma con lo stesso profilo molecolare, che beneficiano anche della sola inibizione di BRAF, questo approccio è completamente inefficace nel mCRC, dove il blocco di BRAF induce un’attivazione compensatoria dei segnali proliferativi EGFR-dipendenti (backward activation), rendendo necessaria una terapia di combinazione con un anti-EGFR per sortire un effetto antitumorale4.

La prima TC di rivalutazione, effettuata dopo circa 3 mesi di trattamento, mostra una risposta parziale, con il nodulo di 20 mm regredito a 14 mm e CEA in calo a 38,8 ng/ml (figura 1B). Dopo ulteriori 3 mesi, la lesione target e tutti gli altri noduli di carcinosi risultano scarsamente riconoscibili e il CEA si negativizza (3,8 ng/ml) (figura 1C).




Il trattamento prosegue fino a maggio 2023 quando, a fronte di un quadro clinico-strumentale stazionario, il CEA cresce a 50 ng/ml. Considerata l’ottima tolleranza al trattamento (rash cutaneo G1 e diarrea G1 sono i disturbi principali), encorafenib e cetuximab sono proseguiti fino alla successiva TC di agosto 2023, che documenta una progressione radiologica di malattia limitata a un nodulo del muscolo retto dell’addome sinistro (figura 2A), con un CEA in ulteriore incremento (90,3 mg/ml).

Viene pertanto deciso di asportare la lesione, nell’ipotesi di poter continuare encorafenib e cetuximab in caso di non progressione radiologica in altri organi alla TC post-resezione.

L’istologico della neoformazione, asportata a settembre 2023, corrisponde ad adenocarcinoma con aspetti mucinosi pMMR e con due mutazioni concomitanti BRAFV600E e NRASQ61K. La TC effettuata circa 1 mese dopo la chirurgia mostra tuttavia un’evoluzione dell’impegno peritoneale (figure 2B e 2C), a fronte di un CEA sempre stazionario (86,2 mg/ml), orientando verso una nuova linea di trattamento con trifluridina-tipiracile e bevacizumab, che il paziente inizia a dicembre 2023, dopo un intervallo libero da progressione da encorafenib e cetuximab di circa 1 anno e 10 mesi.




Il paziente si sottopone a trifluridina-tipiracile e bevacizumab per 9 mesi, con stabilità radiologica di malattia in tutte le TC di rivalutazione, seppure accompagnate da un CEA in lento ma costante incremento, fino alla progressione radiologica franca, sempre confinata al peritoneo ad agosto 2024 (CEA 512 ng/ml). Viene allora sottoposto a screening molecolare mediante sequenziamento di nuova generazione (NGS) del DNA tumorale circolante con biopsia liquida nell’ambito dello studio BRICKET, per eventuale rechallenge con encorafenib e cetuximab in caso di assenza di alterazioni molecolari associate a resistenza a terapia target (mutazioni di KRAS, NRAS, MAP2K1 e amplificazione di MET)13 e persistenza di mutazione BRAFV600E.

Curiosamente, il paziente risulta non eleggibile al rechallenge per assenza di mutazione BRAFV600E, mentre tutti gli altri geni di resistenza sono wild-type. Viene così iniziato regorafenib, con progressione alla prima TC di rivalutazione 3 mesi dopo (CEA 2011 ng/ml). A gennaio 2025 intraprende una successiva linea con fruquintinib, richiesto mediante un programma di uso nominale, con TC di rivalutazione non ancora effettuata.

Caso clinico 3

Nell’agosto 2023 una donna di 78 anni accedeva presso il Pronto Soccorso del nostro Nosocomio per addominalgia, vomito e alvo chiuso a feci da 4 giorni. Eseguiva TC addome con mdc che confermava quadro occlusivo con distensione del colon ascendente e dell’ileo sostenuto da stenosi della flessura colica destra.

La paziente veniva quindi ricoverata e sottoposta a colonscopia che confermava presenza di stenosi eteroplastica della flessura epatica, infiltrante circonferenzialmente il lume. Durante l’esame endoscopico veniva posizionato uno stent in ottica “bridge to surgery”. La TC torace addome mdc non mostrava secondarismi, i livelli di CEA e CA19.9 erano nei limiti di norma, per cui in data 29 agosto 2023 veniva eseguito intervento di emicolectomia destra robotica. L’esame istologico evidenziava un adenocarcinoma G2, pT3 N2a (5 linfonodi metastatici su 15 esaminati), con fenotipo microsatellitare stabile (MSS).

