Ce l’hai tu, vero?
Qualche giorno dopo mi chiamò mio padre. Tua madre ha avuto i risultati della mammogafia, disse, non si sono problemi.
Ottimo, dissi.
Ma non sembra contenta, continuò lui, ha un atteggiamento molto strano.
Ah, dissi io.
Che succede, Lisa? mi chiese. C’è qualcosa che non mi torna, qui.
Niente, dissi io. Chiedilo a tua moglie, aggiunsi. Le posso parlare?
È appena uscita di corsa, aveva un appuntamento, ma mi ha detto di chiamarti. Ha detto che saresti stata contenta.
Si, infatti.
Adesso chiamo tua sorella, anche lei era ansiosa di avere notizie. Oppure la vuoi chiamare tu?
La chiamo io, dissi.
Mi parve strano, in quel momento, dover chiamare Mitsh. Mi sembrava che stesse lì con me, che vivesse nella mia pesse. Che bisogno c’era di alzare il telefono?

****
Tornammo tutte e due a casa per Natale.
Poi andò a trovarli Mitch.
Poi io.
Poi fu di nuovo il turno di Mitch.
Quando telefonai mentre lei era lì da loro, mio padre mi disse: Tua madre doveva rifarsi la mammografia, e allora ho man­dato Lisa ad accompagnarla per essere sicuro che ci andasse.
Hai mandato Mitch, vuoi dire, lo corressi. Lisa sono io.
Sì, insomma, hai capito.

Qualche giorno dopo, mio padre mi ritelefonò. Aveva la voce tesa. Tua madre oggi ha parlato con l’ambulatorio delle mammografie, disse, ma non vuole raccontarmi niente. Si è chiusa in camera a piangere. Ha parlato al telefono con tua sorella per un’ora. Immagino che le abbiano trovato qualcosa, ma appena lo so per certo ti richiamo.
Ok.

***­*
Riattaccai e chiamai Mitch.
Ciao, disse. Dalla voce, sembrava che si stesse strozzando con una delle sue penne.
Mitch, dissi io, ce l’hai tu, vero?
Lei sospirò e disse: È ridicolo, ma pensavo di farle un favore, pensavo di toglierle una preoccupazione.
Sei andata tu al posto suo, vero?
Sai, disse Mitch, è più angosciata così che se ce l’avesse lei. Si sente come se quel nodulo fosse suo, come se fosse stato destinato a lei e me l’avesse in qualche modo passato.
È assurdo, dissi. Mi sembrava di parlare con me stessa.
Però sai, se fosse possibile ci starei subito, continuò Mitch. Cioè, se ci fosse un modo per togliere magicamente un nodulo dal suo seno e metterlo nel mio, accetterei in un secondo.
Vorrei poterlo fare io per te, dissi.
Certo, potremmo dividercelo fra tutte.
Un dessert e tre forchette.
E poi, seduta da sola sul pavimento di casa, pensai che ero la figlia di mia madre e la sorella di mia sorella, e cominciai ad avere la sensazione che i miei contorni sfumassero. Ripensai a quando mi avevano fatto stare in piedi in una stanza bianca con un seno stretto nella morsa di una macchina ronzante. Immaginai le mammografie simili a paesaggi lunari, e non riuscii più a ricordare chi di noi aveva il nodulo, mi sembrava che ce l’avessimo tutte, e poi il telefono squillò di nuovo e alzai la cornetta e sentii mio padre dire, come gli capitava ogni tanto: Leah ... Lisa ... Mitch.
Da: L’odore afrodisiaco del cloro,
di Judy Budnitz.
Traduzione di Martina Testa.
Alet Edizioni, Padova 2009.
Pagg. 55-56