A seguito dell’intervento la paziente e stata trattata con chemioterapia adiuvante secondo schema FOLFOX da novembre 2023 a marzo 2024, interrotta dopo 9 cicli per tossicità ematologica G2 protratta e neuropatia G2 acroposta. I marcatori erano sempre negativi e la colonscopia di aprile 2024 risultava negativa.

Alla prima rivalutazione di giugno 2024 CEA= 29, CA19.9 in range e alla TC torace addome con mdc si evidenziava comparsa di lesione epatica di 18 mm al VII segmento, confermata alla RMN con mdc epatospecifico.

Veniva eseguita analisi di biologia molecolare con determinazione dello stato mutazionale di KRAS, NRAS e BRAF: malattia BRAF mutata (V600E).

Il caso veniva discusso in riunione multidisciplinare, con indicazione a chirurgia resettiva epatica. Tuttavia, l’intervento veniva posticipato a causa dell’insorgenza di una complicanza infettiva (colangite), che rendeva necessario il ricovero ospedaliero e il trattamento antibiotico.

Veniva quindi ripetuta TC torace addome con mdc a fine luglio 2024 con evidenza di progressione dimensionale e numerica epatica (lesione al settimo segmento di 24 mm e nuova lesione al sesto segmento di 6 mm) e peritoneale per comparsa di nodulo di carcinosi in doccia parieto colica destra (14 × 10 mm) (figure 3A e 3B).




Alla luce della rapida progressione decadeva l’indicazione chirurgica e, in ambito collegiale, si decideva per avviare terapia sistemica.

Considerando lo stato mutazionale BRAFV600E e l’intervallo libero di soli tre mesi dalla conclusione della chemioterapia adiuvante alla comparsa della malattia metastatica, la paziente veniva candidata a terapia target di seconda linea con encorafenib 300 mg/die in associazione a cetuximab (570 mg dose di carico; 280 mg dose di mantenimento settimanale). Il trattamento veniva iniziato in data 4 settembre 2024. All’avvio del trattamento, ECOG PS 1-2 per astenia e inappetenza; eseguiti ECG per valutazione QTc, nella norma, e visita dermatologica, anch’essa nella norma.

Dopo circa una settimana dall’avvio del trattamento si rendeva necessario ricovero per insufficienza respiratoria acuta di ndd, non correlata al trattamento oncologico, per cui si somministrava antibioticoterapia e ossigenoterapia con recupero completo. Veniva quindi interrotta temporaneamente la terapia, che veniva ripresa dopo circa 15 giorni e proseguita senza ulteriori interruzioni.

In data 21 gennaio 2025 veniva eseguita TC torace addome con mdc di rivalutazione con riscontro di risposta parziale di malattia con riduzione dimensionale della lesione al settimo segmento (12 × 11 mm vs 24 × 20 mm), stabilita dell’ulteriore lesione al sesto segmento e riduzione della nodulazione peritoneale (12 × 3 mm vs 14 × 10 mm). Inoltre, risposta sierologica con CEA pari a 4. Alla visita di rivalutazione la paziente riferiva trattamento ben tollerato, miglioramento delle condizioni generali con ECOG PS 0, ripresa dell’alimentazione e risalita del peso, non più astenia. Veniva data indicazione a prosecuzione del trattamento oncologico, attualmente ancora in corso. A marzo venivano ricontrollati i marcatori con evidenza di ulteriore calo del CEA (0.8). La TC torace addome mdc del 29 aprile 2025 mostrava una ulteriore risposta alla terapia in atto, con lieve riduzione della nota lesione secondaria epatica al settimo segmento di diametro 10 × 10 mm (vs 12 × 11 mm) e della nodulazione lungo il peritoneo parietale posteriore a dx con diametri di 10 × 4 mm (vs 12 × 3 mm) (figure 4A e 4B).




Nel corso del trattamento venivano eseguiti ECG di monitoraggio, sempre nella norma, ed esami ematici come da pratica clinica, senza mai riscontrare segni di tossicità.

Discussione

Il minimo comune denominatore dei tre casi descritti risiede nell’utilizzo della terapia a bersaglio molecolare con encorafenib e cetuximab in pazienti con malattia metastatica metacrona, ricaduti a breve intervallo di tempo dal completamento del loro trattamento adiuvante a base di oxaliplatino.

Si tratta pertanto di tre situazioni cliniche in cui l’aggressività biologica della malattia BRAFV600E mutata si è manifestata con chiarezza in casi di tumori inizialmente localizzati e sottoposti a resezione radicale. In effetti, l’impatto prognostico sfavorevole della mutazione di BRAF è acclarato nel setting metastatico, ma ormai ben noto anche nello stadio III, dove una meta-analisi di dati aggregati14 ha dapprima suggerito come questa caratteristica molecolare fosse associata a DFS e OS più brevi, soprattutto eliminando l’effetto confondente dell’impatto prognostico favorevole del deficit del MMR, e come quindi la mutazione di BRAF aumenti significativamente il rischio di ricaduta tra i pazienti radicalmente resecati di carcinoma del colon in stadio III pMMR. Risultati analoghi sono stati prodotti da una meta-analisi, questa volta basata su dati individuali, di sette studi relativamente recenti focalizzati sulla terapia adiuvante del carcinoma del colon in stadio III15.

Sebbene le attuali linee guida non formalizzino la necessità di adottare un follow-up più stretto in questo sottogruppo, in quanto sono attualmente mancanti evidenze prospettiche chiare sull’efficacia di questo approccio nel prolungare la sopravvivenza, l’esperienza clinica insegna come intervenire precocemente in questa patologia sia cruciale per riuscire a mettere in campo trattamenti (sistemici e locoregionali, se indicati) che possano estendere l’aspettativa di vita dei pazienti.

Interessante notare come, al momento della recidiva di malattia a livello epatico, in uno dei casi la scelta sia ricaduta sulla resezione chirurgica delle lesioni metastatiche (un carico di malattia decisamente limitato) anziché sull’adozione di uno schema di terapia sistemica. In effetti, evidenze recenti demistificano il dogma dell’invariabile assenza di indicazione a trattamenti locoregionali nelle metastasi epatiche da mCRC BRAF mutato anche quando tali interventi siano tecnicamente fattibili16,17.

L’aggressività biologica della malattia e la tendenza alla rapida diffusione sistemica e in sedi non facilmente indagabili con le metodiche di imaging comunemente adottate, e in particolare con la TC, impongono però cautela nel considerare tale opzione, da riservarsi verosimilmente a casi con basso carico di malattia evidente e possibilmente non in progressione ma sotto controllo grazie a una terapia medica. Nel caso specifico, infatti, l’indicazione alla chirurgia è decaduta per l’evidenza in una successiva TC della rapida comparsa di altre lesioni, atteggiamento che, al di là della fattibilità chirurgica, avrebbe reso un eventuale intervento chirurgico poco sensato dal punto di vista oncologico.

Altro comune denominatore dei tre casi è la scelta di intraprendere il trattamento target con encorafenib e cetuximab al momento della prima evidenza di malattia metastatica, verificatasi in tutti i casi entro 6 mesi dal termine di un trattamento adiuvante a base di fluoropirimidina e oxaliplatino. Si tratta pertanto di una prima linea di trattamento per la malattia metastatica, messa in campo tuttavia al fallimento precoce di una terapia sistemica, e dunque in un contesto di sostanziale chemiorefrattarietà. Pazienti con una analoga storia di ricaduta precoce post-adiuvante erano eleggibili nello studio BEACON4,5, e la scelta di utilizzare il prima possibile nella storia naturale del mCRC BRAF mutato la terapia target appare sensata per varie ragioni.

Studi real-life e analisi post hoc di studi clinici hanno più volte mostrato come “l’effetto imbuto”, per cui una percentuale sempre inferiore di pazienti è in grado di ricevere un trattamento sistemico ogni volta che si verifica una progressione di malattia per effetto del deteriorarsi inevitabile delle condizioni generali e quindi l’instaurarsi di una sostanziale controindicazione a ricevere nuove linee di terapia, è particolarmente accentuato nella malattia BRAF mutata18. Pertanto, appare poco sensato “attendere” linee successive per impiegare l’unica opzione terapeutica che abbia dimostrato un beneficio nella specifica popolazione BRAF mutata rispetto ai trattamenti convenzionali, peraltro poco efficaci in questo setting. L’effetto della targeted therapy sembra viceversa in grado di attenuare l’effetto imbuto rispetto alle linee successive quanto più precocemente viene utilizzata19.

Inoltre, in generale, l’esperienza maturata in vari contesti dell’oncologia di precisione con l’adozione di targeted therapy mostra in modo coerente come l’eterogeneità tumorale, già più spiccata nel tumore del colon rispetto ad altri tumori solidi, tenda a incrementare nelle malattie pluritrattate, in cui molteplici meccanismi di resistenza acquisita insorgono e determinano l’affermarsi di sempre più sottopopolazioni clonali con caratteristiche molecolari diversificate.

Tali considerazioni appaiono corroborate dai recenti risultati dello studio BREAKWATER, che ha dimostrato un chiaro vantaggio in tasso di risposte obiettive e un preliminare vantaggio in sopravvivenza globale, pur non statisticamente significativo rispetto alle condizioni pre-pianificate dell’analisi ad interim, dalla combinazione di encorafenib e cetuximab a FOLFOX rispetto a FOLFOX o FOLFOXIRI con o senza l’antiangiogenico bevacizumab20. In attesa di conoscere risultati più maturi, in primis quelli relativi alla sopravvivenza libera da progressione e ai trattamenti ricevuti in entrambi i bracci dopo la prima evidenza di progressione di malattia, lo studio BREAKWATER ha già dimostrato con la chiusura precoce del braccio di sola target therapy (encorafenib e cetuximab) come la chemioterapia mantenga a oggi un ruolo imprescindibile nella terapia di prima linea del mCRC pMMR, proprio nel tentativo di ritardare i meccanismi di resistenza acquisita che rappresentano uno dei principali punti di debolezza della strategia target in questa patologia.

Nello stesso panorama terapeutico, ma nel sottogruppo molecolare BRAF mutato e MSI-H/dMMR, è oggi in corso lo studio randomizzato di fase II SEAMARK, volto a esplorare l’efficacia e la sicurezza di una terapia di combinazione in prima linea con immunoterapia (pembrolizumab) e targeted therapy (encorafenib e cetuximab), rispetto a uno degli attuali standard of care, rappresentato da pembrolizumab21.

Mentre l’azionabilità di BRAF ha certamente dato un impulso clinicamente rilevante al miglioramento della prognosi di questo gruppo di pazienti, molto resta da fare per ottimizzarne il continuum of care e per sfruttare in maniera efficace le informazioni che l’analisi dinamica dell’evoluzione tumorale, oggi possibile grazie allo strumento della biopsia liquida, è in grado di fornire.

Conflitto di interessi: VF ha ricevuto pagamenti come invited speaker da Amgen, Bayer, Merck Serono, MSD, Pierre Fabre, Servier, Takeda. MMG ha ricevuto pagamenti per spese di viaggio congressuali da MSD e dal Collegio degli Oncologi Medici Universitari (COMU). CC ha ricoperto il ruolo di advisory board o consultant per Astra Zeneca, Bicara Therapeutics, BMS, GSK, Lilly, Merck, Mirati, MSD, Nordic Pharma, Roche, Pfizer, Pierre Fabre, Revolution Medicine, Rottapharm, Takeda, Tempus; ha ricevuto pagamenti come invited speaker da Amgen, Bayer, Merck Serono, MSD, Pierre Fabre, Servier, Takeda; Research grants da Amgen, Merck, Pierre Fabre, Roche, Seagen (Pfizer), Servier, Tempus.
Tutti gli autori hanno percepito diritti d’autore da Il Pensiero Scientifico Editore – soggetto portatore di interessi commerciali in ambito medico-scientifico.

Contributo degli autori: CC ha redatto riassunti, introduzione e conclusioni; VF ha redatto il caso clinico 1; MMG ha redatto il caso clinico 2; GP e ET hanno redatto il caso clinico 3. Tutti gli autori hanno contribuito alla revisione finale dell’articolo.

Acknowledgements: questa pubblicazione è stata realizzata con il contributo non condizionante di Pierre Fabre Pharma s.r.l.

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